Stavolta non posso perdere l'occasione di lasciare traccia sul blog di questo breve viaggio pomeridiano a Casteo per impiantare un sensore sottocute. Non vi tedio nemmeno con i motivi per cui da adesso e per tre anni, se non c'è bisogna di intervenire prima, sarò monitorato con un aggeggetto bello tecnologico che salva i dati e li manda di tanto in tanto su rete cellulare all'infermiera Paola di Montebeuna che ci butta un occhio e mi avvisa se necessario. Sono state tre ore che percepisco come gloriose per almeno tre motivi.
Mi ci vuole un certo coraggio per scriverlo, ma torno in un posto che rappresenta uno dei pochi buchi neri della mia vita. Per fare la solita anamnesi spicciola e tricotomia, mi portano esattamente nella stanzetta che conosco bene perché è dove ho visto il corpo e salutato mio papà quando è morto, disteso su un lettino, apparentemente sereno. Ricordo con lancinante chiarezza quei momenti in cui provi a renderti conto di quel che è successo, col neon che sembra abbagliante e il respiro che diventa strano e ti si infossa dentro per contenere anche tutto il resto.
Ci ero già stato in diversi altri casi in quel ripostiglio, dopo la volta di papà, per parlare coi medici di altri pazienti ed era sempre stato un gran pugno nello stomaco, un ricordo fisico, cristallizzato in una reazione corporea che mi aveva nuovamente riportato al dolore tagliente di quel giorno, di quella luce troppo livida, di quella salma che era anche parte di me. Mi ero sempre chiesto com'era possibile ricordare con tanta concretezza materiale: non c'entra la testa, era un cosa di corpo, una frustata in cui risenti le sensazioni e i ricordi tornano a incidersi sulle membra e sui sensi fino a farti traballare. Eppure stavolta no. È passato del tempo, poco più di tre anni, forse dipende dal questo, ma sono entrato e ho capito che la musica era cambiata. Era sempre là ma mi faceva compagnia, ciao papà, mi è scappato uno strano sorriso, avanti sempre, avanti tutta, grazie. È stupefacente come un luogo di dolore possa trasmutare in uno spazio dove si prendono cura di te e, per di più, tu ti senta guardato dall'alto e avvolto in un'aura paterna. Cose dell'altro mondo, no?
Il secondo sorriso me l'ha strappato l'infermiera che parla quel veneto solido e diretto di chi non ha bisogno di usare l'italiano per darsi un tono. Il veneto funziona benissimo, quando non si usa come arma per escludere i diversamente eguali come fanno certi leghisti da strapazzo, anche se si parla il medichese e si usano termini come loop recorder, ICD (in veneziano, i-si-ddi) e si elencano antibiotici e farmaci. Manuela mostra competenza, fa il suo con una cordialità diretta e priva di affettazione, chiede, ha le giuste spaziature, ascolta, compila le schede, sempre discorrendo in questo bel veneto sonoro e semplificatorio (l'italiano lo usa solo per iscritto nelle schede!). Finiamo e sono pronto: contento è una parola grossa ma forse mi serve qualcosa in più, che il vocabolo giusto sia sereno?
In reparto, emacs in azione e scatola col Medtronic da mettere sul comdino. |
C'è un terzo motivo per cui sono esaltato, pestando solo soletto sui tasti del "salotto" del reparto, dopo che ho pure spostato il tavolo per poter attaccare il portatile alla spina. Sono fiero della scienza, del mio internet e del monitor cardiaco impiantabile, della sapienza meccanica del personale che rade, impianta aghi, collega fili, posiziona ossimetri, fa un tampone rapido al volo, come se fossero meccanici di fronte a un cofano aperto, aggiustando con semplicità quello che si può aggiustare, preparandomi al resto e spiegandomi il senso di quello che stiamo facendo. Io sono queo del lup recorder e loro grondano conoscenza scientifica, fallibile finché si vuole, ma capace di gettare lame di luce nell'ignoranza e iniezioni di speranza contro malattie strane (che qui abbondano, io sono di gran lunga uno splendore di salute, beo fal sol, se mi confronto con gli ospiti dell'intensiva, stroke unit e degenze varie). Sono orgoglioso del percorso della scienza, di quel che abbiamo capito con enorme fatica in centinaia d'anni di sforzi, studio, rigore intellettuale e discussioni. E ne sono ancora più fiero in questi tempi intrisi di virus ma anche di no-vax e mentecatti vari che sembrano incapaci di fidarsi di quello che abbiamo capito e preferiscono riempirsi la testa di puttanate lette su qualche forum, complotti inverosimili e dicerie sparse da santoni biodinamici e olistici che quando poi hanno bisogno corrono a tutta velocità in pronto soccorso. Pochi righe fa parlavo di aura e ora vi dico vergognatevi e vaccinatevi, o perduta gente!
La borsa del ghiaccio che staziona sul pettorale sinistro è ormai un sacchetto di acqua fresca, mi devo essere scaldato scrivendo e fra poco mi daranno la lettera di dimissioni, dopo un pomeriggio che non t'aspetti, ospite di un sistema sanitario civile ed efficiente, che d'ora in poi mi terrà d'occhio e in cui le infermiere m'impressionano, come al solito, per elasticità e forza. Quasi come eroine, sempre e solo giovani e belle!