Dopo l'audizione in Consiglio Regionale del 26 gennaio 2022, in cui si è formulato l'auspicio che le misure siano rifinanziate, ho pensato di inserire queste considerazioni nel blog. Sono distorto e forse ogni scarrafone è bello a mamma soja, ma spero che le riflessioni mie e di Caterina siano interessanti. Buona lettura!
Perché l'età legale minima di pensionamento in Italia è di 67 anni ma, di fatto, si va in pensione in media a 62? La domanda è una delle tante che si possono porre a una platea interessata a capire meglio la situazione previdenziale del nostro paese, le sue particolarità e anche le sue difficoltà presenti e future. A tutti gli effetti, quello previdenziale è un tema che tradizionalmente infiamma gli animi nel nostro paese e da decenni assistiamo, a volte un po' sorpresi, a volte quasi sgomenti, a continue modifiche delle norme che regolano età di pensionamento e l’ammontare della tanto agognata pensione.
Diversi temi sono senza dubbio centrali per chi operi nell'ambito dell'educazione finanziaria, la “nuova” disciplina che si propone di offrire competenze e capacità pratiche al cittadino, orientando le sue scelte a principi di prudenza e razionalità e rendendolo consapevole del valore di numerose scelte che, quasi quotidianamente, hanno a che fare con denaro, risparmio e investimento e che possono avere grandi effetti sul suo benessere economico e sociale. Si citano spesso, per la loro rilevanza, i concetti di interesse o rendimento, la diversificazione e la necessità di comprendere cos'è l'inflazione e come difendersi dall'erosione di valore che questa comporta.
Sede centrale dell'INPS a Roma, EUR (da https://it.wikipedia.org/wiki/Istituto_nazionale_della_previdenza_sociale) |
Eppure il tema delle pensioni, come prova la domanda che ha aperto questo testo, si impone forse con abrasività ancora maggiore fra quelli che dobbiamo affrontare con la popolazione per almeno tre ordini di motivi essenziali.
In primo luogo, ci sono ragioni legate all'inevitabile complessità e varietà delle opzioni e degli strumenti disponibili. Solo per dare un'idea, pochi comprendono a fondo la differenza fra fondi aperti, fondi negoziali, piani individuali pensionistici e, addirittura, fondi pensione ``preesistenti''. L'adesione a uno qualsiasi di questi schemi, se è possibile, richiede di conoscere regole e meccanismi, che seppure relativamente semplici, sono tutt'altro che noti e possono interagire con altri istituti come il TFR, il trattamento di fine rapporto, e la tassazione dei proventi e delle rendite pensionistiche.
Una seconda fonte di interesse sta proprio nella inevitabile ricchezza delle norme (e casi, sotto casi, fattispecie e cavilli) che paralizzano e imbrigliano il ragionamento di chi si appresta a scegliere un fondo e non può conoscere, senza aiuti professionali e competenti, norme che alla fin fine incideranno sulla sua vita da pensionato, riducendo o aumentando una componente importante dei mezzi di sussistenza in uno dei periodi più interessanti della vita, quello in cui ci si può aprire a esperienze nuove liberati dalla routine, bella o brutta che fosse, del lavoro.
Infine, in pubblicazioni divulgative o in occasione di eventi di formazione e informazione quali quelli proposti dalla campagna regionale “Il futuro conta”, è fruttuoso anche pensare in grande e discutere un terzo insieme di fenomeni, quasi di natura “storica” e “sociale”. Le nostre pensioni, infatti sono quelle che sono per la necessità di cambiare un patto intergenerazionale, passando da un modello a ripartizione pura, in cui il giovane di oggi versa i contributi che servono a pagare le pensioni all'anziano che esce dal mondo del lavoro, a un modello contributivo in cui tendenzialmente ognuno “fa per sé” e riceverà dai vari pilastri pensionistici esclusivamente a seconda dei contributi che è riuscito a versare durante la vita lavorativa.
