Saturday, October 05, 2024

Auschwitz (drei unt das wars)

sono esattamente le 10 di sera del 30 settembre, chiudo la copertina rilegata del libro, spostando l'aria e facendo uno "stonf" sordo e caratteristico. mi faccio il segno della croce, non capisco nemmeno perché ma il gesto sorpende (e quasi spaventa) persino me stesso, mi metto a pensarci e credo che sia un modo per esorcizzare la violenza inaudita della storia (e questa parola vuol dire sia "racconto, romanzo" che "resoconto, cronaca" di quanto è accaduto in un luogo e in un tempo precisi, con tanto di documenti e riscontri). è anche un modo per pregare Dio di darmi la fortuna che serve per stare lontano da certe nefandezze e, anzi, per darmi la forza sovrumana e lucida di combattere senza tregua pensieri, azioni e strutture che generano simili mostruosità. padre, la mano scende in verticale, figlio, si sposta su e a sinistra e poi a destra, spirito santo e amen e, in quel moto orizzontale, capisco che sto pregando per le vittime, per i milioni, per chi è morto e per chi è rimasto. ma non so nemmeno se è per loro o per me, se auguro a loro o a me di capire o solo di trovare una flebile lama di qualche luce in questo desolato deserto popolato di destini, affetti spezzati, dolore insensato e morte.

esattamente quindici giorni fa ero ad Auschwitz e spero di chiuderla qui, fatico ad ammettere che la visita e le letture che mi ero proposto di fare, prima e poi, mi hanno riempito fin troppo l'anima. ho finito di leggere "La zona d'interesse" di Martin Amis che, insieme a "Gli scomparsi" di Daniel Mendelsohn, mi hanno accompagnato in questo periodo (più lontani nel tempo, ma sempre a tiro di ricordo, anche "Se questo è un uomo", di cui parlo qui, "La tregua" e chissà che altro). "La zona d'interesse" e, specialmente, "Gli scomparsi" sono libri di gran livello, sono onorato di avere letto questo romanzo dal realismo assassino e un diario di viaggio, saggio storico, riflessione sulla genesi del mondo e affresco di famiglia. veramente, se quancluno può essere fiero di quello che scrive, io adesso sono fiero e felice per quel che ho letto. ho anche visto ma facciamo un passo alla volta.

una cosa impressionante di quel blob mostrouso che è Auschwitz, capace di espandersi e acquisire significati morali, storici, geografici, religiosi, politici, organizzativi, è che è difficile parlarne, l'ho già accennato nei due post precedenti. forse suono Wittengsteiniano, ma senza il linguaggio che media fra reale e umano non si riesce a concepire, non si riesce - appunto - a profferire, non resta che piangere per mancanza di opzioni descrittive, operative, cognitive. non sono nemmeno sicuro che si possa pensare se non hai le parole. all'opposto, conosco bene l'ebbrezza che è donata dal poter usare (giri di) parole diverse per lo stesso ente e di quanto questo liberi associazioni e scateni salti mentali brillanti. ad Auschwitz no, ti è vietato da una forma di mutismo attanagliante che dev'essere figlia dello sgomento.

questa assenza di linguaggio mi ha "perseguitato" fin dall'inizio e non è solo che è difficile trovare parole normali per avvicinarsi a un abisso di aberrazione in cui la normalità è astrusa, rovesciata ed astratta. ci sono stati anche dei segnali, che riletti col senno di poi, sono curiosi e quasi premonitori:

  • il libro di Amis l'ho letto su carta e ho fatto fatica fisica a vederlo, a metterlo a fuoco, per colpa di una vista che ormai soffre se i caratteri non sono corpo 12 e inchiostrati di un bel nero deciso. ho avuto bisogno di tempo, della luce giusta, riuscivo a progredire di poche pagine al giorno, dovevo accendere la pila del  telefono per leggere le parti, spesso citazioni, in cui il font era più piccolo. mi direte che è solo l'età ma, ora che ci penso, è una metafora bellissima: quello che è successo è faticoso, serve tempo per ritenere, non c'è nessuna luce che emana da questo luogo, piccoli passi e forse qualche pila illuminano appena qualche dettaglio...
  • il libro è pieno di parole in tedesco, ci mancava solo questo per renderlo a volte irritante e obbligare a pause per cercare vocaboli e frasi teutoniche su google translate. eppure, nuovamente, questa sensazione di fastidio linguistico mi sembra rivelatrice: avevo iniziato a leggere il libro in inglese, di solito ce la faccio e ho terminato molti testi in lingua originale. stavoltà però ho dovuto abbandonare il tentativo per passare alle versione Einaudi presa in prestito alla biblioteca di Altivole perché c'erano troppe parole auliche, troppi aggettivi in un inglese così sofisticato da obbligarmi a cercarne il significato. mi sono arreso... solo per trovarmi bombardato di un tedesco incomprensibile, volgare, suggestivo e a tratti spaventoso (lo sapevate che "ubbidienza" si dice "Kadavergehorsam"? come quella dei cadaveri, uccisi nel KL ma anche rappresentazione degli aguzzini morti dentro). potrei fare altri esempi ma ricordo bene alcuni passaggi di Levi che definisce "barbarici latrati", non detti da uomo ma urlati da cani, gli ordini sbraitati (sempre!) dalle guardie e aggiunge che comunque "Nessuno può vantarsi di comprendere i tedeschi". e il tedesco!
  • anche quando le parole si capiscono è "per modo di dire" e il libro trabocca di fulgidi esempi di truffe linguistiche che ho trovato istruttive. tanto le parole sono utili per capire, pensare e consentire alla mente di librarsi, così possono essere bestiali, traditrici e odiose perché da un lato normalizzano e predispongono all'accettazione dell'indicibile e dall'altro entrano in una palude di significati in cui si può solo affondare. due esempi:
Il carico di 150 donne è arrivato in buone condizioni. Non siamo tuttavia riusciti a ottenere risultati decisivi perché sono morte tutte durante gli esperimenti. Le chiediamo cortesemente di inviarci un altro gruppo della stessa entità e allo stesso prezzo. [pag 86] 
Abbattuto mentre cercava la fuga: una formula verbale che copre una grande quantità di destini. Abbattuto mentre cercava la fuga. In alternativa, per dirla in altre parole, fucilato. In alternativa, per dirla in altre parole ancora, preso a calci o a frustate o a manganellate o strozzato o lasciato morire di fame o per congelamento o torturato a morte. Comunque deceduto.

continuo a trovare agghiacciante che queste citazioni somiglino fin troppo a cose che leggo ogni giorno, ad espressioni dei verbali come "dopo ampia discussione..." che possono significare, a seconda dei casi, che non ci abbiamo perso nemmeno 5 secondi o che ci siamo scazzati a morte, a un passo dalle scaregate in testa oppure, ancora, che qualcosa è frutto di un compromesso civile (sì, ma i dettagli meglio di no!) 

un terzo esempio lo aggiungo per mostrare, come di contrappunto, che le parole usate bene possono anche dire tanto, qui è il sonderkommando Smulz che parla:

Un tempo avevo un immenso rispetto per gli incubi - per la loro intelligenze e creatività. Adesso penso che gli incubi sono patetici. Sono del tutto incapaci di produrre qualcosa che sia anche solo lontanamente spaventoso quanto quello che faccio da mattina a sera- e hanno smesso di provarci. Adesso sogno soltanto pulizia e cibo.

le parole sono micidiali, armi e unguenti, rose e spine. mi riprometto di usarle con saggezza (e anche di usarle meno, come forse facevo da giovane quando ascoltavo e tacevo più di quanto faccio in questo tempo logorroico). per contrasto, mi viene in mente Salvini e la sua capacità di dire bestialità continuate e aggravate, intrise di odio e razzismo nemmeno tanto repressi e, a me pare un'ulteriore aggravante, pronunciate come se fossero battute da osteria mentre stanno avvelenando i pozzi della convivenza civile. ma forse è un'altra storia.

(riprendo il 5 ottobre, questo post si ferma, scorre e riaffiora come raramente mi è capitato) mi rendo conto che sto parlando di libri più che di un posto, le cose si mescolano e c'è un senso anche in questo. nelle pagine finali, a romanzo finito, Martin Amis dice "più o meno" com'è andata finire e parla di Paul Doll o Rudolf Hoss (decidete voi), il comandante di Auschwitz: è finito impiccato su una forca che si vede ancora forte e chiara, mi ricordo nitidamente di aver inquadrato quei pezzi di legno originali, mi sono fermato, non ho nessuna foto ma ho deciso di fotografare la lapide in polacco, inglese ed ebreo. 

