Tuesday, October 21, 2025

Macallé e Fusina

Uno dei libri importanti della mia vita è Jeff Togill, "Walking Sydney", che ho trovato negli scaffali dell'appartamento di Bridge Street nel lontano 2006. Non è un caso che questo blog parli (anche) di Sydney e dei viaggi fatti, ambulando e pensando, sulle tracce degli itinerari che erano suggeriti. So di avere appena scritto qualche riga roboante, voi ve lo ricordate uno dei libri più importanti della vita senza guardare autore e titolo su internet? Grazie Jeff! Il punto è che camminare aiuta a conoscere e, per di più, te lo fa fare alla velocità giusta e con la giusta ossigenazione cerebrale, tutte cose alquanto dubbie in altre modalità cognitive screen, touch-and-go, quick-scroll e simili minchiate.

Leggere un itinerario, organizzarsi per farlo, macinarlo in lungo e in largo mentre pensi, credeteci o meno, è glorioso e molto più efficace ed istruttivo di buttare l'occhio su qualche pagina web. Provate per credere, specie se un giorno, come mi auguro, decidete di ripercorrere una delle scorribande di questo blog.

Per anni la domanda "Ti xe de Macaé?" mi sembrava solo una presa per il culo del veneziano e delle sue espressioni ridicole agli orecchi dei veneti di terraferma. Mi pareva una delle imitazioni più riuscite di mio cugino Davide, che scimmiottava perfettamente con voce impostata e profonda l'accento di Dorsoduro, enfatizzandone all'inverosimile le particolarità e la comica differenza con il trevisan delle nostre parti. Ok, questo e il punto di partenza...

Ma perché, mi sono chiesto di recente, essere di Macallé dovrebbe indicare che sei fuori dalle righe, o fuori di testa o fuori dalla legalità? E poi esiste un posto che sia chiama Macallé?

Partiamo dall'ultima domanda: il luogo e la dicitura si riferiscono più o meno al quartiere Altobello di Mestre, più o meno vicino all'omonima via, fra il Canal Salso e i binari della ferrovia. Le informazioni su questo quartiere non sono semplici da trovare su internet e sono spesso contraddittorie anche perché, con un contratto di quartiere fra amministrazione e residenti, si è tentato a partire dal 2008 di ripulire e rigenerare una zona che gode di cattiva fama da decenni. Correva infatti il 1935 quando Mussolini costruì delle case popolari, dette "case minime", più o meno nei pressi nell'odierna Via dello Squero (ad Altobello) per i reduci dalla guerra d'Africa. I locali forse pensarono che i soldati tornassero dall'assedio di Macallè, dove si svolse un epica ed eroica battaglia fra italiani e africani (nel fascismo le battaglie, anche le più ignobili, erano sempre epiche ed eroiche). Non importa che i fatti di Macallè storica risalgano al 1895 e che nessun reduce di quella battaglia potesse aver avuto casa nel 1935. Africa è Africa, se sei di Mestre non si va per il sottile.

Forse nei decenni questo alveare di case popolari e operaie, Macallé appunto, è diventato ricettacolo di buoni, ma specie di cattivi, brutti e pochi belli, qualche onesto e tanti farabutti, poveracci disperati (ma, no, ricchi felici non ce ne furono mai). Il resto segue un canovaccio noto: quartiere malfamato e rissoso, fatiscente e criminogeno e, quindi, "Ti xe de Macaé?". Nel 1983 i geni dell'istituto autonomo case popolari decisero di costruire due mostruosi condomini, detti "Vela 1" e Vela 2", centinaia di appartamenti in casermoni paurosi. Di male in peggio? Molti inferni sono lastricati di buone intenzioni ma di lì a poco, sfitti, sfratti, violenza, occupazioni, danneggiamenti, degrado, pattume, topi, criminalità... "Ti xe de Macaè?"

Esco dalla stazione di Mestre verso le 11.00 e mi avvio lungo via Ca' Marcello, passando sul retro di quella serie di hotel nuovi di palla che anni costruito con spettacolare vista sui binari per Venezia e sul Vempa. Sono condomini nuovi e i turisti sembrano apprezzare, anche se siamo in un retrobottega a 20 metri dalle massicciate ferroviarie, i salottini dove servono spritz a litri, con le piante grasse nei vasi, le tende alle finestre e ci sono i camerieri con i traversoni (ambedue neri) e le camicie bianche.

A pochi metri dall'Interspar, nei pressi della stazione di Mestre.
 

