Friday, November 01, 2019

Capire la mente di un artista con la matematica

Cercherò in questo post di mostrarvi come si possa usare la matematica per esplorare la mente di alcuni artisti ma, in realtà, il mio obbiettivo è solo quello di riprodurre qualcosa che potrebbe essere stato creato da un artista. In questo senso, sono un falsario perché fingo di comportarmi come un’artista e invece sto solo utilizzando i computer e la loro potenza di calcolo. Da un altro punto di vista vi descriverò alcuni degli strumenti matematici che in potenza possono catturare le idee degli artisti e riprodurle, letteralmente, produrle di nuovo, creando opere d’arte che non hanno mai visto la luce ma che avrebbero potuto essere create veramente.


La mia storia ha per oggetto il pavimento-mosaico disegnato da Carlo Scarpa per il palazzo Querini Stampalia, lo potete vedere in quest’immagine.


Nel 1961 Carlo Scarpa, con il determinante aiuto di un personaggio del calibro di Bepi Mazzariol, direttore della Fondazione Querini Stampalia, fu incaricato di rimodellare il piano terra e il giardino del palazzo e di costruire, fra difficoltà che meriterebbero di essere raccontate, uno dei pochissimi ponti moderni a Venezia. Come sapete, lavorare a Venezia è arduo perché si percepisce sempre il peso e la stratificazione di secoli di arte e interventi architettonici da parte di moltissimi maestri. Scarpa riuscì, come in altri casi, a trovare un sottile equilibrio fra innovazione e tradizione, e proprio lui diceva che la sola vera innovazione dev’essere radicata nello stretto rispetto della tradizione.



Non ho il tempo in questa sede per discutere le moltissime sfaccettature di quella che è ora chiamata ``l’Area Scarpa’’ e mi concentrerò solamente sul pavimento. Credo che si possa affermare che nulla del genere era stato ammirato prima. Vi mostro alcune figure per consentirvi di apprezzare questa magnifica complessità multicolore, nella speranza che possiate condividere le domande che mi sono fatto sul significato di questo pavimento.


C’e una forma di regolarità? Ovviamente no. Si tratta di un mosaico casuale? Ovviamente no, perché si vede immediatamente che certe combinazioni di colori sono più frequenti di altre; inoltre alcune configurazioni che dovremmo vedere spesso in una disposizione casuale non sono invece mai presenti. Sappiamo che Scarpa non disse ai marmisti di disporre le tessere a loro piacimento ma disegnò precisamente la loro posizione. Come dice Gombrich, nell’esperienza estetica ``il piacere spesso sta da qualche parte tra la monotonia e la confusione’’.

È possibile pensare che Scarpa avrebbe potuto fare qualcosa di diverso? Questo specifico pavimento avrebbe potuto essere diverso? Non lo sappiamo, perché l’architetto non ha lasciato spiegazione e non abbiamo la minima idea di quel che aveva in mente.

Bisogna dire che alcuni critici pensano, sic et simpliciter, che qualsiasi opera d’arte è unica e affermano che non potrebbe essere diversa da quello che è. Per esempio, un collega psicologo cognitivo, Paolo Legrenzi, dice in un bellissimo libro intitolato ``Regole e caso’’ che ogni lavoro di Jackson Pollock è unico. Guardate questo quadro, Alchemy, visibile alla collezione Peggy Guggenheim. Può essere unico, nel senso di fatto così e solo così?

Oppure condividete l’opinione che, in linea di principio, Pollock avrebbe potuto lanciare la vernice sul quadro in un modo leggermente diverso?




Beh, se questo è il caso, siete probabilmente vicini ad accettare l’idea che un Alchemy diverso era possibile, almeno se siamo in grado di capire in qualche modo che cosa c’era nella testa di Pollock e cosa avrebbe potuto fare di diverso quando la vernice sgocciolava sulla tela.

Il pavimento non è del tutto irregolare e siamo in presenza di qualche forma d’ordine, è difficile capire quello che succede ma abbiamo (io ce l’ho di sicuro) l’impressione che ci siano dei pattern e un ordine nascosti e non percepibile immediatamente.

Vedete la struttura ad elle ''o a tre quarti’‘ in cui tre quadrati di marmo dello stesso colore interagiscono con un quadrato di diverso colore. Lo stesso motivo era stato utilizzato anche in altre opere del ``Professore’’.