The first commandant of Auschwitz, the SS-obersturmbannfuhrere Rodul Hoss, who was tried and sentenced to death after the war by the Polish Supreme National Tribunal, was hanged here on 16 Aprile 1947.

impiccare questa gentaglia purtroppo non basta e credo che serva a poco in sé, non c'è modo di porre rimedio a quello che hanno fatto, non chiude nessuna ferita, se è giustizia (e credo che lo sia) è amara, dolorosa, insensata. dopo che ne ammazzi un po', alla fine di un processo o con missile teleguidato in tempi moderni, altri prendono il loro posto e si ricomincia... 

La pagina di wikipedia su Hoss merita di esssere letta, è un concentrato di quello che ho cercato di capire senza capire un bel niente (lo ripeto, questo è un posto in cui molte parole, incluse "capire", "perché" e molte altre si sfaldano in una serie di segni tipografici senza consecutio). questo tizio fu allevato dal padre:

up on strict religious principles and with military discipline, having decided that he would enter the priesthood. Höss grew up with an almost fanatical belief in the central role of duty in a moral life. During his early years, there was a constant emphasis on sin, guilt, and the need to do penance. [source: wikipedia]

ecco un'altra riga di parole eviscerate di ogni significato: senso del dovere, morale, principi religiosi, disciplina, peccato, colpa, penitenza... su wikipedia ci sono diverse citazioni di questo Hoss che a un certo punto, ovviamente dice "ero un ingranaggio nel meccanismo della grande macchina di sterminio creata dal terzo reich". appunto, se smetti di essere un uomo (abdicando ingiuriosamente all'umano destino di essere fatto anche a immagine di Dio) e diventi una rotella, che gira senza senso, che sta al suo posto di rotella cieca e metallica... se smetti di essere uomo e diventi un ingranaggio, è la fine. Se sei una rotella non hai memoria non hai consapevolezza non hai nulla che distingua un uomo da una pietra, non vali nemmeno quanto un cane rabbioso e puoi anche dichiarare che:

I myself never knew the total number, and I have nothing to help me arrive at an estimate.

I can only remember the figures involved in the larger actions, which were repeated to me by Eichmann or his deputies.

From Upper Silesia and the General Gouvernement 250,000

Germany and Theresienstadt 100,000

Holland 95,000

Belgium 20,000

France 110,000

Greece 65,000

Hungary 400,000

Slovakia 90,000 [Total 1,130,000]

I can no longer remember the figures for the smaller actions, but they were insignificant by comparison with the numbers given above. I regard a total of 2.5 million as far too high. Even Auschwitz had limits to its destructive capabilities. [source: wikipedia]

 Questo individuo aveva una famiglia (sembra normale, o no?) e ha scritto delle lettere d'addio alla moglie e al figlio maggiore, cito quest'ultima:

Keep your good heart. Become a person who lets himself be guided primarily by warmth and humanity. Learn to think and judge for yourself, responsibly. Don't accept everything without criticism and as absolutely true... The biggest mistake of my life was that I believed everything faithfully which came from the top, and I didn't dare to have the least bit of doubt about the truth of that which was presented to me. ... In all your undertakings, don't just let your mind speak, but listen above all to the voice in your heart.

è un mistero, conserva il tuo buon cuore... detto da uno dei più grandi massacratori della storia dell'uomo. ma finché leggevo e provavo a intessere questa sconclusionata riflessione sul blog ho saputo che hanno fatto un documentario sulla storia di Hoss. occhio che non stratta di "The zone of interest" di Jonathan Glazer (l'ho visto, ci ho capito talmente poco, che se non lo riguardo non ho nemmeno la forza di consigliarvelo), ma di "The Commandant's Shadow" che uscirà a novembre 2024, che parla dell'ottantasettenne Hans Jurgen Hoss, il figlio di Rudolf Hoss. Il trailer è qui.

avrei altre cosa da dire (o, probabilmente, da dirmi) anche sulla visita di quanto resta della fabbrica Enamel di Schindler a Cracovia. sì, è quello di Schindler's list di Spielberg! mi limito a suggerire di andarci, è un bel viaggio nella periferia industriale della città, negli orrori e nella grandezza di quel tempo.

invece mi catapulto a Sydney (wow, in questo blog è una mandrakata!), 

E cosí quella domenica andammo a Bondi Beach. Un taxi ci lasciò davanti al complesso edilizio dall’aspetto sfarzoso dove abitava Jack, e salimmo al suo appartamento con l’ascensore. «Guarda» disse Matt con un sogghigno ammiccante, indicando una targa di metallo affissa sulla parete, con inciso il nome della ditta costruttrice: SCHINDLER. «Siamo nello Schindler’s lift, l’ascensore di Schindler!».

Alzai gli occhi al cielo ed esclamai: «Oy vey»
[source: Gli scomparsi, Daniel Mendelsohn]

Jack è uno dei pochi sopravvissuti di Bolechow, un villaggio ucraino dove una fiorente comunità ebrea è stata annientata, questa non è una novità visto il tenore degli ultimi tre post. Matt è il fratello di Daniel Mendelsohn, l'autore di un libro meraviglioso sulla ricerca del (pro)zio Shmiel e delle cugine, ripercorrendo gli esili fili lasciati dopo decenni di oblio. dare la caccia a 6 persone su 6 milioni oltre 60 anni dopo i fatti è una cosa da far girare la testa. lo so, vi parlo di questa storia tardi, quando sarete sfatti e stanchi di leggere, ma "Gli scomparsi" è molto meglio (ma molto!) del libro di Amis. non parla di Auschwitz? pace, ci sta... quantunque tutto parli di Auschwitz quando parli di certe cose. in ogni caso, se non eri nella Schindler's list è certamente un buon segno essere a bordo dello Schindler lift, no? quello di Mendelsohn è un romanzo, un diario di viaggio, una preghiera, una cronaca, una riflessione sulla bereishit, la Vayeira e sulle pareshat e su come Dio abbia potuto fare o lasciare che si facesse. è tutto questo e anche un inno all'amore e all'incomprensione che convivono in tutte le famiglie, è una ricerca di sé stessi, dei tuoi riflessi dentro agli altri, è un inno ed è un portento, specie se lo leggi qualche settimana prima di un viaggio Oświęcim.

riguardo gli appunti sul Tolino, il lettore che mi ha consentito di leggere "Gli scomparsi" in modo a tratti compulsivo mentre ero a Porto S. Margherita, come si fa quando si legge un libro che ti prende e ti porta via. rileggo le note e le frasi che più mi avevano colpito. questa, in particolare, mi fa sorridere per motivi completamente ortogonali al tema di questo post e forse legati anche al mio modo di cercare di capire:

Froma sottolineò: «Lei sbaglia a considerare la complessità un problema e non la soluzione»... ancora adesso [sono] stupefatto dall’enorme energia mentale che le permette di leggere, vedere e assimilare tutto questo, dopo tanti anni è sempre alla spasmodica ricerca di informazioni che possano in qualche modo rispondere a domande profonde: come accadde e, interrogativo destinato a rimanere insoluto, perché. 