Passo a fianco di un grandissimo Interspar, monumentale come il tempio di Abu-Simbel, ma già la città si mostra strana, una coabitazione di condomini a sette piani uno dietro l'altro, sulla sinistra, e qualche casa bassa con giardino, sulla destra. Mi sono sempre chiesto che (non) senso urbanistico c'è in certe aree di Mestre, a me pare un gran casino e anche facendo edifici a caso era difficile fare peggio di così. Arrivo in Via Kolbe, c'è pure un campetto per i giochi dei bimbi e cassonetti troppo pieni e raramente svuotati. Proseguo e con altro paio di destra-sinistra e arrivo in Via Altobello, scatto una foto al civico 22C, tanto per ricordare le coordinate, e arrivo a Via dello Squero, che che mani sapienti hanno corretto con la vernice in Via dello Squalo, deformando la "e" in una "a" e coprendo la "r" con una grossa linea verticale. 


Sempre lettering è... Da Squero a Squalo con la vernice e Carlo Scarpa all'ingresso del camping di Fusina
Vedo le Vele, queste cattedrali ATER con le decine e decine di appartamenti ammassati che mi sovrastano, i graffiti, le macchine sventrate col cofano aperto e i cassonetti straripanti. Ci sono le fioriere fatte con tre vecchi copertoni e, di fronte, un enorme piazzale recintato in cui alcune ruspe stanno lavorando o livellando la terra nei pressi del Canal Salso. È una bella giornata, io sono in stato di grazia, non mi sento minacciato da chi, forse un po' più sgualcito della media, ogni tanto mette fuori il naso dalla finestra di un appartamento o dal gruppo di giovani malesi, pakistani, o magrebini o turchi che bighellonano in prossimità di una catasta di legno abbandonata (ma dove leggo su un foglio un civilissimo "Per Veritas"; se non la capite ve la spiego a voce...)


Lungo Via dello Squero: Vela 1 con furgone e Vela 2 (credo).


 
Arrivo in via Andrea Costa, la sensazione di post-bombardamento si attenua quando vedo case basse e colorate e palazzi a tre piani, forse anni 50-60. Non è un tessuto abitativo bello ma non è un disastro, c'è spazio, c'è un qualche ordine, il cuore di Macallé è lontano ben 100 o 200 metri (!?). Forse siamo, se non in centro, in periferia della periferia. E, a dir il vero, continuando a camminare mi trovo presto in uno degli unici due posti che conosco di Mestre. Sono nei pressi dell'ufficio regionale Veneto dell'ISTAT dove ho lavorato nel 1998, in Corso del Popolo. Ecco, me lo domando da solo, ma me lo potreste chiedere pure voi: eri accecato nel 1998, per non vedere che a pochi metri da te c'era un buco nero (grigio?) diventato proverbiale come Macallé? Eppure, ve lo assicuro in quegli anni, forse giovane e spensierato, non avevo mai spinto le mie esplorazioni verso quel lato, non avevo un "Walking Mestre" sotto mano e, insomma, evidentemente non avevo la più pallida idea di dov'ero.

Però ormai ero tornato a casa, mi sono fermato al Bar con cucina da Marilù, un posto dove mangiavano e mangiano i dipendenti ISTAT. Si trova in un viale risistemato, con tanto di verde, ombra e tavoli carini. Federica, una ragazzetta gentile che mi fa simpatia, anche perché la titolare la rimbrotta senza che secondo me abbia colpa alcuna, mi porta un piatto unico con riso, verdure e pollo, più birretta. Lo immaginate il ghigno di lieve felicità? Camminato e nutrito come un pascià!

Sono le 13.05 e mi accingo alla seconda parte del walking tour nelle mirabolanti viscere di Mestre. Voglio andare a Fusina, percorrendo Viale Fratelli Bandiera sull'autobus numero 16, una delle "Strade di Porto Marghera", lo strepitoso podcast della sempre sia lodata collega (di CF) e storica Gilda Zazzara. Voglio vedere qualche lembo di quello che fu il più grande petrolchimico d'Europa, 40000 operai, ettari e ettari di emancipazione, lavoro, lotte sindacali, avvelenamenti, tumori, storia d'Italia, del Veneto e, in fondo, anche di me.

Nulla di più facile, direte voi, basta prendere il 16, no? Ehm, se tu non sai o non ricordi nulla della zona cavalcavia ferroviario di Mestre... beh, può essere meno ovvio di quel che pare! Secondo google maps, dovevo andare alla fermata di Giovannacci-Ulloa ma, ve lo rammento: stavo su Corso del Popolo dall'altra parte della città e dei binari. Come si conviene a uno di campagna, penso che per andare da A a B, basta camminare da A a B ma a Mestre se da A a B c'è il cavalcavia sono cazzi tuoi! Non è per nulla semplice attraversare il fascio di strade che vola sopra i binari e, ormai giunto sul cavalcavia, non volevo tornare in stazione e prendere il sottopassaggio, mi pareva di allungarla. Allora mi sono inventato una buona mezz'ora di terrificante motocross pedonale urbano e ho preso una scaletta che scende dal cavalcavia sulla destra.