Da dove è venuta quest’ispirazione? Lasciatemi fare un passo indietro: qual’era la tradizione o, se volete, che cosa aveva visto Scarpa nel suo passato? Aveva fatto qualcosa di simile qualche anno prima del 1961 al negozio Olivetti in Piazza S. Marco.


Ovviamente la brillantezza dei colori ci ricorda la Querini ma, allo stesso tempo, questo pavimento è molto regolare. Scarpa utilizzò una pattern simile anche in altre opere.

Certamente, vide molti pavimenti tradizionali come quelli che vedete nella Basilica di S. Marco e provenienti dalla scuola cosmatesca a Roma, S. Maria Novella e S. Paolo fuori le mura.




Nondimeno, ovviamente, il mosaico della Querini è diverso pur trasmettendo la stessa sensazione di camminare su un tappeto di marmo.

Sono in debito con l’amico e architetto Guido Pietropoli che mi ha mostrato alcuni quadri di Josef Albers. È verosimile che Carlo Scarpa abbia visto queste opere (anche se non ne siamo certi, visto che questi lavori sono divenuti noti molto dopo che la serie degli ``omaggi al quadrato’’ fosse conosciuta).




Ma vide e apprezzò il lavoro del belga Jean Arp più di un decennio prima. Questa volta siamo certi che Scarpa vide l’opera di Arp perché decise di inserirla nella celeberrima Biennale del 1948 in cui allestì il padiglione di Peggy Guggenheim.



Quella Biennale fu un raggio di luce dopo la devastazione della seconda guerra mondiale e l’esibizione della sua incredibile collezione d’arte rese Peggy famosa e riconosciuta come una dei maggiori collezionisti d’arte del mondo. Ebbene, Scarpa collocò il collage di Arp in una posizione importante e, quindi, abbiamo la prova che conoscesse la forma ad elle che è presente sia qui che nelle opere di Albers.

Questa ricostruzione del padiglione mostra il quadro posizionato proprio vicino all’ingresso. Ho fotografato il plastico in una retrospettiva sul padiglione greco di Peggy al museo Guggenheim nell’estate del 2018.


Adesso è il momento di dare spazio alla matematica! Ho parlato di pattern, una struttura regolare che si può trovare in un sistema, in un’opera d’arte, in un quadro o in un mosaico. Come si possono trovare i pattern in una figura? È proprio qui che la matematica assume un ruolo.

Essenzialmente, il pavimento è una matrice e ciascuna tessera è un elemento di questa matrice. Quindi, voi vedete un pavimento ma io, in realtå, vedo una riga di numeri, uno per ciascuna tessera. Ora, ogni immagine è una matrice, è solo questione di tradurre ciascun pixel in un numero e otterrete la vostra matrice. E in matematica c’è una lunga tradizione di analisi di matrici (se la matematica vi impaurisce, è forse più sexy pensare che sto parlando di intelligenza artificiale o computazionale che altro non è che l’arte e la scienza di trovare modelli per descrivere i pattern, le regolarità, presenti in oggetti fisici o mentali, che includono il mosaico della QS).

Osservate questa immagine: la signorina si chiama Lena ma, credeteci o meno, è solo una (bella) matrice. L’immagine di Lena è la figura più utilizzata al mondo per sperimentare tecniche di manipolazione grafiche. Nell’estate del 1973, un assistente all’Università della California del Sud cercava un’immagine meno noiosa del solito per provare degli algoritmi descritti in un lavoro da sottoporre a una conferenza, era stanco delle figure noiose utilizzate fino a quel momento e cercava qualcosa di più ``patinato’’. Trovò e scansionò quest’immagine che, da quel giorno in poi, è apparsa centinaia e migliaia di volte in riviste scientifiche ed è di fatto diventata l’immagine test standard per confrontare tecnologie video (come compressione, filtri, correzioni…)

Il mio primo risultato matematico è il teorema di Eckart-Young, una specie di magia in grado di decomporre qualsiasi immagine (cioè qualsiasi matrice) in componenti semplici. Ecco il teorema.

Sia M una matrice m×n. Allora c’è una fattorizzazione di M, detta decomposizione in valori singolari, che prende la forma M = UΣV*.

Inoltre, questi valori singolari ci danno le migliori approssimazioni a basso rango.