In ogni modo, è questa la ragione per la quale, anni dopo aver terminato gli studi con lei ed essermi avvalso del suo aiuto per completare la tesi sulla tragedia greca, continuavo a imparare da quella donna, che mi spingeva a vedere il problema stesso come la sua soluzione. [pag. 327 (forse) di "Gli scomparsi]

ritrovare le sottolineature in un libro è esperienza straniante che somiglia molto a incontrare un doppelganger che ridipinge certe immagini mentali in modo che è allo stesso tempo familiare e dissonante. ho letto il libro ma, primo, io dimentico in quantità e velocità enormi, mi dico sempre che faccio spazio per il resto; e, secondo, di mezzo c'è stato un viaggio, è come se avessi versato un reagente chimico su un piano dove avevo accumulato polveri e preparati vari e ne uscissero per reazione composti inaspettati e qualche scoria. è bello riconoscere che, non so come, non so perché né come, quello che ho letto prima ha cambiato quello che ho visto e sperimentato dopo. e provare a scrivere queste note ha rimescolato tutto di nuovo, in una anteroversione in cui il futuro modifica e riplasma presente e passato.

nuovamente, mi fermo qui e uso le parole di Mendelsohn: 

Anni fa cominciai la mia lunga ricerca nella speranza di scoprire com’erano morti, volevo una data precisa da segnare su un diagramma... «Cosa accadde a zio Shmiel?»... e io mi riproponevo di trovare prima o poi la risposta: accadde lì, il tal giorno; così ci saremmo recati dove riposava, avremmo messo una pietra sulla sua tomba e avremmo parlato anche con lui, con Shmiel. Ci siamo imbarcati in quest’avventura per scoprire come, dove e quando era morto, lui e la sua famiglia, per lo più senza successo. Ma da questa impresa fallimentare è emerso, quasi per caso, quel che nessuno si aspettava di scoprire, un dato che non può essere trascritto su un diagramma: chi erano, com’erano vissuti. Al ritorno da Copenaghen avevo ormai compreso l’ironia di tale epilogo: alla fine avevamo acquisito molte più informazioni su aspetti che esulavano dalla nostra ricerca rispetto a ciò che ci eravamo proposti di scoprire. D’altra parte, era questo il risultato dei nostri viaggi.

vero, i viaggi sai dove cominciano ma non dove finiscono!

Monday, September 16, 2024

Il filo di Agnieszka (Auschwitz zwei)

Sta in campana, Paolo, questo è un argomento che merita rispetto. È un viaggio che volevo da sempre in questo non-luogo e anche questa memoria si deve infilare fra i luoghi reali che menziono in queste pagine. Non serve ordine, né logica, né rigore, è già tanto se riesco a dare qualche idea (e in realtà, più che mai, scrivo per me, per non dimenticare). 

A. Ci provo seguendo la traccia lasciata da Agnieszka, la guida che ci recupera nell'androne del Museo alle 9.30. Da ora in poi Agnieszka è A, una lettera che punta alto, quasi un'alpha come un punto di ripartenza costante. La prima frase che dice è "I tour ad Auschwitz sono sempre puntuali, come i treni" e ci mettiamo in moto che non sono nemmeno le 9.31, "i cinque cha mancano ci raggiungeranno sul percorso". Lo dice in un bell'inglese, forse un po' metallico, parla con volume naturale in un trasmettitore che diffonde le sue parole nei nostri auricolari di ottima qualità, possiamo alzare il volume quanto ci pare. Rifletto sulla battuta di A, sarà una delle pochissime che fa in 6 ore e rotti di visita in cui spara fatti, storie, date, nomi, "Why? Because...", senza sosta senza pace senza pietà quasi senza respiro. Dopo un'ora di questo trattamento sono un po' nauseato, me l'avevano detto che era una visita dura.

Nesssun lavoro, nessuna libertà, solo vergogna...

Overturism. In molti punti di Auschwitz senza auricolare non ci si può sentire, c'è troppa gente, molti giovani, un fiume di persone inonda gli spazi chiusi in cui tutto rimbomba. Io ho la fortuna di avere prenotato uno study day di 6 ore, siamo in 15, seguiti da un educatore, che è appunto A. Il nostro tour è più approfondito, a fine giornata avremo camminato quasi ininterrottamente quasi tutto il tempo. Entriamo anche in spazi in cui i visitatori che hanno meno tempo non ci sono, mi sfilo le cuffiette e ascolto la voce di A al naturale, mi pare un modo per ritrovare elementi di normalità in un contesto assurdo. Mi è parso strano, ma non ho conosciuto nessuno degli altri 14, ho scambiato qualche parola con tre di loro: una signora americana, probabilmente di origine sudamericana, che ora vive a Miami dopo essere passata per il freddo di Chicago; mamma e figlia israeliane, la prima ha i capelli bianchi e nonostante una certa età cammierà per km stoicamente nei suoi scarponcini da trekking. Nei passaggi all'aperto o fra un blocco (capannone) e l'altro vedo spesso persone avvolte nella bandiera a strisce azzurre con la stella di Davide, indossata come quando si vince una medaglia all'olimpiade. 

Foto. Scatto decine d'immagini, inizialmente con un vago senso di disagio. Che fotografo a fare? Mi sono chiesto se il mio è turismo dell'orrore, quello che porta la gente a visitare luoghi segnati da morte e tragedie. Qui è successo l'indicibile e mi sento anche uno che, vergognandosi un po', sbircia dalla serratura. Ma voglio capire. Cosa c'è da capire? La prendo un attimo larga: i matematici usano i casi particolari per illuminare la strada, è spesso molto utile studiare le situazioni estreme per afferrarne la struttura e provare poi a esaminare gli altri casi, quelli "normali". Auschwitz è arrivato a fondo corsa, spingendo alcuni "uomini" a pensieri, parole, opere e omissioni incommensurabili (sì, fra poco finirò gli aggettivi, il KL ti toglie anche le parole). Io faccio modelli e voglio capire: che cosa avevate in testa? Quale flusso di ragionamenti ha guidato le scelte? In quale modo si può sterilizzare l'orrore al punto da essere massacratore in orario di lavoro e genitore affettuoso a colazione e cena? Da scienziato quale tento di essere, so che per capire bisogna guardare, di solito basta la curiosità ma in questo caso serve anche una buona dose di coraggio perché i nazi hanno il potere d'infettare il mondo col dubbio, "sei anche tu, almeno un po', come noi", in fondo in fondo. E non vedo altri vaccini che soffocare il groppo d'impotenza che sale in gola (solo nella prima ora, mentre A ci travolge con una cascata di notizie; poi trovo una specie di giusta distanza) e guardare. Le foto? Decido di farle e uso il cellulare come un block notes visuale, lo faccio spesso e le foto, dritte o sbilenche, belle o brutte, sono tappe di un percorso. Le sto scorrendo adesso finché scrivo e ho fatto bene a farle.

Tutti hanno un nome, sei milioni di nomi.  
Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi
e tutto era scritto nel tuo libro;
i miei giorni erano fissati,
quando ancora non ne esisteva uno. Salmo 138

Numeri. Il KL è un efferato ripasso di conteggi, ma qui è diverso dal solito. Di solito basta contare le cose ma ad Auschwitz servono gli zeri, gli ordini di grandezza, è meglio usare il logaritmo in base 10 altrimenti ti perdi nei dettagli, che poi erano uomini e donne e bambine e bambini e vecchi giovani ebrei zingari deboli ammalati polacchi slavi religiosi, tutti dettagli... Ora, per un attimo, ha senso osservare l'aggregato. Un milione e mezzo di gasati o bruciati o fucilati; un milione e centomila ebrei svaniti; l'80% di queste persone sono rimaste qui meno del tempo della mia visita (6 ore) e scese dalla rampa hanno solo avuto il tempo di camminare fino alla camera a gas numero 1 o numero 2 o numero 3 o numero 4 o numero 5; novantamila persone ammassate in baracche in muratura (prima) e di legno (poi), fino a 1500 persone per un capannone che dovrebbe contenere 70 persone; 7-8 persone per letto (parlo sempre del 20% che è riuscito a vedere il bancale di legno chiamato letto, contendendolo agli altri 6-7 prigionieri); il campo di Auschwitz è grande sei ettari, Birkenau centosettanta ettari... Alcuni numeri me li ricordo bene, altri meno, ma vi confesso cha sta vacillando la mia incrollabile fiducia nell'asetticità delle cifre. Il KL ti toglie anche la matematica, se continua così resto muto, senza parole e senza numeri... E invece no: tonnellate di capelli umani usati per fare filati, migliaia di valigie effetti personali scarpe pettini oggetti, settecento posti in una camera a gas grande, migliaia di litri di liquame da sversare, tonnellate di cenere umana da smaltire coi camion o con le chiatte e così via.

Agnieszka, mamma e figlia d'Israele.

Storia. A è assertiva, quando una delle due signore anziane del gruppo le racconta di un parente dice che uno storico ha bisogno di dati, documenti, carte, riscontri, foto, i racconti non servono. A: "In all honesty, we don't care why [the nazis] took photos, propaganda, administration, or left records. We use them as evidence and proofs of crimes". La sua fermezza è totale, immagino che lei e le persone che lavorano alla conservazione e alla memoria siano ormai abituati ai controargomenti dei negazionisti (che tanto sono squalificati scientificamente quanto hanno presa su parte della società).