Sotto il cavalcavia, sopra quello che ha visto la camera e sotto quello che pare di aver visto a me (max contrast)
Mi sono trovato in un oscuro camminamento di ferro, con pianerottoli vari e scalette, in una selva di colonne che pareva d'essere in una Mezquita di calcestruzzo, esattamente sotto le 4 o 8 corsie che smistano il traffico veicolare della tangenziale e che va-viene da Marghera, Mestre, Venezia. Non è stato divertente, perché finisci per pensare che sei in una terra di nessuno (vero!), dove nessuno ti sente (vero!) e, nel mio caso non c'era anima viva (ed era meglio così, ci mancava solo la banda del sotto-cavalcavia assetata di sangue, portafogli o Rolex...) Il percorso di google maps non aveva più senso e mi sono trovato più volte con recinzioni spesse e robuste a sbarrare itinerari su cui avrei dovuto passare. A un certo punto, nei pressi dell'INAIL, che ha una sede che confina con questa suburra di pilastri, strade, boscaglia, siringhe, scoasse e rovi, un extracomunitario mi ha detto di andare lungo un passaggio e poi a destra e poi boh... non lo ascoltavo più ma l'ho ringraziato. Seguendo quei suggerimenti sono uscito dal dedalo ritrovando, dalla parte giusta dei binari e delle strade, un po' di senso dell'orientamento e un percorso decente indicato dal cellulare. In sintesi, che forse aiuta, o disponete e sapete usare bene una mitraglietta Uzi all'occorrenza, oppure non andate su quella scaletta! (e fate il sottopasso della stazione)

Ho visto il cartello Marghera, in fondo volevo proprio vedere coi miei occhi l'antitesi delle Venezia turistica, e ho capito quanto variopinta sia quella parte della città, fra svincoli, binari, strade, case, sterminati piazzali per la logistica, capannoni. Alla fine il bus l'ho preso a Durando-Bellinato, per molto tempo sono stato l'unico a bordo incontrando solo qualche altro passeggero che viaggiava per poche fermate. Il tragitto per il terminal Fusina (una dozzina di km) dura poco più di un quarto d'ora e ho intravisto molte delle cose di cui parla Gilda: pezzi di (area del) Petrolchimico, i muri di container alti decine di metri e l'espansione spaziovora della logistica che ha rimpiazzato la chimica, ciminiere, gru, centrali, grandi serbatoi cilindrici a bizzeffe. Non ho riconosciuto l'ex Villagio di Ca' Emiliani, dove sono stati mandati gli asociali (cioè sindacalisti e comunisti). Ho comunque ricostruito il viaggio sulla mappa e devo aver chiesto all'autista dov'era Ca' Emiliani più o meno nel punto giusto, ricevendone però per risposta un significativo "No so, varda su gughel..."

Il viaggio per Fusina è una meraviglia, oltre che per le vedute della Città Giardino e dell'area petro-logis-industriale che fu Porto Marghera, anche perché è un avvicinamento inarrestabile e inconsueto alla laguna, segnalata da spazi che si allargano e luce che si purifica in un modo caratteristico. Fusina è il finisterre de noantri, e anche il simbolo della perenne contraddizione di una centrale elettrica e di una zona portuale a pochi centinaia di metri da un camping dove i turisti vedono Venezia (e volendo evitano di vedere il tentacolare porto che sta sulla loro sinistra). Alcuni edifici del campeggio sono stati progettati da Carlo Scarpa e, in quell'ultimo lembo di terra fra terra e mare, trovate pure una barca che vi trasporta alle Zattere per 4 euro (con Carta Venezia, una corsa all'ora, vedi https://www.terminalfusina.it/it


Devo ammazzare un'ora di tempo, in altri posti e in altri stati d'animo la considererei una sfiga, ma qui siamo dove il mare e la terra si abbracciano, la laguna si apre (quasi) al Polesine, la stramaledetta tecnologia sfiora la bellezza fatua della Serenissima... E in più c'è il bar della Lucia, in un container con veranda, bello come in un film di Wenders (di cui, poi, non ho mai e poi mai visto più di 10 minuti!)

Bar della Lucia, Punta Fusina.
 

- Quanto pago per il macchiato?
- Ma ti me dà tutte quee bee monedine? Quante ne hai?
- Speta che vedo... 1, 2, 3, ehm, arrivo a 5 euro... ma così il resto non mi basta per il caffè.
- Ti faccio lo sconto e grazie!
- Grazie a te!

Incasso una banconota da cinque e il sorriso di Lucia, pago il caffè uno e dieci ed esco dal bar ammirato dal muro di bottiglie di Aperol che ha alle sue spalle. Vi saluto con un 360 del panorama, se zoomate ci vedete le Zattere!

A sinistra il porto, a destra Chioggia e in mezzo Tronchetto e Zattere.