Semplificando il giusto, il teorema afferma che potete utilizzare i valori singolari di cui parlavo prima e otterrete le più semplici approssimazioni possibili della matrice. Così facendo potete scoprire pattern semplici nascosti nella matrice e, tipicamente, potete descriverne le caratteristiche più importanti o salienti. Ad esempio, cosa si ottiene se estraggo da Lena queste componenti semplici e allo stesso tempo massimamente informative a livello grafico? Ottenete queste immagini:





Naturalmente, si tratta di una Lena super-semplificata ma spero possiate intuire che l’immagine originale ha molte strisce verticali. Il secondo pattern è questo… il terzo… il quarto…

Aspetta un attimo! Come mai non c’è più traccia della ragazza originale? Avete ragione, non la vedete perché state vedendo le componenti semplici una alla volta. Ecco quello che succede se vi mostro le prime 10 componenti tutte insieme.


D’accordo, questa non è Lena ma abbiamo fatto un ottimo lavoro perchè abbiamo ricostruito la maggioranza della sua struttura geometrica (cioè, le linee verticali, il cappello, l’ovale del viso) utilizzando pochi pattern ultrasemplificati. Per darvi un’idea, tutto questo equivale ad utilizzare solo il 5% dell’informazione contenuta nell’immagine originale. Il rimanente 95% è contenuto nell’immagine piena di dettagli che vedete, una concentrazione di particolari finissimi su un campo grigio.


Adesso siamo pronti per osservare le prime componenti semplici del mosaico di Carlo Scarpa, le costituenti di base del pavimento. È sempre difficile descrivere a parole queste immagini ma, ad esempio, nella prima io vedo isole tremolanti di tessere di marmo arancione su una campitura bianca e una griglia non troppo irregolare di quadratini vivaci rossi e verdi. Forse notate che gli angoli rossi sono sempre immersi in una forma ad elle di colore arancione e, in verità, nella seconda componente vediamo solo la combinazione verde-arancio in aree bianche molto più grandi di prima.



Adesso che disponiamo di un modo per determinare pochi pattern molto informativi, grazie al teorema di EY, come possiamo riprodurre questi pattern? Per il momento, non sappiamo il significato dei pattern e nemmeno come generarli. E, nuovamente, la matematica ci viene in soccorso.

Spesso matematici, ingegneri e informatici devono risolvere problemi difficili. I problemi possono essere difficili per molte ragioni ma sono particolarmente ardui quando non è noto con precisione cosa si cerca e, ad esempio, l’obbiettivo è replicare qualche regolarità presente nei dati passati. Fatemelo ripetere: voglio riprodurre “patterns’’, anche se non è noto comee che cosa significhino. Per problemi del genere si può utilizzare una famiglia di strumenti computazionali chiamati”algoritmi genetici’’.


Un algoritmo genetico è una procedura che imita l’evoluzione, sviluppata da John Holland all’Università del Michigan e dai tedeschi Ingo Rechenberg and Hans-Paul Schwefel. In sostanza, partite da una popolazione completamente casuale di soluzioni, valutate la loro performance, qualsiasi cosa questo significhi, e lasciate che la popolazione evolva in generazioni in cui i candidati migliori figliano altri candidati. Pensate a mamma e papà: possono produrre quello che chiameremmo un figlio, cioè un incrocio, un’altra soluzione, un’altra matrice, un altro pavimento… che potrebbe ereditare da papà e mamma alcune delle loro buone proprietà. Chiaramente si tratta di un processo turbolento e in parte casuale, a volte si migliora a volte si peggiora ma i figli possono essere di ottima qualità e possono anche superare i genitori in alcuni casi.