Mentre tutte le organizzazioni criminali nascondono i loro misfatti, i nazi hanno lasciato montagne di registrazioni, verbali, lettere e ordini scritti nonché migliaia di foto, spesso scattate dagli stessi aguzzini, con tanto di data, timbro, didascalia descrittiva. Resto allibito di fronte a questi aguzzini: mafia e Brigate Rosse, tanto per fare piccoli esempi, usavano i pizzini o immergevano tutto nel segreto ma questi hanno disseminato il mondo con i frutti di una burocrazia che lascia stupefatti, in un flusso di documenti contabili e organizzativi pauroso e sterminato (una specie di super MEPA dell'annientamento, coi conti, preventivi e fatture del costo dello Zyklon B e la valutazione d'impatto delle novità sperimentate per derattizzare presto e bene più subumani possibile). Un esercito di funzionari, segretari e burocrati passava le giornate a istruire pratiche, scrivere e inoltrare queste carte, "vogliate cortesemente fornire 200 contenitori di cianuro..." o "gentilmente mandateci la vs migliore offerta per rimpiazzare 4 forni con carrello retrattile, seguono specifiche...". Negli ultimi giorni di gennaio del 1945, forse anche le SS hanno capito che era meglio distruggere le prove e hanno tentato di bruciare quel che potevano o ammazzare i testimoni ma c'era talmente tanta roba che, nonostante lo zelo e le croci di ferro appuntate sul petto, non hanno fatto in tempo. (Ho chiesto dove stava Primo Levi, ma Auschwitz III - Buna  sono riusciti a distruggerlo e non è rimasto nulla).

Le dimensioni dell'obbrobrio si capiscono bene solo camminandoci dentro per 6 ore: decine di fabbricati, uffici, locali per le più varie "funzioni", magazzini come Canada 1. Così era chiamato un blocco di Auschwitz dove si ammassavano le proprietà degli ammazzati in attesa di essere trasferite alla banca centrale del reich millenario (se erano anelli, gioielli o otturazioni in oro) o alle manifatture (capelli e qualsiasi altra cosa). Con ironia, il luogo era chiamato Canada, che a quei tempi denotava il paese di bengodi. Anche a Birkenau c'era il Canada 2 ma hanno bruciato anche questo prima che arrivasse l'armata rossa il 27 gennaio 1945 (sì, è il giorno della memoria).

A non fa sconti, sterminare su vasta scala richiede uno sforzo enorme, produce fra l'altro tonnellate di ceneri e frammenti di resti umani di cui disfarsi (l'ho già detto, scusate), ettolitri di merda da spalare e portare nelle fogne (non perché ai nazi piacesse l'igiene ma un'epidemia di tifo avrebbe rallentato il ritmo e abbassato gli indicatori di performance), pone problemi come il grasso umano che colava dalle cataste di cadaveri in fiamme e ardeva al punto da alzare le temperature, impedendo alla forza lavoro di avvicinarsi.  Lo vedete il linguaggio che uso? Non oso, non mi permetto, non voglio pensare che sembra quasi normale e forse non dissimile da quello di altri documenti che leggo e scrivo ogni giorno: problema, analisi, soluzione. 

Nulla di personale. Chiedo ad A se riesce a fare due turni in un giorno. Io mi riferivo al carico emotivo che devi sopportare quando ripeti simili dettagli per molte volte. Forse, come io mi sono "abituato" a questo spazio in mezza giornata, così lei ha trovato il modo di dire le cose senza abradersi l'anima ogni volta. Ma A mi dice "no, sono una freelance e dopo sei ore che parlo mi fermo", è una risposta interessante e prima che pensiate che è un mostro (cosa che sarebbe sommamente ingiusta) lasciate che vi dica cosa mi ha detto quando le ho chiesto "ci sono state rivolte? perché non si ribellavano?" (la prima domanda era evidentemente scema: come si fa a fare 6+6 ore di visita in giorno?)

Mi risponde che dirà qualcosa sul tema in seguito ma continua osservando che è difficile ribellarsi quando hai viaggiato per giorni in un carro bestiame (e per pura fortuna non sei stato asfissiato immediatamente e incenerito), non sai dove sei, in un paio di giorni sei un morto di fame che si regge a stento in piedi, travolto dalle botte e dal freddo; quando il tempo passa, poi, ti chiedi se ribellandoti vuoi scappare (ma dove?) o solo morire con dignità (ma quale?) e capisci che non è una scelta personale, dato che una fuga, o solo un'infrazione da nulla, è foriera di punizioni collettive atroci per un'intera baracca o settore o campo. In alcuni momenti, finché parla, perde il suo aplomb professionale.

In effetti, quando arriviamo alla camera a gas 4, A ci racconta dell'unica rivolta nota, quella dei Sonderkommando il 7 ottobre del 1944, mi lancia qualche occhiata d'intesa finché spiega che sono riusciti a distruggere un crematorio, ma alla fine tutti i sonder sono stati giustiziati dal primo all'ultimo, impiccate anche le 4 polacche che li avevano aiutati. L'unico altro momento in cui si accende è quando ci dice che loro conoscono bene i tedeschi e i russi e affiora una rabbia trattenuta. Ho perso il conto del numero di polacchi uccisi in qualche momento da tedeschi e russi, ma siamo oltre al milione. Capisco che i tizzoni del risentimento non sono ancora spenti del tutto.

Birkenau. Finiamo la visita del KL Auschwitz I alle 12.50, alle 13.10 c'è la navetta che arriverà alle 13.18 a Birkenau, A: "Io comincio la visita alle 13.20, ci vediamo all'ingresso, cammineremo almeno due ore". Schizzo al ristorante, panino tonno e mais, tazza di americano, prendo addirittura la navetta delle 13.00 e arrivo alle 13.08 per godermi 12 minuti dodici di pausa e respiri profondi, addentando e trangugiando s'intende. Puntualmente, si parte entrando nel cancello più fotografato della shoah (anche se il ferro battuto di "macht" non scherza, sono tutte immagini incise a fuoco nella memoria collettiva). 

È una bella giornata, di quelle poetiche, cielo azzurro, nuvole bianche, temperatura tenue, è un contrasto lacerante e penso nitidamente che camminare per ore con la pioggia avrebbe aggiunto pena a tristezza e dolore. Ma sono fortunato e il sole, raro da queste parti in questa stagione, non ci ha mai abbandonato. Questa era la cosa bella. L'altra cosa è che Birkenau è sterminato, 170 ettari, a perdita d'occhio baracche o quel che ne resta (i pilastri, muri e tetto sono venuti giù), diviso in un reticolato con 4 settori principali, coi boschetti di betulle (!) in fondo a nascondere le camere a gas con crematori incorporati. Per darvi un'idea, i parchi minerali dell'ILVA, l'acciaieria più grande d'Europa, quelli che bisognava coprire perché inquinano disperdendo ossidi e polvere di carbone, si estendono per 70 ettari.

Sono stufo di scrivere, mi fermo qui, non ho nemmeno la forza di provare a chiudere in modo leggero. Di leggerezza ce n'é poca in mezzo ai campi di Auschwitz II - Birkenau. A ci lascia all'ingresso alle 15.40, "Can I post on some social platform my appreciation for your work?", "No, I dont have any social", "Can we take a photo together?", a denti stretti accetta. Grazie, Agnieszka, per la foto e per il filo cui ci siamo aggrappati per tutto il giorno.


ps 1. Credo che meriti leggere Auschwitz: Ultima Ratio of the Modern Age e vedere le foto di Tomasz Lewandowski, che scrive anche un pezzo molto interessante sulla forma che si fa funzione pura, perversa e diabolica nell'achitettura dei campi di sterminio.

Autore Tomasz Lewandowski

ps 2. Oświęcim non è Auschwitz e forse i nomi diversi consentono di mantenere un minimo di distanza. Di polacchi in giro ce n'erano pochissimi, anche perché i tedeschi li avevano deportati altrove per creare la zona d'interesse, quella che serviva ad accogliere il personale tedesco per allargarsi a est. In segno di rispetto per la comunità locale sono andato a vedere il Museo del Castello di Oświęcim, dove si legge pure la storia di un concittadino che ha combattuto a Monte Cassino nel 1944.

