Saturday, January 21, 2023

Arsenale Biennale Carnevale!

Chiudo la giornata sul treno delle 17.43 per Belluno. Oggi è evidentemente un glory day! Sapevo che sarei partito lentamente con pratiche, email varie e stesura di rapporti di valutazione per studenti PhD, per prendere poi abbrivio col seminario di Claudio e Maria, a metà fra la presentazione e il brain-storming per dare forma a paper ancora in cerca della loro strada.

Forse è sempre stato così o forse io sono ingenuo ma ho l'impressione che pubblicare un paper sia diventata cosa diversa da rendere pubblico quello che hai studiato o capito. Sempre più, forse in modo ancor più accentuato nelle discipline manageriali, si tratta in realtà di trovare il modo di raccontare una storia che s'incaselli nella nicchia giusta, infilandosi per linguaggio, aspettative della comunità scientifica e momento storico, fra i paper che colgono lo zeitgest. È strano, ma pare veramente che il contenuto sia ai confini dell'irrilevanza e che ciò che conta sia il progetto, l'intelaiatura, l'esercizio che mostra che hai letto gli altri paper cogliendone la forma e lo stile ma, appunto, sotto il vestito cosa c'è? Forse niente o forse poco per dare senso a mesi di lavoro, passati in gran parte a posizionarsi e a cercare di capire come procurarsi il consenso di editorial board e di revisori che mi sembrano troppo leziosi e pericolosamente autoreferenziali. I racconti di Claudio e Maria sono interessanti e mi spiace che la ricerca del fenomeno rilucente nasconda fin troppo il noumeno scabro e di valore.

Ma il bello non è ancora iniziato. Da Marisa, tanto per provocare la venezianità di Vanda, la nostra magmatica cuoca, le chiedo qual è la strada migliore per l'Arsenale. Dovete sapere che il posto è all'estremo opposto della città, in pieno Castello dove, se non c'è la Biennale, si spingono solo le aquile o quanti esplorano zone remote e antiche della città. Vanda trasecola e con la consueta verve mi dice "ma te si mato? xe lontan...". Le dico che forse ci vorranno un 40 minuti (ma so che ne servono meno, a Venezia da un punto all'altro non servono mai più di 30 minuti a piedi; e se ne servono di più basta camminare più veloci e non prendere mai il vaporetto!).  Giulia è più serafica e mi dice, con ragione da vendere, che è una bella giornata, "'ndando par Santa Maria Formosa te ghe meti meza ora" . Già, la solita mezz'ora. È sempre così, il veneziano tipico prima ti dice che il tal posto è lontano, irraggiungibile, manco fosse in Dalmazia. Poi lo stesso, o un altro che subentra, mulina mentalmente qualche secondo e l'itinerario giusto, la calle diagonale e non scontata, il modo per tagliare la lunghezza e ridurre il numero di ponti, beh, lo trova sempre concludendo che "lontan" significa "meza ora, ma in vaporeto te ghe meti de pì". Ci potete scommettere, la litania geodetica "ma te si mato?" finisce sempre in "meza ora"!



Parto dal Ponte dei Tre Archi alle 15.30, direzione Campo dea Tana, sede della leggendaria Biennale. Ci vado per vedere, con un sopralluogo in un magazzino soppalcato di uno dei posti più fascinosi al mondo, che tutto quello che ci serve per il Carnevale dei Ragazzi sia in ordine. Da anni, con Biennale Education, ISTAT e Istituto Veneto di Lettere, Scienze ed Arti, facciamo laboratori di Cubo Soma, costruendo e disfando figure varie con questo tangram matematico e tridimensionale che fu inventato da Piet Hein. Lo chiamiamo "Divertimento al cubo" e anche quest'anno giocheremo con le 5 fortunate classi che si prenoteranno.

Google maps mi dice che ci metterò 31 minuti, la "meza ora" di Mountain View, ovvio! Come sempre il tragitto di google disegna degli arabeschi impensabili, per calle strette e vasi di comunicazione ignoti agli stessi veneziani. Non sono nuovi a questi tour scaleni: una volta, in macchina, per andare a prendere delle cassette di nocepesche da Pierluigi nei pressi di Ravenna, Google mi fece visitare borghi lunari della pianura padana, restando sempre nei tempi e impreziosendo il viaggio con scorci e piadinerie di paese che mai avrei visto sfrecciando in A 14 o, in alternativa, sacramentando sul freno con gli occhi sul tachimetro per evitare le molteplici trappole tese dagli autovelox sulla Romea, che se la conosci la eviti sempre (anche per la collezione di contravvenzioni che finisci comunque per beccare!)

Passo per luoghi inconsueti e corti sconte, Campo San Lorenzo, supero Salizada dei Greci, vedo i merli dell'Arsenale, quel castello che è visivamente strano in una Venezia luminosa in cui non t'aspetti una fortezza. Le previsioni dicevano che mi sarei preso scrosci di pioggia e vento e ghiaccio. In realtà, la pioggia non s'avvicina mai e pazienza per il vento freddo che ingrossa i canali. Si aprono sprazzi d'azzurro terso, striati di arancio e porpora, è una bella giornata, il tramonto si avvicina, una specie di enrosadira lagunare vira i colori del marmo bianco e della pietra d'Istria verso un rosa marittimo. È uno spettacolo.