Sfruttando questa semplice idea, gli algoritmi genetici si sono dimostrati negli anni in grado di risolvere problemi complicati, esattamente come gli esseri viventi sono generalmente in grado di adattarsi con successo alle condizioni ambientali e anche di sopravvivere in situazioni ostili. Inoltre, l’idea è in sé molto semplice e si può applicare a contesti diversi senza che sia necessaria una comprensione approfondita del problema. Bastano, una popolazione iniziale (nel nostro caso, una serie di pavimenti) e modi per lasciarli evolvere alla ricerca di prestazioni migliori, favorendo gli individui di maggiore successo (cioè i pavimenti che più incorporano i pattern semplici fondamentali osservati prima).
Forse, allora, non è sorprendente che gli algoritmi genetici possano essere utili per riprodurre alcuni dei pattern estratti da immagini, anche se non è agevole dire come né descrivere verbalmente il significato di quanto si trova. Quello che vi ho detto di può riassumere come segue: Un po’ di spirito critico aiuta e vale la pena ricordare che:
  • non sappiamo che cosa è generato dall’algoritmo nel senso che non siamo in grado di descriverlo verbalmente. Abbiamo utilizzato una scatola nera che non ci consente di vedere il meccanismo ma solo di ispezionare i risultati;
  • il pavimento prodotto dall’algoritmo è simile all’originale di Scarpa? Non lo sappiamo. Ma approssima alcune sue proprietà fondamentali e inoltre, ogni volta che uso il programma, si ottengono pavimenti diversi per la presenza di casualità nel processo (ma in un certo senso, tutti i risultati sono fratelli).
E ora vi mostro tre esempi di pavimento-mosaico. Qual’è l’originale di Scarpa? Che siate in grado, o meno, di distinguere quello vero potrebbe avere scarsa importanza e sarebbe già un onore aver creato pavimenti possibili…




Per concludere, possiamo dire di aver capito, intendo capito veramente, quello che Scarpa aveva in mente? Non lo so e anzi, in tutta onestà, credo di no. Tuttavia, abbiamo catturato alcune delle caratteristiche profonde e fondamentali di quella disposizione di tessere, marezzata, cangiante, accogliente e vivace. A uno nato in campagna come me, a pochi km da S. Vito, veder fiorire ``spontaneamente’’ pavimenti così belli pare pur sempre una specie di miracolo.

Scarpa morì nel 1978 a Sendai mentre era in Giappone. Abbiamo ricordato da poco i 40 anni dalla morte. Ci manca il suo genio, la sua umanità e il suo lavoro. Ci manca il coraggio e il talento di spiriti liberi e folli come lui, che sapevano seminare novità e bellezza in una città come Venezia, cosi suggestiva e incantatrice da essere intimidatoria. Scarpa ci manca ma spero che condividiate l’illusione che la matematica possa catturare, o forse solo rubare, alcune delle idee e dei doni che l’architetto ha lasciato a questa città e a noi tutti. Grazie per l’attenzione.



26/10/2019 v. 1.1 (Escher)

Wednesday, August 21, 2019

Quanta fretta, ma dove corri, dove vai

La fretta è cattiva consigliera, si scambiano fischi per fiaschi, c'è il rischio di sovrareagire... Io, al contrario, scrivo questo post con plantigrado ritardo, colpevole di essere stato in ferie 10 giorni a Porto S Margherita (non è il Papeete, vabbé, a ciascuno il suo) e della molle pigrizia che alberga nei radical-chic.

Eppure l'idea del post era nata alle 7.30 di due settimane fa, quando sorbendo il mio caffè amaro in una Piazza dell'Università bella e svuotata dal sole agostano, leggo un sugoso articolo sulla Tribuna di Treviso. Il pezzo racconta le gesta del Bansky de noantri che nottetempo pittura sul ponte della gobba un Salvini diavoletto che sbaciucchia una croce con annessa corona del rosario. Lo sguardo del capitano non è scevro di un bagliore luciferino che, adesso è troppo facile dirlo, faceva presagire che avesse qualcosa in mente. (ogni riferimento al duello di cappa e spada in Senato di ieri è fortunoso)


Uno non fa tempo a dire "ma guarda che simpaticoni!" che l'articolista continua con l'anatema del nostro sindaco il quale con velocità stratosferica ha già dichiarato che "è brutto, non è arte, lo faccio cancellare". Ma come? E dai, ripensaci un attimo Conte (sì, si chiama proprio Conte... varda i casi della vita!) A noi il murales piace, è spiritoso, e la passione per l'immacolato cuore di Maria e la vergine nera di Częstochowa sono ben radicate nella nostra politica.