Questo cambiamento di approccio dipende, in ultima istanza, dal bisogno di rendere sostenibile il nostro sistema di welfare di fronte a una situazione demografica nazionale che non è esagerato dire drammatica. Viviamo in un paese fra i più longevi al mondo, dove fasce sempre più ampie di concittadini beneficiano di un aumento della vita media ma avranno anche bisogno di aiuto e assistenza medica e relazionale. Viviamo in un paese in cui nascono pochi bambini (e il numero dei neonati secondo l'ISTAT è calato ancora per l'incertezza scatenata dalla pandemia) e, in prospettiva, questo ridurrà la forza lavoro e anche la capacità di coltivare innovazione e vitalità da iniettare nella cultura, nell'economia e nella società. Viviamo in un paese in cui la disoccupazione giovanile è un'emergenza che non cessa mai e chi lavora spesso lo deve fare con enorme fatica, con contratti episodici e in un “tira e molla” fatto di una precarietà estenuante che spesso dura decenni.
Le sfide sono enormi e in realtà l'argomento pensioni è un crocevia dove s'intersecano, come si è visto, una serie di problematiche che, volendo, esulano dall'educazione finanziaria in senso stretto ma stimolano nondimeno a riflettere su orizzonti e obbiettivi pesonali e sociali. Iooltre, non serve a nulla e non è giusto perdersi d'animo perché anche le cose storte si possono raddrizzare incentivando maggiore partecipazione e consapevolezza da parte di tutti e investendo in educazione popolare e capitale umano.
La previdenza complementare consente di integrare con accantonamenti dedicati la pensione pubblica che, per quanto detto, potrebbe non essere sufficiente a garantire un tenore di vita decoroso una volta usciti dal mondo del lavoro. Gli incontri proposti dall'Università Ca' Foscari e dagli altri atenei veneti avevano l'obbiettivo di chiarire che l'adesione a una forma di previdenza accessoria non è una semplice opzione ma una virtuale necessità. Uno dei modi più efficaci per stimolare una riflessione su quest'urgenza è utilizzare il concetto di tasso di sostituzione: si tratta del rapporto fra la prima pensione e l'ultimo stipendio. Valori bassi di questo indicatore, ad esempio del 50%, suggeriscono che la rendita pensionistica “copre” una piccola parte dell'ultima busta paga (la metà, nel caso esemplificato). Attualmente in Italia, secondo dati recenti dell'OCSE, un dipendente “a stipendio medio” che lavori a tempo pieno fino a 70 anni e contribuisca con regolarità a partire dai 22 anni in poi, potrà godere di un di un tasso di sostituzione molto alto, pari al 92% (molto superiore alla media dei paesi industrializzati che si attesta al 59%). E allora dove sta il problema? Purtroppo questi assegni sono destinati a pochi fortunati e la maggior parte delle persone, per motivi spesso indipendenti dalla loro volontà, non sfioreranno nemmeno queste cifre. Un anticipo della pensione di soli tre anni, possibile con “Quota 100” o altri meccanismi come l'APE, riduce il tasso al 79%; un'interruzione di 5 anni nel versamento dei contributi, taglia la pensione di ulteriori 10 punti percentuali. Non è cattiveria o avarizia da parte dell'INPS, ma solo la conseguenza di una ridotta contribuzione e dell'allungamento della vita media. Una carriera contributiva regolare è rara in Italia e molti non lavorano proprio: il tasso di occupazione nella fascia d'età 20-24 anni è appena del 31% (sì, avete letto bene: meno di un terzo dei giovani può iniziare a risparmiare prima dei 24 anni!) ma le cose non sono rosee nemmeno nell'intervallo d'età 55-64 anni in cui lavora il 54% degli italiani (contro una media OCSE dl 61%).
Dopo aver snocciolato questi dati di fronte a una platea, solitamente cala un silenzio surreale e diventa palpabile la tensione. Eppure ormai ci siamo anche abituati alla reazione di chi, specie fra i giovani, capisce che nulla è perduto e si può prendere l'iniziativa per costruire un piano per il futuro con versamenti previdenziali volontari e basato su informazioni concrete e facilmente reperibili come quelle disponibili sul sito della COVIP https://www.covip.it/
Chiunque si accinga a sviluppare questo piano previdenziale per il futuro si scontra con un’inevitabile, ma spesso dimenticata difficoltà: non è normale per le persone pensare al futuro nello stesso modo in cui si pensa al presente. L’economia e la finanza comportamentali già da decenni hanno mostrato come la mente umana non sia naturalmente sviluppata per vivere in armonia con le leggi del denaro e dei mercati.
