Sunday, November 22, 2015

Produttività digitale, una settimana di cattivi pensieri


Rifletto da un po' di tempo sulla rivoluzione digitale che, per dirla con Patti Bravo, ``mi fa girar come fossi una bambola'': spesso sono letteralmente estasiato dalle possibilità della tecnologia, dall'adrenalina che scorre sui social e dal trip che mi porta via quando programmo e posso raggiungere con un codice quel nirvana di soddisfazione che forse solo arte, amore e matematica sanno dare. Allo stesso tempo constato con una qualche apprensione che siamo avvinghiati come tossici tristi all'idea, distribuita a piene mani ovunque, che smart, digital e online siano necessarie e vitali come l'aria che respiriamo. Scusa, spetta n'atimo...

Tutto questo ci rende più produttivi? È una questione dibattuta fra gli economisti (che, a dirla tutta dibattono tutto senza requie!) ma leggo su ``Italia Digitale'' (supplemento Corriere della Sera, 20/11/2015) che in un decennio la produttività attribuibile al progresso tecnico è aumentata dello 0.3% annuo, ma è calata dello 0.7% nel 2014. Per riassumere un po' grossolanamente: forse questa sbornia tecno-IT aumenta il PIL di uno zero-virgola e per dirla con l'autore Massimo Sideri:
La grande promessa dell'impatto della tecnologia sulla produttività generale è tutt'altro che da ritenersi un dato acquisito.
Ieri sono stato alla mia filiale Unicredit, di cui sono cliente da almeno 20 anni. Dovevo ordinare una carta di credito Flexia che rimpiazza (forse) la CartaSi in modo da farmi risparmiare 10 euro a semestre di fee. Visto che c'ero, ho anche aggiornato la MIFID. La tecnologia ormai straripa in una banca: hanno fatto fuori migliaia di dipendenti e chiuso filiali, ti devi fare tutto online: ``è semplice'', ti dicono, clicca qua, clicca là. Ma io non ero riuscito a trovarlo questo link, dato che bisognava ravanare dentro menù esoterici e il primo e unico link in evidenza con scritto ``Aggiorna la tua MIFID'' ti portava unicamente al suggerimento di recarsi in banca... Sarà anche un problema d'interfaccia fatta male, di interazione web-utente del menga e così via, ma io me la sono dovuta incartare e ho risposto in presenza e alla vecchia maniera alle domandine MIFID sul rischio finanziario che tollero.

Ancora più interessante è stato il processo di richiesta della carta. Si segue una serie di schermate e forse è un deja-vù: mi scusi la rete è lenta, c'è l'aggiornamento del software, stamattina la rete è veramente più lenta del solito, non accetta la data, ``non importa, adesso forzo la procedura''... Sono abituato, lo siete probabilmente anche voi, aspetto con stoica pazienza che la mia consulente, ad occhio almeno 55 anni d'età, chiami la Mara, collega più giovane sulla quarantina e più informaticamente sgaggia. Al di là di alcune considerazioni sul digital gap delle generazioni più anziane - pensiero lancinante: mica mi manca tanto tanto ai 55 - la Mara fa progressi ma non siamo diventati schegge. E poi arriva il clou: ``la vuole la foto sulla carta?'' Beh, perché no? È una misura di sicurezza in più, se ti fregano la carta magari non riescono ad usarla nei locali mangiando a ufo, ve lo meritate ladri che non siete altro! Consegno docile la mia carta d'identità, con l'orrenda foto d'ordinanza di cui vado fiero, in cui sembro un serial killer di quelli crudeli e non pentito, e attendo che in un altro ufficio usino lo scanner. Il tempo passa, alla prima bancaria si aggiunge la Mara, il tempo passa. Dopo un po' scendo e vedo tre persone armeggiare sullo scanner, il tempo passa: 20 minuti x 3 persone = 1 ora, w la produttività! Però la Mara ha una marcia in più e avrà il mio sempiterno rispetto per aver staccato lo scanner USB dal computer della collega e averlo trasportato sul suo PC (lo avrei fatto anche io: ci sono tonnellate di casi documentati di apparecchiature non funzionanti su un computer per motivi del tutto ignoti che funzionano come pallettoni sul computer a fianco, del tutto identico a quello recalcitrante). In effetti, lo scanner funziona e Mara vede finalmente la mia faccia.

È fatta, no? Niet, messaggio d'errore: ``i colori sono innaturali'', ma va va... Toglie la carta dall'astuccio plasticato: risulto sempre innaturale; Mara prova con una cartellina di plastica lievemente opaca, lo trovo geniale, tipo effetto calza-flou di Berlusconi: ma purtroppo sono ``innaturale'' un'altra volta; prova pure ad acquisire la foto in bianco/nero: passo da ``innaturale'' a ``troppo ombre sul viso''. Mi sto per incazzare, è mattina e non ho bevuto un goccio di vino che sia uno! Mara è piegata ma non vinta e chiama il collega trentenne (e smanettone) che prova a cambiare i settaggi dello scanner: più contrasto, troppe ombre, meno luminosità, troppe ombre, va a ramengo, troppe ombre innaturali... poi di colpo, ripete la scannata due volte con lo stesso settaggio e, voilà, la foto va bene. Io e Mara gli chiediamo adoranti: ``ma cos'hai fatto?''. Sapete già la risposta: non ha fatto niente, la prima volta ero ombroso e innaturale, la seconda andavo bene anche se ero identico alla prima, io e i settaggi. La finisco qui ma non vi nascondo che la vicenda mi ha lasciato dei dubbi sulla produttività degli operatori di un primario gruppo bancario italiano e del suo po-po di IT e dei milioni che ci hanno speso. Un'ora in tre-quattro persone per una richiesta di carta Flexia o poco più. Certo, si può anche pensare che dipenda dal mio look da serial killer ma credo che tutti abbiano esperienze di quegli inutili, frequenti e sfiancanti combattimenti con i computer che ti fanno perdere tempo e quel che è più importante, pazienza e concentrazione.