Mi propongo di prendere la fida Nikon 1 e fare una foto all'opera prima della cancellazione, tanto dopo devo passare per l'alzaia e magari ci faccio un post un po' ironico. Pensavo di aver un po' di tempo e prima vado in centro a fare una commissione in un'agenzia, tanto mica è urgente. Insomma, fra una cosa e l'altra arrivo al ponte della gobba alle 8.27, avendo già intravisto il sinistro furgone degli stradini comunali. Pochi secondi dopo non posso che constatare che il graffito è stato già cancellato dall'urbs picta. Cazzarola, neanche Speedy Gonzales! il tempo di Tribuna, caffè, centro, ponte... e puuf, andato! Ho mancato lo scoop per un attimo e gli operai ripieni di zelo mattutino stanno già dando una mano compatta di un salmone malaticcio sotto l'arco del ponte. Mi vedono fare due foto postume, scherzano e dicono: "finiamo sulla Tribuna?". Gli dico di non preoccuparsi e mi consolano dicendo che se fossi arrivato 5 minuti prima lo avrei visto. Guardo il lavoro: bello, bello veramente, mezzo tunnel è stato "rinfrescato" mentre il resto resta pieno di scritte e "disegni" a spray. Mi posso solo immaginare il ghigno mefistofelico del Matteo e del suo rosario affiorare dalla vernice fresca.


Rimonto sull'olandesona Mondial e mi rimetto in strada per andare dalla Elisabetta, la fisioterapista regina del mio gran dentato. Ma complice l'aria frizzantina, mi chiedo insolentemente quali sono le ragioni di questa fretta? Schizzare come molle per salmonare un affresco fatto bene, con quel tanto d'effervescenza che fra qualche tempo lo avrebbe fatto comparire sulle guide turistiche, "venghino signori, venghino a vedere che cosa pure si disegnava nel feudo dello sceriffo e del Conte nel 2019"... Ma perché? Non ci sono cose più importanti da fare in tempi brevi? Che ne so? Buche da tappare, lavori da fare, lampadine da cambiare, cartelli da raddrizzare e chi più ne ha più ne metta. A volte vedo sui muri di tutto: oscenità, piselloni, passerine e via andando in gloria con svastiche, croci runiche, offese a vivi morti brutti belli sacri profani bianchi e neri. In quei casi passano a volte settimane prima che salopettes pietose armate di secchio e pennello ricoprano misericordiosamente. Stavolta sono bastate letteralmente poche ore. La prossima volta se uno fa un disegno un filo più abrasivo che cosa facciamo? Gli mandiamo i Navy Seals con l'elicottero apache?

E poi, che senso ha ridipingere solo mezzo tunnel? Una metà è salmone (con un tono vagamente indisposto) e l'altra ha scritte e potacci vari tal quali a prima. Adesso ci troviamo con un inciucio di ponte, indeciso fra il salmone (che sia rosso-giallo?) e la lotta anti-sistema in puro stile writer.

[Il post è finito ma la storia continua, al contrario di quel che diceva Fukuyama. Qualche giorno dopo al posto del diavoletto è comparsa una cornice dorata, vuota e inquietante, con etichetta dalle scritte cancellate in nero pece. Tanto di cappello a chi ha risposta ai colpi di pennello con un'altra trovata spiritosa. Stavolta il sindaco ha apprezzato: meno male, temevo che all'indomani gli operai comunali murassero il tunnel e addio ponte della gobba! 



Inoltre segnalo che, a margine della (discussa e sacrosanta) predica del nostro vescovo, la diocesi ha diffuso un documento a cura della Commissione diocesana per la Pastorale sociale e del lavoro. Vale la pena leggerlo, lasciando perdere per una volta tweet a effetto e social, per provare a ragionare su quello che ci sta succedendo: "Questi territori che sempre sono stati operosi, accoglienti, disponibili all’aiuto si stanno sempre più chiudendo in sé stessi, al punto che sempre più frequente si avverte la paura degli altri (chiunque), accompagnata dall’auspicio che intervenga qualcuno che risolva tutto con 'forza' ". 
Dimenticavo, finché scrivevo ho ascoltato ripetutamente e ossessivamente "Il rock di capitano uncino" di Eduardo Bennato, anche le parole sono da brividi!] 


Sunday, May 19, 2019

Scarpa a Palermo

Il tassametro segna 61 euro e chiedo al tassista come mai, il prezzo per la corsa centro Treviso - Marco Polo dovrebbe essere 50. Il tassista si riprende e prova la sottile strada di distinguere fra corsa su strada normale e autostrada. Io so bene che ha pagato 2.60 di pedaggio e andiamo professionalmente sul 55, puta caso una via di mezzo fra 50 e 61. L'interazione coi tassisti tende ad essere sempre speziata, c'è poco da fare, è un caso in cui "sapere è potere" senza eccezioni (pur nella difficoltà di sapere tutto prima).