Durante gli incontri proposti dall’Università Ca’ Foscari la previdenza complementare è quindi stata declinata anche nella sua dimensione comportamentale, nella consapevolezza che una vera educazione finanziaria passi anche dalla comprensione di alcuni limiti naturali a cui la nostra mente ci obbliga a sottostare. Il primo passo è quello di immaginare il contesto in cui gli esseri umani hanno sviluppato le funzioni principali del proprio cervello. Non diversamente dal processo evolutivo degli altri animali, anche l’uomo ha affinato capacità e competenze in un ambiente inizialmente ostile con l’obiettivo di sopravvivere e tramandare i propri geni. La mente umana è stata capace di elaborare scorciatoie mentali molto utili a questo fine. Pensiamo ad esempio al naturale istinto di ritirare il piede quando camminiamo in montagna e ci sembra di intravedere un serpente con la coda dell’occhio: molto spesso ci sbagliamo, ma è meglio confondere un innocuo bastoncino con un serpente che fare l’opposto e rischiare di farci male! L’adattabilità dell’essere umano l’ha condotto a dominare gli altri animali e imbrigliare e sviluppare la conoscenza al punto da creare degli ambienti artificiali come i mercati finanziari basati sulle regole della probabilità e della statistica. Il problema è che molte delle scorciatoie mentali che ci hanno aiutato ad arrivare dove siamo come specie non ci danno lo stesso aiuto quando si tratta di decidere del nostro denaro e delle nostre scelte previdenziali.
La semplice scelta di decidere di cominciare a contribuire ad un piano previdenziale complementare richiede che si sia pronti a sacrificare una parte del consumo presente per un futuro anche molto lontano. È ben noto alla teoria economica classica che il consumo futuro valga meno di quello presente, ma ciò che le teorie comportamentali suggeriscono è che la velocità con cui il consumo futuro è scontato non è costante tra momenti successivi, ma dipende da quanto avanti nel tempo guardiamo. Per un giovane, da un lato è meno oneroso cominciare presto a contribuire ad un piano pensionistico, perché deve sottrarre al consumo presente una quota inferiore avendo davanti a sé molti anni per contribuire, ma dall’altro è più difficile psicologicamente, perché i benefici di quel sacrificio si vedranno in un futuro molto lontano e appaiono psicologicamente meno soddisfacenti o troppo costosi rispetto al sacrificio che richiedono.
Oltre ad essere scoraggiati dalle nostre percezioni rispetto al futuro, noi umani siamo anche naturalmente predisposti a procrastinare le scelte che richiedono una qualche forma di sacrificio. Le platee coinvolte hanno potuto sperimentare di prima mano con semplici giochi d’aula che le persone sono normalmente impazienti quando si parla di futuro, specialmente se vicino: spesso preferiamo 5 euro oggi a 6 euro domani, ma lo stesso non vale se la scelta è tra 5 euro tra un anno e 6 euro tra un anno e un giorno. Perché? In poche parole, siamo bravissimi ad essere pazienti quando il costo della pazienza non ci tocca direttamente: posso aspettare un anno e un giorno per avere un euro in più perché l’aumento di benessere mi sembra egualmente lontano in tutte e due le opzioni! Il problema è che per avere una pensione complementare tra 30 anni dovrò cominciare prima o poi… e farlo prima sarebbe meglio!