Questa esondazione di gadget tecno-touch mi lascia perplesso anche in campo educativo: se non hai una LIM sei una merduccia; senza youtube rasenti il trash; online, connected, MOOC sono placche d'acciaio onnipresenti nella corazza di discorsi e documenti che sento e leggo in ogni momento. Senza la tua dose intravena di digital sei onestamente un figlio di NN e ti rimproverano anche di non voler andare in comunità. Se sapete chi sono forse condividete l'idea che chi scrive non è un luddista che aborrisce le tastiere: passo le mie giornate pestando tasti, adesso ho pure un Iphone con Google calendar, tweetto come un uselet, se non sai R (http://cran.r-project.org/) ti guardo male. Eppure mi chiedo se non sia il caso di rimettere le cose a posto e di smettere di confondere i mezzi coi fini: educare è il fine e lo si può fare in molti modi, bene o male; le tecnologie (LIM, video, Ipad...) sono strumenti che, come tali, possono essere usati male (è facile!) o bene (questo è molto meno semplice). Roberto Casati e il suo bel libro ``Contro il colonialismo digitale'' dice le cose con acume e competenza: i nativi digitali non esistono, la lettura (e aggiungo io, la buona scuola) va difesa dalla miriade di distrazioni a portata di touch. Lo vorreste voi come collaboratore o impiegato un drago del tweet compulsivo o del like multiplo, e whatsappatore frenetico? Non è meglio se ha imparato per bene alcuni concetti base del lavoro che fa, se li applica con accuratezza e concentrazione e se mette competenze diverse dal ``dito sfiorante'' nel suo bagaglio culturale?
Roberto Casati, "Contro il colonialismo digitale", Laterza
Ho sperimentato personalmente la mostruosa intensità didattica che può scorrere nelle vene di studenti e docenti quando l'interazione è mediata e moltiplicata dalla tecnologia. Ma credo ferinamente che non è questione legata al mezzo in sé: i buoni docenti incatenano l'attenzione degli studenti in presenza o online, ci possono essere differenze e sfumature ma la didattica di qualità non dipende dalla modalità d'erogazione e non necessita di LIM, ipad, video, bric e brac e altre amenità. Ho scritto non necessita, gli strumenti usati bene sono utili e a volte utilissimi ma è evidente (a me) che una buona bistecca me la posso mangiare anche a morsi e resta buona e che un buon coltello da cucina aiuta (ma non mi sogno di pensare che è meglio della bistecca).

Sto leggendo ``The organized mind'' di Daniel Levitin, è stato uno studenti di Amos Tverksy, premio nobel per l'economia. Racconta belle storie (quelle che se sei chic le chiami case studies), dice cose sane, dice (lo ripetono tutti da anni) che il cervello odia il multitasking e che le nostre capacità cognitive possono essere aiutate con saggezza delegando alcuni compiti intellettuali ad altro fuori da noi (la segretaria se ce l'avete, liste delle cose da fare, computer). Questo consente di migliorare l'organizzazione del pensiero, ridurre le distrazioni, controllare l'ansia da prestazione (intellettuale, la sessuale è un'altra storia!). Consente specialmente di lasciare che il cervello sia focalizzato su una cosa per volta, consente di esserci con la testa che è cosa difficile da fare fra app, like, smart-phone, sms, email a grappolo... In fondo, è una lezione antica che rasenta il precetto yoga di essere presenti a sè stessi nel momento in cui serve. A me vien in mente anche una versione mindfulness-like di Marx e della sua alienazione: avete presente i colleghi che a un seminario, consultano la posta e, contemporaneamente, messaggiano? In teoria sono li a fianco a te e pare che ascoltino ma non trovo esempio migliore di ``alienato'': sono altrove, la loro testa è fuori. Il che non vuol ancora dire che sono fuori di testa ma non ci manca molto...


Come ulteriore variazione sul tema, "La lettura" di oggi 22/11/2015 ha un pezzo sull'insegnante migliore del mondo (si, c'è scritto così: sono americani, portate pazienza, lo devono chiamare "Global Teacher Prize"). Io m'immagino una rampante collega iperconnessa, super-tecno, connection-savior che fa fare ai suoi studenti geek cose mai viste con le LIM, Ipad e wiki di cui parlavamo prima. Invece, Nancie Atwell di digital pare non avere nulla: una strepitosa signora coi capelli bianchi, china ad ascoltare i suoi studenti in un centro rurale di 1200 abitanti, in qualche pancia d'America:  
I get to demonstrate what is possible, teach what is useful, establish conditions that invite engagement, support the hard work of literary reading and writing, and enjoy the kinds of relationships with adolescents that drew me to education in the first place.
La sua filosofia è semplice, dice ai bimbi di leggere quello che gli pare, sperimenta e sedimenta metodi didattici nuovi, senza tecnologia digitale. Alla fine questi si leggono 40, quaranta?, libri l'anno. Ha vinto un milione di dollari (come Zio Paperone), li investirà nella sua scuola. Evvai, finalmente avranno la banda larga, o no? "Dobbiamo fare alcuni lavori e sistemerò i caloriferi". Si studia male al freddo del Maine, pazienza per i megabit e i touch-screen. Sono contento per i suoi alunni ma in fondo in fondo Nancie scalda il cuore anche a me.