Sunday, September 15, 2024

In viaggio verso il nulla (Auschwitz ein)

On the eve of WWII, about 1,500 Jews lived in Trzebinia (Yiddish: Chebin), a community bubbling with Chassidic life and Torah learning, Zionism and a pioneering spirit, political parties and youth movements. 
Volevo un titolo diverso, volevo a "Road to nowhere" ma è troppo tardi e l'ho già usato in un altro post. Il nulla di cui parlo è un abisso della storia, dell'umanità, del pensiero e dell'azione. Viaggio verso un a-topia, un non luogo che adesso ha un nome diverso, Oświęcim, da quello che tutti conoscono. Penso che sia una benedizione avere un altro nome, evitando il marchio d'infamia per eccellenza e la corona lorda di sangue del capostipite di tutte le atrocità, Auschwitz.

Ryanair fino a Cracovia, in treno verso il centro fino a una stazione periferica dove google maps mi dice di cambiare. Scendo a Krakow Bronowice dove devo attendere 40 minuti il locale che mi porterà alla mia undestinazione. Ci deve essere un senso carsico di assenza in questo posto che ha del metafisico, ci sono 4 binari, due per la metropolitana leggera, uno per i treni verso il centro e il mio per i treni verso la campagna. Poi basta. Un sottopasso, nessun edificio, nessun posto dove prendere un caffè, nemmeno le macchinette per comprare il biglietto, noi la chiameremmo "stazione non presidiata". In effetti, cosa c'è da presidiare sulla via per il niente? Mi siedo sulla panca, ben attento a non spaventare la signora che sta due metri più in là sul suo pezzo di sedile. Poi arriva una ragazza, si accomoda fra me e l'altra, mi faccio stretto nel silenzio di tomba squarciato solo dai treni a tutta velocità che non si fermano a Bronovice. Il tempo è inaspettatamente decente, nuvoloso con qualche raggio di sole, apro "La zona d'interesse" di Martin Amis, una delle letture che a mo' di compiti per casa mi sono imposto prima di partire (fioi, è un bel libro, provatelo!)

Si materializza il mio treno, 16.53, ne avrò fino alle 17.51 per Oświęcim. Cerco il controllore, un ragazzo giovane e alto, inglese deboluccio ma funzionale, compro il biglietto. Vedo binari, tanti binari che spesso si aprono a ventaglio come se ci fossero scali o aree d'interscambio, penso che a causa delle miniere che si trovano qui intorno c'era evidentemente una buona infrastruttura per fare arrivare sonderzug da tutta Europa. 

Vedo colline, boschi, fiumi e betulle. È strano, o forse no, ci sono delle cose che associ a delle altre cose dopo che hai letto o visto qualcosa: per esempio, i carillon mi fanno paura (un filin...) perché ho visto qualche pezzettino di film di Dario Argento o sentito qualche minuto di colonna sonora di horror movies. C'è sempre 'sto cancaro di carillon che avvisa che a breve il sangue schizzerà metaforicamente sul vetro della telecamera, no? Un po' allo stesso modo, le betulle mi ricordano le descrizioni dei dintorni di Auschwitz o i boschetti dove all'inizio della storia gli Einsatzgruppen (specie di squadre della morte aizzate da Himmler) ammazzavano con un colpo in testa tutti quelli non abbastanza ariani. Forse un milione e mezzo di persone sono finite fra i boschi in questo modo. E pensare che io le betulle ce le avevo nel giardino di casa, ma a quel tempo ero bambino e non mi trasmettevano cattive vibrazioni. Ci dovrò lavorare su: che ci possono fare le betulle che hanno la sola colpa di essere state là?


Stazione di Trzebinia, sono a 20 kilometri dalla destinazione. Non so perché, forse il nome somiglia superficialmente a Treblinka, e cerco sul web. La pagina di wikipedia di Trzebinia mi fa capire che essere intorno al buco nero di Auschwitz non è senza conseguenze. La seconda pagina che trovo è dello Yad Yashem.
On the eve of WWII, about 1,500 Jews lived in Trzebinia (Yiddish: Chebin), a community bubbling with Chassidic life and Torah learning, Zionism and a pioneering spirit, political parties and youth movements.

On 29 May 1942 (13 Sivan 5702), the deportation of the Jews of Trzebinia began. That day, SS and German police forces surrounded the ghetto, and a selection was carried out. The young and healthy were sent to work in factories in the nearby town of Chrzanów and forced labor camps within the Reich borders. A week later, those who remained were sent to Auschwitz, where they were murdered in the gas chambers on their arrival.
Provo a capire che cosa dev'essere stato quest'angolo di terra 8 decenni fa: abbiamo avuto i massacri anche dalle nostre parti, di uno parlo anche su questo blog, ma qui la scala sembra essersi imbizzarrita, anche in insignificanti paesi di campagna spersi lungo i binari. Sono quasi arrivato a Oświęcim e attraverso sulla ferrovia il fiume Vistola. Nuovamente, sull'acqua che fluisce placida mi immagino le tonnellate di ceneri umane disperse per non lasciare traccia. Betulle e fiumi non hanno voce ma si dovrebbero iscrivere a un sindacato che difenda i lori diritti! Che colpa hanno per aver piantato radici o scorrere in un simile terrificante pezzo di mondo?
After the war, only 270 Jews from Trzebinia remained alive. This is the story of the community of Trzebinia. [Fonte]
Sono le 17.51, puntuale, scendo a Oświęcim, il sole sta tramontando ma è una bella serata nonostante fosse prevista acqua a catinelle. Lo prendo per un buon auspicio per l'indomani, quando andrò a vedere la bestia nel non-luogo dove ha ringhiato con tutta la violenza possibile.

All'uscita dalla stazione di Oświęcim. C'è un po' sole, decido di camminare e annusare l'aria.



Saturday, September 14, 2024

Team and steam, l'arte e la scienza di far girare la squadra

Metto il limitatore a 75 km/h. Non che ce ne sia bisogno, la mia 500 non è una Abarth, ma vado soffuso e morbido, senza toccare il cambio o premere il pedale lungo i rettilinei di campagna che da S. Gaetano mi riportano a Riese, strade dritte figlie delle figlie della centuriazione romana che inducono alla riflessione. Mi godo la lieve vibrazione dell'abitacolo, l'immobilità, la tenue stanchezza e ripenso alla giornata di team building del Dipartimento, 8 ore coi colleghi e con i formatori. Quando è stata l'ultima volta che hai fatto una cosa per la prima volta?


Siamo ospiti di Infinite Area, nel cuore dell'area produttiva di Montebelluna, chi la conosce sa di cosa parlo, una selva di capannoni industrie calzaturifici laboratori teste e mani per fare e inondare il mondo di prodotti servizi idee ad alto valore aggiunto. È una delle tante piccole Silicon Valley del NordEst de noantri, io sono nato a una decina di kilomentri da qui e S Gaetano è uno dei paesi lungo la strade per il Montello, il paradiso dei ciclisti, quelli che sudano su dei catorci e anche quelli che hanno mezzi da 20000 euro (sudano, a volte, a anche quelli). Prato curatissimo, due hostess disciplinano l'ingresso, open space con tanto di carlinga di aereo riadattata per ispirare chi prova a sintonizzarsi su soft skills, leadership, organizzazione, capacità di gestire gruppi, casini, filiere, crisi internazionale senza farsi massacrare dalle strozzature logistiche, è il posto dove quadri, imprenditori e pure metalmezzadri di lusso si formano in mezzo a giornate di 18 ore di lavoro, "sapere è potere" anche se da noi resta valido il più semplice "testa bassa e baretta fraccata". Ci sono uffici, stanze per riunioni di dimensione varie, una wireless guest che uso dalle 11.00 alle 11.30 per parlare con Susi. 



Conosciamo i formatori di Otherwise (@otherwisetwitt), a me tocca quasi sempre Manuela, sulla quarantacinquina, castana a ricci lunghi e voce giusta, potente senza essere invasiva, e presenza fisica appropriata. sotto la sua guida finisco per fare molte cose con Sara, Silvia, Koray, Giacomo, Alex, Carla, Enrica, Kai, Sonia, Nicole, Davide, Martina (grazie ragazzi! E mi scuserete se ho dimenticato qualcuno fra vegani, judoka, poliglotti, ex tennisti e ex left-fielders... e chi più ne ha più ne metta).