Anche quando siamo motivati, ci troviamo di fronte ad un’altra sfida per cui non siamo preparati come crediamo: che tipo di prodotto di investimento scegliere? Come è già stato detto, la scelta è ampia e variegata, a volte persino troppo. Cosa accade nella nostra mente quando siamo di fronte a molte scelte che ci appaiono difficili da comprendere? Fin da quando ci siamo evoluti, noi esseri umani tendiamo naturalmente a considerare più sicure, e quindi a preferire, le opzioni che ci sembrano più familiari. Per un uomo preistorico evitare di assaggiare un frutto apparentemente appetitoso, ma mai provato prima, poteva fare la differenza tra una terribile indigestione e la sopravvivenza, e questo stimolo è così forte nel nostro modo di pensare che senza accorgercene lo utilizziamo in tutte le situazioni in cui dobbiamo affrontare contesti ambigui o che non capiamo a fondo. Così anche la scelta di una pensione complementare può finire per essere guidata da elementi che non necessariamente la rendono finanziariamente ottima (il fondo pensione a cui aderisce la mia azienda, il mio amico, ecc.). È lecito chiedersi se questa scelta subottimale possa poi essere migliorata nel tempo, man mano che viene acquisita una maggior confidenza con il tema del risparmio previdenziale. Purtroppo, la risposta è tendenzialmente negativa, perché gli esseri umani tendono a trovare confortevole lo status quo. Una volta presa una decisione, specialmente se si è aderito ad un’opzione automatica o di default, “ci si accomoda” e non la si cambia per evitare di rimpiangere poi questa scelta nel caso in cui si rivelasse avventata. La scelta di aderire a volte diventa definitiva indipendentemente dalle alternative potenzialmente migliorative che si possono presentare.
Anche nel caso in cui ci sentissimo più competenti e meno scoraggiati dal ricco panorama di alternative presenti, altre trappole comportamentali sono ancora in agguato. Supponiamo di aver deciso di aderire ad un fondo pensione aperto, il prossimo passo è sceglierlo tra le alternative (di fondi pensione aperti) possibili. I fondi pensione garantiscono un’efficace diversificazione ma sono comunque caratterizzati da diversi profili di rischio/rendimento che dipendono dalle loro componenti – gli strumenti finanziari che compongono il fondo. Per considerare solo i due elementi principali possibili di un fondo di investimento, da un punto di vista storico le azioni hanno prodotto rendimenti nettamente superiori (circa il 7%) rispetto alle obbligazioni. Ciò è dovuto in parte al fatto che le azioni sono più rischiose, cioè al fatto che le azioni sono molto più soggette a fluttuazioni di prezzo. Per questa ragione sono percepite come più rischiose di quanto in realtà siano. Perché le fluttuazioni di prezzo dovrebbero influenzare la nostra percezione della rischiosità delle azioni? Daniel Kahneman and Amos Tversky ci forniscono la risposta con la loro Teoria dei Prospetti, che si è meritata il premio Nobel per l’Economia nel 2002: psicologicamente gli individui non percepiscono nello stesso modo un guadagno e una perdita di pari importo. Perdere 10 € fa molto più male di quanto ci renda felici guadagnarne altrettanti. Detenere delle azioni il cui prezzo varia molto nel tempo ci espone quindi ad una serie di perdite e di guadagni molto frequente, ma visto che un guadagno psicologicamente non ci compensa di una perdita di pari importo, l’effetto globale è quello di farci sentire molto più “in perdita” di quanto non siamo in realtà. Quindi è possibile che le nostre scelte risentano di questa nostra ancestrale avversione alle perdite e ci spingano a scegliere prodotti più prudenti di quelli che magari sarebbero più adatti alle nostre necessità.
La previdenza complementare rappresenta il tema ideale per comprendere un aspetto meno evidente, ma non meno importante, dell’educazione finanziaria. Oltre a parlare alle persone e a trasmettere loro conoscenze, competenze e risorse per fare da soli, è necessario anche rendere evidenti come i nostri limiti comportamentali ci possano influenzare nell’utilizzare questa conoscenza, perché le scelte finanziarie non sono mai solo una questione di soldi, ma anche di sogni, aspirazioni ed emozioni.
Per approfondire.
- Un libro: Marco Lo Conte, “La pensione su misura. Pensarla, costruirla, gestirla”, Il sole 24 Ore Editore, 2020.
- Un film: “Marigold Hotel”, di John Madden con Judy Dench e Dev Patel, 2012. https://www.youtube.com/watch?v=S9UFS7zO3kg
- Un luogo: Via Ciro il Grande 21, Roma. (Zona EUR) Sede dell’INPS (Istituto Nazionale Previdenza Sociale)