Sunday, April 26, 2015

Giorno della Laurea

Il treno è bello caldo, rispetto ai 12 gradi che ci sono fuori è una meraviglia, benedico le ferrovie dello stato come non sempre succede e non trovo nemmeno la folla che mi aspettavo.  Sono infreddolito e un po' bagnato ma, cosa più unica che rara, oggi a tratti la pioggia me la sono presa di gusto.  Bombo ma un po' fiero di dov'ero, di quel che ho visto e di quel che, forse, simboleggia.

I gruppi che intasavano Venezia al suono di "dotore, dotoreee, dotore del buso del cul..."  devono essere sciamati altrove, su altri treni, o più probabilmente in qualche locale a festeggiare la laurea del parente o dell'amico di turno.
Tempo ladro (ma all'inizio non troppo).
Sono reduce dal giorno della laurea di Ca' Foscari, la celebrazione periodica che conclude scenograficamente il percorso di studi triennali dei nostri studenti.  Per me è la prima volta e constato fra l'autoironico e il sorpreso che uno di solida campagna, che viene da terre di vanede e campi di mais, beh, resta a bocca aperta: la piazza è riempita di famiglie e di studenti che a loro modo stanno per spiccare il volo, l'ala delle Generali è abbellita dagli stendardi con il leone, sullo sfondo il fiammeggiare di S. Marco e quel campanile sempre troppo alto per non rovinarti le foto.  Il mio amico Renato, che ha da sempre l'occhio innamorato di immagini, mi dice che perfino Canaletto lo accorciava nei dipinti, sennò glieli rovinava.








La macchina organizzativa.
Inciso 1: salgo sul treno a Treviso, alle 12.56 e un signore mi chiede posti: ``siamo una comitiva, c'è anche la nonna''.  Si sistemano tutti e seduta a fianco a me c'è una studentessa dell'eta giusta, tirata giusta, felice il giusto.  Un po' tiro ad indovinare ma sbaglio di poco se c'erano le amiche che dicevano beata te e parlavano di media - io 91, io voglio arrivare al 95-, c'era perfino la busta di carta riempita, immagino, di cappello o di fiori.

Entro nel gazebo per mettermi la toga nera con gli alamari porpora, le ragazze dell'organizzazione mi dicono di tenere il giubbotto, "farà freddo".  Quasi quasi stento a crederci ma avranno ragione da vendere, devono aver fatto molte cerimonie più di me di sicuro.  Mi pare di essere un entomologo, nel senso che posso guardare il mondo da osservatore, non ho altri compiti che fare presenza e cerco di trattenere idee e pensieri.  Mi gusto la sensazione di stare sul quel palco, è una cosa ottica, che ti da una visuale mai vista su Piazza S. Marco, non riesco a non pensare che dietro a me c'è il Correr, a fianco l'ala napoleonica, la libreria del Sansovino e tutto il resto.  Onestamente mi pare di essere al cinema, ma immaginatelo detto in andaluso, "somos al cine!'".

E se lascio perdere il dietro e i fianchi, davanti ho il mio "popolo" (si può dire dopo quasi vent'anni di militanza cafoscarina?  O gronda troppo proprio di un altro ventennio?).  Vedo i "miei" studenti, le loro famiglie con le nonne, la loro composta contentezza, cose che capisco, che so anche più di quel che insegno, per averle respirate per anni.  È un piccolo mare di gente, colorato e con le ombrelle pronte a scattare se il tempo ladro farà quel che è previsto.


Un euro e mezzo per questo servizio?
Inciso 2: prima di andare sul palco, realizzo che la cerimonia dura due ore di freddo e vento: "Posso andare in bagno?", "Esca, ci sono i bagni pubblici", "Ok".  Scusate se suona meno aulico ma pago i miei 1.50 euri, che non è zero per una piccola pipì precauzionale, e rivedo la Venezia peggiore, lo sfacelo dei servizi, lavori in corso, pulizia un un tanto al chilo.  Però l'euro e mezzo ve lo siete presi, vero?  Siete come il tempo!  È per cose così che in terraferma c'è un modo di pronunciare "venessian" che gronda quasi un filo di razzismo e prova a dire il distacco da questo andazzo strafottente in cui tutto va bene perché tanto non serve cambiare.

Arriva Gino Strada con la moglie, è l'ospite di questa cerimonia e sono un po' emozionato e anche onorato di vederlo e di essere sullo stesso palco.  Dal vivo non è diverso da quello che sapevo dai giornali o dalla TV, è una persona mite che sprigiona una forza che contrasta con la semplicità e dolcezza dei modi.  C'è un che di apparentemente irrisolto nel fondatore di Emergency, sono contento che abbia potuto parlare agli studenti, dopo il rettore e prima di un signore in fascia tricolore.  Si, uno si aspetterebbe il sindaco Orsoni in una simile occasione ma non è lui, dimessosi per le indagini, in attesa di processo e sostituito dal commissario prefettizio.  In fondo, ce la siamo fatta in casa anche questa stranezza.



Gino Strada, la sedia del rettore sul palco, la prima linea.