Ci insegnano ad ascoltare, che è diverso da udire; capisco, in vari modi, che è faticoso, che la gente ti dice le cose ma serve cura, intuizione, umiltà per sentire che cosa hanno tentato di trasmettere, ci sono dei momenti in cui sono esausto. E ce ne sono altri in cui ammiro la forza, l'intensità, gli sguardi penetranti, e anche quelli smarriti, dei miei compagni di viaggio. Mi godo la presenza discreta di Manu, che suggerisce vie d'uscita senza mai darci la pappa pronta, tiene i tempi, "avete pensato che...?" e interviene quando i singoli o il gruppo sfarfallano.

Mi butto e non mi faccio mancare nulla, con un filo di attenzione per non strafare, siamo in tanti e un mosaico esce solo se tutte le tessere vanno a posto, non ci sono solo io. Provo a mimare il proverbio "curiosity kills the cat" (yes, mimare!) e ritengo di essere stato bravo almeno a fare il gatto morto stramazzato. ok, curiosity è un’altra storia e alla fine Nicole se ne esce con uno strepitoso "if you eat you can also work". È una bella metafora di come lavoriamo in ateneo, dove non siamo in 8 ma in centinaia: uno vorrebbe qc, prova a uccidere il gatto ma è troppo curioso (!?), gli altri capiscono "chi non lavora non fa l'amore", bella consecutio! Sorrido a denti stretti, sarà una metafora ma succede a settimane alterne nelle riunioni con colleghi, funzionari, prorettrici e rettrice. imparo che "c'è sempre un altro modo di vedere le cose", spero di ricordarmene la prossima volta, spero di essere lucido e di ripetere, a mo' di mantra, che ci deve essere un altro modo.

Ho due osservazioni "importanti": la prima è che abbiamo giocato 8 ore, è raro poterselo permettere fra adulti. Ma è quello che facevamo all'ACR (Azione Cattolica dei Ragazzi, miscredenti che non siete altro!), gioco, testa, riflessioni, gioco, pensieri, analisi che adesso chiamano debriefing... Sono certo che tutti i gruppi scout facevano lo stesso, t'insegnano, ci insegniamo come si sta insieme, come si porta rispetto, come ci si relaziona. adesso ci sono le soft skills, il design thinking, la mindfulness. bene. ma una parte di me dice "ridatemi l'ACR", non c'è nulla di nuovo (che forse, sotto il sole, non è un'enorme novità). Grazie Pia per avere osservato anni fa che le più prestigiose business school e i guri dell'aziendalismo hanno copiato il modello senza nemmeno citare i crediti. Mi sono divertito tanto, in un curioso stato in cui la fisicità di certe attività si combinava bene con la parte cognitiva, a formare un flow che aveva molto senso.

La seconda cosa è che si intravedono dettagli interessanti sulle persone che sono sempre e restano spesso bestie rare: alcuni erano simpaticamente cazzoni prima e restano tali anche dopo: sono quelli che s'imboscano, stanno sulla difensiva, si autosabotano e non partecipano con vago sentore di sussiego; altri sono delle rivelazioni, sprizzano forza mentale (e anche fisica), sono parte della soluzione e mai del problema; poi c'è una riga di sfumature intermedie, c'è chi ha paura di tutto (spesso, ma non sempre, è un collega del PTA) e chi ha bisogno di una solida base teorica per tagliare coi denti un pezzo di scotch (spesso, ma non sempre, è un collega docente). il mondo è bello perché è vario, le mie posterior sulle persone sono diverse dalle prior, in qualche caso ho aggiunto sfumature struggenti, in generale sto meglio con molti colleghi e in qualche caso si sono messi sull'impervia strada di essere inclusi fra i miei eroi. 


Nel pomeriggio, in sostanza, facciamo solo una macchina di Goldberg. Da wikipedia: un meccanismo progettato in maniera deliberatamente complessa per eseguire operazioni semplici o trascurabili.

Potrei discutere il "deliberatamente" e l'apparente assurdità di fare cose trascurabili e per giunta perdendo tempo. La macchina è un gioco e, credo, non si direbbe mai che la scopa è un modo deliberatamente complesso di disporre 40 carte su un tavolo (cosa alquanto trascurabile). Il gioco è una cosa seria! Nel nostro contesto, la macchina è un potente mezzo per creare un team in grado di fare cose che all'inizio sembrano solo divertenti, poi virano sull'impossibile, infine te le rendono ancora più difficili, un viaggio nell'onirico che sfida la gravità per fare cadere da un trespolo una palla con cannucce, legnetti, spago, palline, pezzi di domino, carabattole e cianfrusaglie varie. Nella prima fase, quella ludica, noi lavoriamo mezz'ora per mettere in opera una carrucola (specie io, Giacomo e Marianna), ci pareva una figata estetica; poi abbandoniamo per le troppe difficoltà (attriti, il filo si impiglia, il sostegno traballa nonostante generose scocciate di nastro da pacchi...) 


Eppure, più tardi, si sprigiona una magia quando ci dicono l'obbiettivo vero e ci rendiamo conto che se le palline vanno giù per gravità, per fare cadere la palla grande dal tavolo, o con le buone o con le cattive, dobbiamo elevarci. E la sporca maledetta mezz'ora (o era un'ora?) di maldestri tentativi a vuoto a questo punto resuscita perché quel tempo perso ha posto le basi per carrucolare un cestino in cui entra una biglia pesante, in modo che si tira un filo che fa cadere un sostegno che tiene in bilico la tovaglia che scivola a terra e fa cadere la palla (ce la potete fare, rileggete tutto d'un fiato!) Facciamo pure una prova generate e l'accrocchio sembra funzionare. Rimettiamo a posto tutto, ci sono sempre margini di rischio, manco fosse la partenza dello shuttle da Cape Canaveral, dato che tutto sta in piedi per misericordia e bisogna respirare lenti per evitare che lo spostamento d'aria inneschi il meccanismo.

Il primo gruppo ce la fa: bel numero e la palla grande cade; il secondo gruppo ha costruito una cosa di grande effetto coreografico, in cui tre palline convergono nel tentativo di ribaltare un cilindro di legno che poi dovrebbe fare il suo lavoro. ma le cose non girano come previsto e c'è un momento di delusione e smarrimento... fino a quando Federica molla un calcione al cilindro! L'episodio è di gran finezza e mi ricorda la meravigliosa scena del matrimonio di Vassilissa in "Mediteraneo" di Salvatores: il brindisi celebrativo deve finire col bicchiere rotto dopo che gli sposi hanno sorbito il liquore labbra su labbra, ma qualcosa va storto e il bicchiere rimbalza per terra e non si rompe. L'intervento del capitano Lorusso-Abatantuono distrugge il cattivo presagio, calpestando e mandando in frantumi il bicchierino. Ecco, penso che dove non arriva la macchina è molto benvenuto un calcio ben assestato di Federica Lorusso in Abatantuono. Sono pure tentato di pensare che qualche volta un calcio ai maroni di qualche collega farebbe miracoli... ma mi trattengo! Alla fine ci siamo noi, terzo gruppo, non manca la suspense ma vien giù tutto, carrucola, sostegno, tovaglia e soprattutto palla! Alzo il pugno come Sinner agli Open degli USA, a ognuno le sue soddisfazioni, no?

È stato bello! Decine di colleghi a mettere in fila biglie e traiettorie di pensieri, a conoscersi, a ribadire che per ascoltare bisogna esserci sul serio, senza cadere preda di quella frenesia di minuzie in multi-tasking che ci rendono sordi, ciechi e alieni. E a dir il vero mi sono gustato la disconnessione da internet, email e boiate varie, ero in silenzio-internet e direbbero i REM it's (not) the end of the world as we know it and I feel fine! https://www.youtube.com/watch?v=Z0GFRcFm-aY


ps1. Disconnesione internet completa? No... Tre tweet celebrativi-istituzionali non sono riuscito ad evitarli... Una bella cosa di cui non ho parlato nel post è at https://x.com/paolopellizzari/status/1834553469081911427

ps2. Grazie Sonia e grazie Marco, corre voce che quanto ci avete dato dentro voi per organizzare l’evento non lo sa nessuno!

