- "The world according to Star Wars" di Cass Sunstein è il primo della lista e il link vi porta a una recensione che è molto più equilibrata di quel che penso io. Non sono un fanatico della saga di Star Wars e, anzi, non ne sapevo nulla prima di invaghirmi del saggio di Sunstein, professore ad Harvard e uno dei padri del paternalismo economico. Ma si tratta di un libro bellissimo per acume e divertimento, che sprigiona un vulcanino di idee che erompono ad ogni pié sospinto con la scusa dei ribelli e dell'Impero. Ci trovate racconti sfaccettati e idee per riflessioni e corsi su percezioni e scienze cognitive, stranezze comportamentali, femminismo, diritto costituzionale… oltre che lightsabers, cavalieri Iedi e principesse. Una bella domanda, la trovate all'inizio del libro, è "perché qualcosa/qualcuno ha successo?" Ci trovate esemplificate tre possibili risposte: per la sua qualità intrinseca (cioè è una cosa fatta bene o benissimo); perché si è innestato un meccanismo di passaparola che a un certo punto è diventato inarrestabile; e, infine, perché ha interpretato lo zeitgeist, sincronizzandosi col battito cardiaco di un'epoca. È interessante prendere atto che, forse, nessuna dei tre motivi è sufficienti (a volte cose bellissime finiscono in un fiasco, altre volte arrivano fuori tempo e già fuori moda…) e che serve sempre parecchia buona sorte. E Star Wars? Lascio a voi decidere ma forse pesca in ciascuna di quelle tre categorie. Buona lettura e buona visione!
- "Economia francescana" di Martin Carbajo Nunez, Edizioni Dehoniane Bologna (EDB). Interessante lettura con uno sguardo diverso sull'economia e sul recente passato. Prima che pensiate che sono diventato un bravo ragazzo fate un attimo mente locale: crisi, disoccupazione, debiti e fallimenti, risparmio tradito… non ci avevano detto che l'invisible hand avrebbe fatto tutto lei, che greed is good, che l'innovazione finanziaria avrebbe aperto luminosi sentieri mai battuti prima e altre consimili cagate? Non è semplice trovare nel testo di Nunez ricette semplici ma ci sono richiami a cose fatte bene, come i Monti di Pietà inventati proprio dai Francescani secoli fa, a idee sane che ricordano come il valore dell'impresa non possa trovarsi al di fuori del bene comune e molto altro che mi sembra giusto seppur di ardua messa in pratica come gratuità e fraternità… Lo so, non saprei come farci un modello ma per l'ennesima volta la massimizzazione dell'utilità dell'agente economico non funziona proprio (nemmeno in teoria) e ormai mi ha scassato del tutto (in pratica!)
- "Where you go is not what you'll be" by Frank Bruni è stata una lettura estiva da sballo. Bruni documenta e ragiona sulla mania che attanaglia migliaia di studenti e le loro famiglie ogni anno: arrivare ad essere ammessi in uno dei migliori college d'America. Avere ambizioni, uscire dalla comfort zone e alzare il livello dell'asticella è (anche) molto sano ma la psicosi fa male in tutte le circostanze e spinge, nel caso in questione, a sentirsi dei falliti solo perché ti hanno preso, tanto per fare un esempio, a Michigan piuttosto che a Yale. Ambedue sono atenei di prima classe ma uno è al 27esimo posto e l'altro è al top (o quasi) in una delle tante classifiche che al momento di spedire le application sono più importanti della Sacra Bibbia. La cosa comica è che essere presi qui o là non cambia nulla (zero, veramente niente!) ma il tarlo dell'università d'elite corrode la sicurezza dei non ammessi e corrompe, a volte per sempre, la loro capacità di sentirsi all'altezza. L'importante non è essere (migliori dopo aver preso una laurea di ottimo livello) ma avere (il timbro del jet set della Ivy e di un pugno di altri atenei). Ho letto il libro in vacanza mentre ero fresco reduce da una magnifica e intensa interazione con gli studenti di Harvard alla Ca' Foscari Harvard Summer School. Resto sempre estasiato dalla brillantezza e intelligenza degli studenti americani e, allo stesso tempo, da anni osservo che i nostri migliori studenti incantano né più né meno degli altri. Non è una regola, ci mancherebbe, e potrei scrivere 200 sfumature di grigi accademici ma noi siamo appunto intorno alla 200esima posizione al mondo e loro sono delle star…
Mi fermo a tre libri ma fra le menzioni d'onore altrettanto valide cito almeno "Orizzonti di Gloria" di Humphrey Cobb e "L'impresa responsabile" di Luciano Gallino.
Segnalo anche tre articoli non del tutto convenzionali (con l'eccezione del primo, forse), testimoni che quel che mi resta impresso si avvicina al new age in un modo o nell'altro.
- "Expectations of Returns and Expected Returns", Robert Greenwood, Andrei Shleifer, 2014, Review of Financial Studies, v 27 n 3. Dall'abstract: "The evidence is not consistent with rational expectations representative investor models of returns" o, per dirla un filo diversamente, le previsioni dei rendimenti raccolte nei sondaggi sono diverse dai rendimenti veri (quelli che si realizzeranno e quelli che si possono desumere da modelli che usano i fondamentali). Incontrovertibile e denso di conseguenze per chi è in grado e vuole intendere.
- "Models Are Stupid, and We Need More of Them", Paul Smaldino, 2015, scaricabile qui. "There remains widespread resistance among social and behavioral scientists to adopt formal modeling in their general research approach". Direi che è lo stesso sia fra molti economisti che fra i decisori e i politici: i primi sviluppano modelli ma poi non sono mai pronti ad applicarli a situazioni concrete, c'è sempre un caveat, non si può, non si deve, è ancora prematuro e via con excusatio non petita a iosa; i secondi, anche sfruttando queste incertezze, dicono sempre che i modelli e la scienza sono solo punti di vista e che le conclusioni che si possono trarre sono tante o opposte. Il risultato è che i modelli fatti bene restano esercizi di retorica più o meno raffinata e che le decisioni vere si prendono sempre a occhio, sempre in modo spartitorio, cane non mangia cane, per motivi politici. Quando va bene sono compromessi al ribasso e non di rado sono disastri… Così quelli che finiscono per essere stupidi non sono più i modelli ma siamo noi!
- Forse sullo stesso filone più di quel che sembra è "The strange case of Dr William Gowers and Mr Sherlock Holmes", Andrew Lees, 2015, Brain, 138. Oltre che un articolo è un elenco di letture e metodi per capire la potenza del pensiero analitico in cui Sherlock eccelleva. Non prendere fischi per fiaschi, prima i dati/fatti e poi le teorie e non il viceversa, attenti all'ovvio che spinge a dimenticare altre spiegazioni e, soprattutto:
perhaps the most important lesson to be learned, from both Gowers and Holmes, is the value of recognising your errors. “Gentlemen – It is always pleasant to be right, but it is generally a much more useful thing to be wrong,” wrote Gowers, while Holmes admits: “I confess that I have been blind as a mole, but it is better to learn wisdom late than never to learn it at all.”