L'aereo Volotea arriva da Nantes e c'impigliamo in uno sciopero dei controllori francesi, alla fine saranno due ore e 20 di ritardo da Venezia. Io penso erroneamente 220 e mi vengono in mente i multipli di 11 che qualche critico ha trovato nel lavoro di Scarpa, quantunque finora non sia riuscito a capire che tipo di ragionamenti fanno, eppure di multipli me ne dovrei intendere.

Stiamo andando a Palermo, al SoleLuna Doc Rassegna Architettura a Palazzo Branciforte, occasione per mostrare il documentario di Riccardo De Cal "Nel cuore muto del divino" assieme ad altre due opere fra cui "L'anima segreta delle cose" su Tobia Scarpa. In volo ci raccontano pure che il comandante si chiama Bressan ed è di Padova e che una hostess è di Bassano, equipaggio e buoi dei paesi tuoi! Arriviamo ovviamente in mostruoso ritardo. Stavolta però saltiamo sul taxi sharing (uscendo dallo scalo sulla sinistra), furgone ducato con 8 persone a 7 euro l'uno, l'autista non scende mai sotto i 100 finché l'autostrada glielo consente, preciso ed efficace. Ci lascia di fronte alle Poste e ci indica pure quale strada prendere, il luogo della proiezione dista forse 150 metri. Entriamo alle 20.35, le due ore e 20 di ritardo si sono ridotte a 5 minuti e io mi chiedo perché il taxi sharing da noi non c'è e se sia destino che al sud spesso le cose s'aggiustino per il rotto della cuffia (negli altri casi si sbatte, normale!)

Fanno cenno a Lucia che sono arrivato e, anche se sono presente in via non ufficiale, menziona me e Ca' Foscari. Quando sarà la mia ora presento a braccio il flim, parlo per 5 minuti di un'opera che reputo appassionante e che conosco bene, spero di avere detto cose sensate e aver gettato ponti fra Venezia e Palermo, uno degli altri posti dove Scarpa ha lasciato tracce profonde e bellissime. In una sala confortevole e modernaq ci sono almeno 90 persone sulle poltrone rosse, vedono le immagini dell'aula Baratto e il modo in cui Scarpa sistemò questo luogo di grande bellezza nel 1936 e nel 1956. Applaudono, ma è serata tecnica e parte subito l'mp4 con l'intervista di Tobia, immaginazione e poesia strepitosa nelle sue parole.
Sala proiezioni di Palazzo Branciforte, 9 maggio 2019, "Sguardi di luce" 
A cena incontro Lucia, Clara e altre persone non lontane dai sessant'anni. Assaggio poco anche perché sono concentrato sulla conversazione (come dice il commissario Montalbano, non bisognerebbe parlare mentre si mangia, pazienza!). Le cordialissime persone che ho intorno non hanno nulla da dimostrare, vengono da famiglie importanti, spesso d'imprenditori di successo. Potrebbero "nascondersi" in una situazione di benessere economico e culturale e tenere un profilo bassissimo ma, invece, s'impegnano in attività culturali e pubbliche e apertamente legano i loro sforzi al tentativo di porre l'accento sui diritti umani, sulla necessità d'integrare gli stranieri e di essere inclusivi.
Il gelsomino è un fiore migrante – dice Lucia Gotti Venturato, fondatrice del Festival SoleLuna... In ogni Paese che lo ha accolto, il gelsomino ha portato e continua a portare bellezza e profumo. Così può essere anche per gli esseri umani se c’è un terreno culturale fertile. (source)
Li guardo ammirato da un coraggio che non sono obbligati a mostrare e mi chiedo perché rischino non so bene cosa in un'Italia in cui tira un'aria strana, impregnata di razzismo e sovranismo da quattro soldi di un governo a suo modo diviso e politicamente debolissimo, stretto fra le sparate nordiste di Salvini e il populismo naive e napulè di Di Maio.