Il tempo regge e s'inizia con ritmo marziale a scandire nomi: dalla A alla H sul lato destro del palco, con diploma consegnato dal rettore; le altre lettere a sinistra, dove c'è il prorettore vicario Lippiello.  Stretta di mano, breve sosta per la foto, sorrisi e discesa dal palco.  Un tah-th-th-th-tah, 5 scatti escono in meno di un secondo dalla macchina fotografica dell'operatore che sta proprio dietro alla mia sedia; poi altro nome e altro tah-th-th-th-tah, chissà che uno dei 5 scatti sia memorabile, tah-th-th-th-tah e via.  800 persone.  A scriverlo si può pensare che sia una cosa veloce e formale, 16-17 al minuto cronometrati, ma visto da dentro non è così.  Come dice Marta Sainz-Solè, "le liturgie hanno i loro perché" e io ne assaporo alcuni aspetti.  Non un singolo nome è dimenticato, penso che nel nostro piccolo sembriamo Tsahal, le forze di difesa israeliane, non lasciamo indietro nessuno.  Forse è metaforico, serve a noi, serve a loro, serve alle famiglie.  A un certo punto poi, la pioggia che ci aveva risparmiato per una ventina di minuti, decide che la pazienza è finita e aumenta, aumenta...  È aumentata fino a quando prorettori e delegati, seduti in seconda e terza fila, si sono prese le ombrelle, rosse Ca' Foscari pure quelle, e si sono riparati a coppie.  Il rettore imperterrito sorride, stringe la mano, posa per la foto ad ogni nome e se la becca tutta fino a quando una delle ragazze dell'organizzazione lo mette anche lui sotto copertura.  Apologetico?  Forse, ma non ho mica detto che si è aperto uno spiraglio in cielo e che un raggio di sole gli si è posato in fronte con una voce come di tuono che diceva...  In questo lavacro, è proprio il caso di dirlo, anche Rambo rettore e soldato Jane prorettrice si sono presi la loro bella razione, anche più di noi, e ho pensato che se fossi un rapper direi semplicemente "Rizpetto".



La commissione prima e durante il diluvio.
Inciso 3: ho visto mise da paura salire e scendere dal palco e un campionario di fisici, abbigliamenti, stili non comuni.  C'è chi, compagnone, mette la mano sulla spalla del rettore, tante cravatte su camicia aperta e fuori dai pantaloni, minigonne che a dire fascianti mi sono allargato, nero che smagrisce e colori arditi, tacchi 13-14, zeppe, scarpe da ginnastica, barbe incolte, gonne ampie e cerimoniose come meringhe, jeans, impermeabili e anche spalle nude sotto la bufera...  Nel complesso, una gran bella prova di caleidoscopica diversità interpretativa della nostra meglio gioventù!

La cerimonia termina su un cognome che inizia per H, è di una studentessa di origine cinese.  Mi pare di buon auspicio, mostra di che pasta è fatta una città che ha commerciato e accolto tutti e di un ateneo che ora prova ad essere cosmopolita ed internazionale come conviene alla sua storia e al suo nome che sa d'universo.  In precedenza, mi era piaciuto il saluto della migliore studentessa straniera, albanese, "Parlo da pochi anni la vostra lingua" ma già infilava congiuntivi e costruzioni che mi farebbero vacillare.  Si è ricordata di tutti gli studenti, specie donne, che non possono studiare, spesso perchè uccise o stuprate, in Kenya o altrove.



Rompete le righe.
Finisce tutto e sotto la pioggia battente le casse lanciano un po' di rock a volume alto.  Il muro di ombrelli variopinto che vedo in fondo alle transenne, fra me e la basilica, ondeggia e poi comincia ad allontanarsi, partono i primi sberleffi.

Inciso 4: tornando a casa evito se posso le processioni di parenti che intasano le calli, già provate dalla massa di turisti.  Ma ogni tanto m'intruppo, attendo quel che è necessario e rallento il passo per non scapussarmi su questi camminatori oziosi e festosi.  Proprio in corrispondenza di Campo Santa Fosca, sono quasi fermo in attesa che si sblocchi l'ingorgo e li sento attaccare ``dotore...''.  Guardo Paolo Sarpi e penso che faccia bene anche a lui un bagno d'umiltà, non ce l'ho su con la sua storia tridentina ma mi vien da ridere e penso che dovremmo sempre prenderci un filo meno sul serio.  Singing in the rain!

Torno nel gazebo e vedo l'ermellino solo soletto e bello zuppo.  Decido d'immortalarlo e faccio qualche altra foto sotto la pioggia, quasi timoroso che l'attimo fuggente mi scappi.  Quando ricapita a uno di campagna di prendersi una lavata così in una piazza S. Marco così?  Percepisco la fierezza e la consapevolezza di essere minuscola parte di tutto questo: un po' sarà merito dell'istituzione e di chi ci lavora, con alti e bassi, miserie e trionfi; un po' è merito di chi sta sulle sudate carte e paga le tasse; spero che anche le famiglie dopo aver sacramentato il giusto per il tempo si ritrovino con bei ricordi di un giorno a suo modo speciale.  Saluto i colleghi, scambio due parole con Ricciarda e mi accingo a remare a piedi verso la stazione.

Il gazebo, con ermellino bagnato e le angels dell'organizzazione.

Arrivo a casa, dopo il viaggio sul treno senza folla, e mi bevo tre tazze di te verde fumante che fa bene ed è chic, scaldandomi gli ossi.  Fatta anche questa, ad majora.

(Correction, 27/08/15: "Canaletto", ma forse il campanile avrebbe rovinato i quadri anche a Tintoretto! Grazie, Renato)