L'Arsenale, la macchina produttiva più grande dei suoi tempi, capace di sfornare galee e navigli a ritmi impensabili per i tempi, a servizio della serenissima e dei suoi domini quando una bella fetta di Mediterraneo era veneziana. L'Arsenale impressiona sempre per la scala, i capannoni sono enormi, le corderie così lunghe da consentire si stendere centinaia di metri di corde e gomene da intrecciare. Forse capita anche a voi, se andate a visitare la Biennale di rimanere egualmente affascinati dalle opere esposte e dall'ambiente industriale Anzi, spesso a me capita di gustare di più il luogo che quello che gli artisti hanno fatto, che talvolta è oscuro e complicato ma è la Biennale Baby! 

L'Arsenale d'inverno è ancora più suggestivo nella sua vastità desertificata, dall'ingresso camminiamo quasi dieci minuti per raggiungere il deposito, nei presso del padiglione Italia. Bisogna attraversare uno degli spazi "pubblici" più grandi d'Europa, decine di migliaia di metri quadri di aree e ambienti a disposizione per le mostre e le attività della Biennale che proprio l'anno scorso ha battuto ogni record per biglietti venduti. In estate le migliaia visitatori riescono, se non a riempire d'umanità, a punteggiare di presenze la grandiosità dei bacini e delle tese; m'immagino anche come deve essere la fase d'allestimento delle Biennali, quella che non vedi mai, quando evidentemente decine di operai mettono in opera, sistemano, predispongono fari, strutture, installano prese elettriche, stendono cavi, inchiodano assi, ronzano spigendo carriole, svolgono piccole riparazioni... Ma oggi, siamo in tre: il portiere nella sua giacca di pompiere aziendale: "Il deposito è troppo lontano e devo presidiare l'ingresso, vi ho già acceso le luci. Quando uscite tirate giù l'interruttore nel quadro a sinistra e rimettete a posto il lucchetto"; io e Caterina che lavora nel settore education della Biennale completiamo il terzetto.



Il luogo è magico di suo e il soppalco è pieno di ogni ben di Dio: pennarelli, fogli di carta, colle e cartoncini di ogni tipo e grammatura, materiale per laboratori di pittura, disegno, calligrafia, danza, teatro. Penso nitidamente che è il paese dei balocchi, un posto dove se pensi qualcosa, trovi il materiale per metterlo in pratica.

Vedo anche i tavoli da lavoro di legno bianco, con le loro sedie, accatastati nei grandi spazi, m'infilo i guanti di plastica quasi fossi un chirurgo prima di toccare oggetti e scatoloni in buon ordine ma, inevitabilmente, un filo impolverati dopo un anno di conservazione. I nostri materiali sono a posto, e gli scatoloni contengono in modo curiosamente ricorsivo altri scatoloni piegati in modo che le sei facce occupino poco posto. Li conto per verificare che siano almeno 27, qualcuno mostra qualche segno d'usura ma quest'anno non serve cambiarli.


Gli scatoloni da 60x60x60 ci servono da "cubetti" per costruire i "pezzi" di un grande puzzle 3D, il cubo Soma, assemblandone 27 come se fossero dei Lego. Viene fuori una cosa grande e a suo modo ingombrante, in cui qualche pezzo ha altezza che sfiora i due metri. Ma tutto ha la sua leggerezza, lo facciamo apposta con scatoloni cavi e nastro adesivo largo e robusto, in modo che i bambini possano trasportare i pezzi in piccoli gruppi di 2, 3 o 4, abbracciando e ruotando questi oggetti e accostandoli fino a quando compaiono forme che diventano "figure" e attori di una fiaba. Via via i pezzi del cubo Soma diventano un pozzo, un letto, una vasca da bagno, una sedia (pure pieghevole!), un tavolo, o un diamante, una porta/tunnel sotto cui sfiliamo orgogliosi e chi più ne ha più ne metta!  Caterina si ferma a controllare le dotazioni per altri laboratori, mi saluta dicendomi che ci rivedremo fra qualche giorno a Ca' Giustinian, sede delle attività carnevalesche. Mi avvio da solo verso l'uscita, riguardo la bombarda e la gigantesca gru Armstrong stagliarsi contro un cielo multicolore e ventoso. La gru simboleggia la transizione dell'Arsenale da serenissimo cantiere di navi di legno e galee a luogo di creazione di navigli di ferro di grande tonnellaggio per il neonato Regno d'Italia dopo il 1860
.

Richiudo il portone di Campo della Tana alle 17.00 e decido di farmela a piedi fino in stazione. Meza ora? Beh, non proprio, ma a passo di carica si può fare in 35/40 minuti e, nuovamente, google maps mi prende e mi porta via con la sua logica labirintica, infilando un perla dietro l'altra: posti che conosco, come Campo Santa Maria Formosa in cui vedo i bambini rientrare a casa con lo zainetto in spalla, sotto gli occhi delle mamme, e sfogarsi con corse che trasmettono una sognante contentezza saltellante. L'itinerario mi guida anche su altri luoghi, tanti, in cui mi dico "ma dove sono capitato?", quasi travolto dalla pittoresca meraviglia che si apre davanti a me in luoghi meno conosciuti. Riemergo in una Venezia più battuta all'altezza del Ponte dei Zogatoli e da quel punto in poi sono sentieri calcati decine di volte, spengo il navigatore e faccio sosta al Caffè del Doge in Strada nuova per un "rosso" e un tramezzino.

Grazie Arsenale e grazie Biennale per questa giornata di apparente retroguardia, fredda e traslucida, dentro ai capannoni depositati dalla storia in una città che riesce sempre a tirare fuori novità vecchie di secoli e che lega a modo suo le mie bizzarre passioni di origine matematiche e giochistiche e gli amici dell'ISTAT, Susi, Rina, Monica, che da decenni ormai non si tirano mai indietro e sprigionano forza e entusiasmo senza risparmio.