Palazzo Steri e il suo scalone
il giorno successivo, dopo un passaggio di controllo alla pasticceria "Costa" ai 4 Canti - ci era stata descritta come una delle migliori di Palermo- visitiamo lo "Steri", sede del rettorato dell'Università di Palermo. Vediamo le prigioni dell'inquisizione, stanzoni dove gli spagnoli hanno torchiato infedeli, streghe, strambi, comunisti (ante litteram) e chiunque altro per qualsiasi motivi fosse comodo mettere alla berlina (oltre che in galera). La guida è una ragazza potente e formosa, capelli e occhiali corvini e perfetta proprietà di linguaggio, ci racconta storie terribili di abusi, torture e agonia, e anche del riscatto di fra' Martino Vela messa per iscritto da Leonardo Sciascia in ``Morte dell'inquisitore''. Vediamo anche i lavori di Carlo Scarpa, un'altra scala sontuosa, un ingresso inconfondibile (ora non più utilizzato) e grate-gelosie di ferro alle finestre.

Vucciria di Renato Guttuso. Il dipinto è ora in una piccola sala conferenza (ed ex cappella del palazzo, in attesa che terminino i restauri del salone.
Ci raggiunge Andrea che ci porta a mangiare a Porta Carbone pane e panelle (Cesira) e pani ca' meusa (noi due) lungo la cala. Grazie!


Nel pomeriggio andiamo a Palazzo Abatellis e rimango folgorato dalla bellezza dell'allestimento di Scarpa, che riesce a fare rifulgere le opere come gemme, guidando il visitatore e suggerendogli dettagli mirabili e scorci incredibili, come quello del Trionfo della Morte, incastonato in una nicchia che si può, quasi cinematograficamente, vedere sia dalla platea che dalla galleria.



Ci rechiamo a Palazzo Butera, cantiere aperto voluto e finanziato da Massimo Valsecchi. Sorvolo sul magnifico edificio e sulla salita al turrino da cui si gode una vista magnifica sul golfo e sulla città dato che mi preme tornare a sottolineare il ruolo di Valsecchi: (ex?) milanese, broker, collezionista d'arte, deciso a mostrare che Palermo merita di più e che il suo modello d'integrazione secolare (di arabi, normanni, spagnoli, francesi, siciliani) può funzionare in quest tempi bui. E non lo dico perché, romanticamente, immagino le sue motivazioni: non ci crederete ma a un certo punto ci viene a trovare assieme a Claudio e si ferma a lungo a discorrere con noi, "che veniamo da Ca' Foscari". Sono basito e grato del suo tempo, è persona che sta mettendoci del suo per provare a suo modo a cambiare il mondo, restaurando un palazzo a Palermo e mostrando una collezione d'arte moderna per arginare la barbarie di chi ci governa e l'asfissiante miseria di visione di chi ha il timone. Valsecchi è pacato, carismatico, nelle stesse maniche di camicia da lavoro in cui l'ho visto fotografato in un'articolo del Sole 24 ore che descrive quello che tenta di fare. Il sito di Palazzo Butera è chiaro:
Oggi le migrazioni rappresentano un fattore di crisi del progetto europeo e la Sicilia, con la sua storia millenaria, può costituire un rinnovato esempio di accoglienza e integrazione. In Sicilia, a Palermo, il quartiere della Kalsa porta i segni di questa stratificazione storica e culturale, che fa da sfondo alla rinascita di Palazzo Butera.

La serata si conclude in una cattedrale illuminata per la cerimonia in cui il vescovo abbraccia le nuove coppie che, a breve, si sposeranno, con tanto di inconsueto rinfresco a biscotti e aranciata nella navata di sinistra. Tornando verso Via Giacolone, nell'ottimo airb'n'b in centro suite, salita al campanile del monastero di S. Caterina (visita completata all'indomani per vedere in chiesa lo sfarfallio del barocco più pirotecnico e sovraccarico che io ricordi).



Sabato è dedicato al Palazzo dei Normanni, al microcosmo di bellezza che è la Cappella Palatina e a un altro museo bello bello, il Salinas. Non siamo in molti all'archelogico, dove si mostrano straordinarie collezioni che testimoniano quanto i greci avessero trovato in questa terra un'altra patria. Tutto è esposto con brio e cura e i cartellini mi ricordano sempre quanto i fondi della Comunità Europea ci abbiano aiutato a condividere le bellezze italiche col mondo. A costo di essere noioso, nuovamente penso alla vulgata sguaiata che vede nell'Europa la radice di tutti i mali e mi ripropongo di non cadere nelle trappole che ci vengono tese da chi sfrutta la pancia e gli slogan senza inserire un neurone che sia uno nei discorsi sbraitati nelle piazze e sui social.