Tuesday, July 09, 2024

Bamberg, economia e "Prisencolinensinainciusol"

Partiamo dalla fine dell'inizio. Sono le 23.49 di martedi 9 luglio e arrivo alla stazione di Bamberg in una tiepida serata d'estate. Sono in viaggio da 8 ore e rotti, Venezia - Bamberg via Munich, con una combinazione, l'unica che mi pareva sensata, di aereo e treno che in teoria avrebbe potuto farmi arrivare entro le 21.00. Già, ma questa è roba da economisti, gente che si incapriccia di una teoria e crede per tutta la vita, anche contro l'evidenza, che la gente non possa che comportarsi come prescritto dai loro principi. Viaggiare in Germania ultimamente pare proprio un esercizio di masochismo economico teorico: pianificare, eseguire, ottenere... ma le cose non vanno mai così. Lufthansa ritarda il volo di due ore, saltano le prime coincidenza a Munich. Per fortuna, su suggerimento di Sarah, ho preso un flexi-ticket, posso prendere qualsiasi treno a qualsiasi ora e questi super-poteri mi consentiranno, bene o male, di raggiungere la meta. Salto al volo sulla linea della metropolitana S1 e arrivo circa un'ora dopo a Munich Hauptbanhof, inondata dalla luce del tramonto che colpisce e indora l'enorme vetrata dove campeggia la scritta cubitale "Grundig". Perso un treno se ne prende un altro e, per mettere una pezza, dovevo prenderne quello lle 19.42, ma anche questo è in ritardo, prevista la partenza alle 20.16 sul binario 22. ci sono diverse ragazzi in gilet rosso con la scritta DB che danno info ai viaggiatori. il mio è simpatico, alto e magro con gli occhiali, pesta sul cellulare e mi dice che non ho altre opzioni per Nurburg-Bamberg, unica  scelta è aspettare. si vedono continuamente turisti e tifosi venuti qui per l'europeo, polizia ovunque, totem col logo della UEFA e così via.



vado da Yorma's e prendo eine kaffee mit sahne (il mio tedesco è solido solo in espressioni linguistiche fondamentali come questa) e una brioche salata e farcita con formaggio e prosciutto. nonostante tutto sono di buon umore anche senza averne motivo: due ore di ritardo areo, treno in ulteriore ritardo per Norimberga e cambio per saltare su un regionale alle 21.49, poi devo camminare un'altra mezz’oretta per raggiungere l'Ibis Alstadt. eppure mi godo il calore che riempie la grande stazione, simile per spazi a Milano centrale, pur senza lo spettacolare arco di ferro e vetro, la forma è tedesca, squadrata, e funzionale. Un flusso di gente variopinta va e viene, si accumulano passeggeri come me, di fronte al binario 22, in attesa dell'ICE. Quando ripartiamo da Monaco, alle 21.20 io mi sono già bevuto il mio tazzone di caffè scuro e addento la mia brioche, mi pare di essere un papa.


nello scalo intermedio di Norimberga, in attesa del regionale per Bamberg con cui percorro l'ultimo tratto, vado in primo binario e trovo una popolazione di viaggiatori che guardano la semifinale Spanien - Frankreich, c'è chi beve una birra seduto ai tavolini del bar e molti che come me approfittano del grande schermo. sentiamo la tensione che attanaglia i francesi alla ricerca del pareggio e tutti, bevitori o meno, sobbalzano quando Mbappé si divora un gol fatto verso la fine. adieu, il calcio è una cosa seria, la comunità del binario 1 alle undici di sera lo prova, e la giustizia del pallone è rotonda: questo Europeo se lo devono prendere proprio gli spagnoli.

sono ormai sfatto e stanco ma l'aria condizionata a manetta sul treno "Regio" mi tiene sveglio con la minaccia constante di assideramento. mi convinco che prenderò un taxi per fare prima e andare a letto. raggiungo la destinazione alle 23.49, un cartello verde mi dice in italiano "Benvenuto a Bamberga", salutandomi nella Roma della Franconia, fa un bel caldino che inizia a massaggiarmi il collo e ad aprirmi i polmoni, mi sveglio di brutto, me la faccio a piedi aspirando la pace della notte, trascino il trolley quasi volando e in pochi minuti raggiungo il Caffè Rondo: sono rientrato nel mio territorio, nei posti che conosco e in cui mi oriento senza Google maps. è mezzanotte e 20, entro nella 301 e l'inizio è finito!


WEHIA, Workshop On Economics with Heterogenous Agents, è uno dei luoghi scientifici in cui ritrovo un po' di senso, è uno spazio accademico vagamente eterodosso in cui si prova a capire la realtà (economica?) con modelli in cui gli agenti sono imperfetti e diversi fra di loro. ah, potreste chiedere, e dove starebbe la novità? il punto è che in Economia, quella con la "E" maiuscola, le persone sono fenomeni, eroi senza macchia e senza paura, con infinite capacità di capire la situazione, dedurre le implicazioni del proprio operato, setacciare informazioni senza posa, prendere a prestito capitali infiniti e così via. non sto scherzando, le persone in molti libri di testo sono spocchiosamente irreali, infallibili, mostruose macchine che sprigionano una razionalità spaventosa: zero errori, zero passione, zero di tutto. Non vi preoccupate troppo se, invece vi sentite spesso come Fantozzi: siete perfettamente a posto! è del tutto normale essere sbadati, avere molta più sfiga della media, sentirsi sotto pressione e faticare come bestie per stringere un pugno di mosche. è la norma nella vita ma, semplicemente la realtà è stata scacciata da larga parte dell'economia ortodossa, quella per cui se trovi un biglietto da 50 euro per terra non lo raccogli, si deve trattare di un'allucinazione, un evento teoricamente impossibile poiché se ci fosse veramente qualcun altro di sicuro lo avrebbe raccolto prima di voi... è un delirio che mi fa sempre venire in mente "Prisencolinensinainciusol"  di Celentano, fatevi pure due salti finché immaginate il professore teorico che scimmiotta anche la lingua dei colleghi nord-americani!


Al WEHIA trovo ricercatori che studiano argomenti in modi sensati e i modelli tengono conto delle limitazioni di noi umani. E ritrovo alcune dei colleghi e amici con cui ho lavorato per decenni, gente coi neuroni in campana e che puoi definire normale (per carità, tutti a loro modo!). siamo ospiti al Bistumshaus St. Otto, Heinrichsdamm 32, l'ex seminario di Bamberg. è un edificio degli anni venti, con la sua grandiosità che era un segno dei tempi, di quei tempi, quelli in cui si preparava la bufera che avrebbe investito con le sturmtruppen tedesche l'Europa e il mondo. è quasi impensabile ora pensare che una volta Santa Madre Cheisa avesse bisogno di spazi così dilatati, ed è enorme la differenza con un presente in cui i preti "are in short supply", hanno finito le scorte come mi dice Frank, e la chiesa bavarese affitta questa meraviglia di struttura, con sala per le feste, mensa e camere per gli ospiti. 



lasciando perdere l'economia, il primo pensiero va proprio a questa chiesa bavarese che, nella mia testa, si staglia rigida, tradizionalista e implacabile nella sua ortodossia. forse non è un caso che fra i grandi dipinti che adornano i corridoi ci sia un monumentale e potente Benedetto II, una delle glorie locali che rasenta la regalità. Papa Francesco è raffigurato in un quadretto formato A4, ma non fa una piega! sulle porte di varie stanze ci sono anche dei ritratti in bianco-nero, flou come si faceva negli anni trenta, in memoria delle persone fatte sparire dalla gestapo perché credevano in Cristo e non nel Fürher. su un tratto di parete c'è pure il nostro Luciani, Giovanni Paolo I, in grande formato nonostante sia buono come il pane e tutt'altro che teutonico.


in secondo luogo, credo che Frank sia una specie di kami, una persona capace di lenire le tensioni di questo lavoro con la gentilezza, l'acume e l'impegno che è sempre senza risparmio. di recente mi ha presentato anche Sarah, brillante collega-dottoranda franco-tedesca con cui abbiamo scritto questo paper che parla di fake news e che mostra come le persone fatichino a capire quello che succede quando sono bombardate da notizie tarocche. grazie per il (lungo) tratto di strada fatto insieme. 

Con Frank e Sarah, di ritorno dalla passeggiata serale post beer-garten! Grazie di tutto, ragazzi!