A pranzo al Mercato del Capo, onduline aggraziate per coprire i lavori in corso e contatore volante in bella vista
Uno scorcio della Cappella Palatina
Il viaggio di ritorno di Ryanair merita di essere raccontato. Constato amaramente che ormai sono rigidissimi e non si porta nulla se non ha pagato il sovrapprezzo per la priority, il bagaglio registrato e tutto quel che ci va dietro. Per stavolta resiste il mito della cassata: "questa ce la lasciate portare, vero?" e non non ha il coraggio di dire di no. Pago i miei 20+20 euro per i due trolley, la cosa un po' mi ruga ma sono anche ben consapevole che avrei pagato 26 euro l'uno se avessi comprato lo spazio quando ho fatto il check-in online, tittamorticani!

La crisi di panico del passeggero seduto quasi a fianco di Cesira preannuncia rogne e, infatti, un minuto dopo le hostess danno la notizia che saremmo atterrati a Bologna perché le condizioni meteo a Treviso erano inadatte. Il giovane è bianco terreo, agitato, "ma stiaamoo cadeendo?" e così via. Non avevo mai visto un episodio del genere con qualche passeggero che prova a tranquillizzarlo e Cesira che gli accarezza la mano. Alla fine smette di pensare a come divincolarsi e si calma, poi tocchiamo terra a Bologna e le cose si pacificano anche se altri maschi alfa e giovani sono evidentemente (mi pare) troppo scossi e scalpitano ansiosi in attesa di sapere che cosa faremo. Le hostess quasi non fanno una piega, traducono le spiegazioni del comandante, stiamo aspettando notizie da Dublino, ci faranno sapere fra 10 minuti, ci faranno sapere fra 15 minuti, ci faranno sapere... e basta. Alle 11.00 TSF chiude e alle 11.30 ci dicono che partiranno i pullman per Treviso a mezzanotte e un quarto. Panino e banana al Carrefour dell'aeroporto e poi coda con qualche tensione per prendere l'autobus sul piazzale, quasi 200 persone obbligano a cercare vari mezzi e siamo tutti sbattuti e stufi, nella notte bolognese fredda e piovosa. Due ragazzoni in giubbotto catarifrangente arancio fanno da steward e hostess, lei è una montagna alta almeno un metro e 90, non perdono mai le staffe, provano a mettere ordine e lucidità, "caricate la valigie", "il prossimo pullman sta già arrivando" e così via. Stanno aiutando passeggeri stranded per il maltempo da ore, già 800 persone che dovevano atterrare a Milano che ha chiuso per la grandinata. Poi siamo arrivati noi. Partiamo alle 24.35, su un bel mezzo confortevole e via in autostrada. All'1.42 la simpaticissima Nicole, forse meno di 4 anni, si sveglia e in lacrime chiede di fare pipì, non ce la fa più. I pianti dei bambini sono sempre potenti, perché sembrano inconsolabili e giusti (e forse è proprio così, alto che le fisime di noi grandi). La sua dolcissima mamma siciliana non la lascia mai andare, le parla, non c'e scelta dato che il bus non si ferma e la convince alla fine a farla in corrispondenza della porta posteriore. Nicole, che usa vocaboli disponibili di norma a bambini gradi il doppio, è costretta ad accettare e fa quel che deve ("ma come", avrà pensato, "non mi avevate detto per anni che dovevo farla nel water?") e poi disperata deve ammettere di essersi anche bagnata. ti credo, avete provato a farla in corsa sulla porta posteriore del bus? Poi sfinita crolla e si riaddormenta, dopo aver conquistato il rispetto di tutti i passeggeri. Arriviamo alle 2 e 30, avevamo preso la corriera Prestia-Comandé alle 17.30 da Via Roma, non male come viaggio! I taxi al Canova non ci sono, la notte di Treviso non è quella di New York che non dorme mai, tutti fanno quel che possono e continuo a provare fino a quando il RadioTaxi mi risponde. Saliamo in macchina alle 3.00, ospitando un militare che portiamo a Viale Montegrappa. Arriviamo a casa alle 3.12, cassata in frigo alle 3.15: poverina, un po' di caldino se l'è preso pure lei ma è il nostro orgoglio e possiamo pur sempre dire missione compiuta!

Espositore della Pasticceria Costa, 4 Canti, Palermo.