Non vi tedio con altro e salto al venerdì. All'inizio della fine leggo sullo schermo del cellulare che l'ICE 505 da Hamburg Altona per Munich Hbf, quello che devo prendere io, è cancellato. penso nitidamente "ma va' a cagare", ho già dato all'andata e parto subito con le eliche rotanti per la stazione con l'idea di andare in ufficio alla DB e cambiare il biglietto come meglio si può. m'incammino e giunto in stazione la signora robusta e sulla sessantina cui chiedo mi dice che invece non c'è problema, aggiunge che il treno è pure in orario. alla fine capirò che il sito in questione riportava la cancellazione del treno di ieri, ho avuto fortuna anche se per essere precisi e tedeschi, l'ICE accumula 9 minuti di ritardo prima di arrivare a Munich e la coincidenza per Bologna via Brennero ha altri 20 minuti di ritardo. penso che è una fortuna, che è una contraddizione in termini -- fortuna un ritardo? --  ma mi godo una sosta più rilassata per comprare sandwich, kaffee e 2 pretzel in due chioschi diversi. salgo sul binario 12, bella carrozza della OBB posizionata in coda al convoglio, c'è il pienone e, come sempre, ciclisti, escursionisti, famiglie e bambini che si stendono subito per terra sulla moquette, una roba che farebbe inorridire una mutter italiana, tutti giù per terra! arriverò a Verona comunque in tempo per la freccia delle 20.00 con direzione Treviso. da ora in poi è discesa e abbiamo già passato Rosenheim e Kufstein...

ps. visto che mi sono imbarcato in un paralleo ardito fra economia e "Prisencolinensinainciusol", a questo punto vedetevi anche  https://vimeo.com/573631010, con la Raffaella Carrà (al posto della Claudia Mori che compare nell'altro) e il balletto, da non credere!





Sunday, March 31, 2024

Centesimi (e anche di più)

A fine marzo 2024 ero a caccia di esempi per il mio "Financial Literacy", corso di sopravvivenza finanziaria destinato a studenti non addetti ai lavori che studiano di tutto fuorché economia. Provo a rendere concreto il concetto di TAN e TAEG. Non prendete paura, il Tasso Annuo Netto (TAN) è il tasso d'interesse "teorico" e puro, quello che si cita per dare un'idea del costo dell'operazione finanziaria. Per motivi che saranno chiari in pochi minuti, però, del TAN ne facciamo poco. Ciò che conta, infatti, è il Tasso Annuo Effettivo Globale (TAEG) che è il tasso "vero", quello ottenuto dopo che sono state incluse tutte le spese accessorie, a qualsiasi titolo dovute, commissioni, spese di perizia, apertura/chiusura pratica, contributi all'incasso, gabelle, aggiunte, tric e trac e varietà a piacere.

Fonte: https://www.findomestic.it/landing_page/adv/pp/ppc_bing.html, scaricata il 27 marzo 2024

Ne segue che il TAEG è sempre più alto del TAN, a meno che le spese non siano nulle, zero, inesistenti. In questo caso, e solo in questo, il TAN è uguale al TAEG, dato che il tasso teorico e puro diventa uguale a quello pratico e "sporco" che tiene conto di tutti i balzelli possibili.

E allora resto sorpeso di fronte all'annuncio che vedete sopra. Vuoi prendere a prestito 14.000 euro? Ti basta pagare 199,90 euro al mese per 96 mesi (8 anni). Ok, forza e coraggio, si può fare. Guardo il TAEG, 8,59%; poi leggo il TAN, 8,27%. Mi dico, in un canino automatismo pavloviano, "va bon, ci sarà qualche spesuzza aggiuntiva...". Però resto sopreso di fronte alla frase che vedete nella parte verde: "Zero spese accessorie: paghi solo la rata". Le spese ci sono o non ci sono? Se ci sono perchè scrivete il contrario? E se non ci sono perché il TAEG è più altro del TAN?

Rifletto un attimo: findomestic sa fare il suo mestiere, vendono credito al consumo e guadagnano su queste operazioni, sanno cosa dice la legge e pure come si calcola TAN e TAEG, sanno che la legge impone di renderli pubblici. Cosa c'è che non torna? Decido di scaricare il contratto, cliccando sul bottone "Ok, inizio subito", riempio un po' a caso le domandine che propongono, facendo attenzione a lasciare 14.000 e 96 rate. Dopo qualche secondo mi esce un pdf, ne vedete un estratto qui sotto, è proprio quello che parla di costi.


Spero che sia nitido e che lo possiate leggere ma il punto è che "Costi derivanti dal Contratto di Credito" non ce ne sono: niente istruttoria, spese d'incasso, chiusura e altre amenità. Il dubbio s'infittisce, ma perché mai allora il TAEG è più alto del TAN?

Decido di farmi i conti per bene e lancio R per risolvere un paio di equazioni (chiudete gli occhi se volete, dopo spiego!):

> f <- function(i) (1-(1/(1+i))^96)/i

> uniroot(function(i) 199.90*f(i)-14000,c(0.005,0.01))

$root

[1] 0.006909052


$f.root

[1] -6.261358


$iter

[1] 3


$init.it

[1] NA


$estim.prec

[1] 6.103516e-05


> res <- uniroot(function(i) 199.90*f(i)-14000,c(0.005,0.01))

> (1+res$root)^12-1

[1] 0.08613283

Il tasso TAEG che viene a me è 8,613%, è un filo diverso dall'8,59% dell'annuncio ma, primo, ci può stare, sono due centesimi di punto percentuale, bricioline. Secondo, aumentando l'accuratezza del calcolo mi viene 0.085998, che somiglia tanto tanto all'8.59% he dicono loro. Il TAEG è a posto.

E il TAN? Mi metto a calcolare quella che sarebbe stata la rata se avessero usato il TAN dell'8,27%.  Farlo è semplice, è uno dei mattoncini di base del calcolo della finanza. (se siete allergici, saltate al prossimo paragrafo!) Si calcola il tasso mensile corrispondente all'8,27, poi l'"a figurato 96 al tasso mensile" e, infine, si ottiene la rata dividendo 14.000 per l'"a figurato" appena calcolato. 

Bene, la rata "giusta all'8,27" viene fuori 197.7154, in cui ho lasciato tutti i decimali per farvela vedere bene bene (se non siete maniaci delle cifre decimali, diciamo che è 197 euro e 72 centesimi). A poco a poco mi spunta un sorriso (o è un ghigno?) in faccia. Se il tasso vero fosse il TAN dovrei pagare 197.72. ma findomestic mi chiede 199,90, si prendono più di due euro a rata per ognuno dei 96 mesi (per la precisione 2,18 al mese). 

La cosa curiosa è che non lo dichiarano come "costo" propriamente detto,  e infatti non lo citano nella tabella dei costi. Non è un costo (?) eppure ve lo mettono in conto come se fosse un non so che di etereo: il 197,72 si libra fino a 199,90, come un refolo, quasi sollevato dal destino cosmico dei bioritmi galattici. Pare quasi un arrotondamento, ma non si tratta di frazioni di centesimi, che contano poco, ma di 2 euro e rotti moltiplicati per 96 rate, sono quasi 210 euro. Ora, non dico che sia un furto... ma è pur sempre più di un caffè al mese per 8 anni. 

In fondo quello che scrive findomestic è corretto: se paghi il 199,90, non ci sono ulteriori spese (giusto!); il TAEG, che è ciò che conta, è 8,59% (giusto!); il contratto è chiaro e scritto bene (giusto pure questo e non scontato!) E proprio per questo mi chiedo ancora perché mai allora dicono che il TAN è 8,27? Non avrebbero potuto scrivere che TAN e TAEG per una volta erano identici a 8,59% proprio perché non ci sono spese di alcun genere (col 199,90)? Forse sì, ma uno dei modi per capire i conti e il contratto è che loro sono veramente partiti dall'8,27% e sapevano che erano dovuti 197.72 al mese. Però, si saranno forse detti, fa più bello se scrivo "zero spese" e mi basta ritoccare un poco la rata fino a farla diventare tonda, scrivendo un 199,90 che  a tutti noi ricorda 200, cosa vuoi che sia? Forse, ciò che ci resta in mente è che posso avere 14.000 euro pagando rate da 200 euro per 8 anni, il resto della semantica quasi evapora o, meglio, resta impigliato in un TAN basso e in un TAEG più alto che segnala che qualche spesa c'è, anche se non c'è. Invece, i centesimi contano specie se diventano 2 euro e 18 al mese!