Tuesday, June 21, 2022

Catania

Sono a Catania e questo torna ad essere un blog di viaggio e non solo perché sono a 1308 km da casa, come dice il fido google maps, ma perché vivo giorni di movimenti cerebrali vari, forse enfatizzati dal peculiare stato d'animo che il distacco itinerante dalla "normalità'' mi procura. Avrei voluto scrivere un pezzo su Ryanair e la sua fenomenologia, su come i capi della compagnia, trattano noi clienti e i loro dipendenti, o su come noi e loro ci facciamo trattare o su come resistiamo tetragoni e ci caviamo soddisfazioni rivoltando la frittata.

Ma poi sono stato ripreso da Catania, città secca, con la sua durezza, e meno amata dell'opulenta ed esagerata Palermo. Dico ripreso perché, hard-disk alla mano, mi rendo conto che sono stato qui a un AMASES "solo'' 6 anni fa. Correva il 2016 e io e Alessandro raccontavamo, con delle slides bellissime, una ve la mostro sotto, una storia di realismo che provava a smontare le pretese intellettualoidi e razionaliste di certa economia. Ci abbiamo anche stampato un paper, se volete lo potete pure leggere. Sei anni non sono nemmeno un'era geologica, eppure era un tempo mitico, prima che accadessero tante cose, personali, accademiche, esistenziali. Non pensate di cavarvela: dov'eravate 6 anni fa? Che cosa pensavate? O, meglio, chi eravate nel 2016, prima di una lista in cui potete mettere quel che vi pare ma che include una pandemia, una guerra, una promozione, solenni incazzature, manciate di neuroni che se vanno in baby-pensione senza consenso, piccoli e grandi successi, anche qualche vendemia di saggezza e capacità di fare uso di quella cosa strana che è l'esperienza, che arriva quasi sempre quasi fuori tempo massimo? (e vai col resto, fratture, insuline, gamme-convergenze e chi più ne ha più ne metta).


A poco a poco, il mio cervello si è messo ad accostare tessere, corso Italia non era una strada qualsiasi di qualche città del Sud ma riprendeva vita, Via Ventimiglia è tornata ad essere quella strada tanto importante quanto lunatica e indomabile, dove in pochi passi vedi lo squallore di un centro urbano devastato e i galloni dei palazzi e delle boutique. Mi sono ri-orientato, traguardando corso Sicilia e piazza Stesicoro e cronometrando il tempo che mi servirà per arrivare in università domani. In un calore gagliardo ma meno soffocante che da noi, ho visto di tutto: barboni, tanti, un po' in carne ed ossa un po' intuiti vedendo i pacchi di stracci e i materassi sudici dove dormiranno, coi portici che li ripareranno dall'umidità del porto che sta a un kilometro di distanza; ho visto mucchi d'immondizia, tanti, in troppi angoli di strada, a fianco delle bouganville, a pochi metri da dove, poi, la strada si faceva quasi chic e vagamente milanese; puzzavano pure quei mucchi, non è una gran idea lasciar macerare tutta sta roba a 35 gradi sotto il sole, obbligando i pedoni a zigzagare per schivare le zaffate peggiori nei punti veramente ostruiti.

Buogaville, scoasse a volontà e materasso perché non manchi nulla.

Ci sono le missionarie della carità di  Madre Teresa di Calcutta e in qualche tratto la cità pare proprio averne bisogno

Catania è una citta che mi piace, nera come la pece, scabra come le sue pietre e i suoi molti immigrati, oscura e diametrale per un polentone in libera uscita. Ho visto aprirsi sotto il livello di calpestio le solite rovine latine, e mi sono sentito a casa, nel modo strano un cui può esserlo un padano in Sicilia guardando un anfiteatro romano (ma se è per quello mi sento anche magno-greco e longobardo, c'è poco da fare).

Sono stato a mangiare alla Trattoria del Cavaliere in via Paternò, sotto un metafisico gazebo quasi sicuramente abusivo col suo telaio di travi di ferro enormi, all'ombra dell'ultimo sole della sera del solstizio. Ho mangiato bene, farfalle al salmone, fettina di cavallo (abbondante, morbida e sugosa nella cottura leggera), 1 litro di Ferrarelle, vino della casa, un ottimo espresso che ancora adesso vivifica i miei polpastrelli sulla tastiera. Ho speso 19,5 euro, quando le mie stime ronzavano sui 28. Di solito ci prendo abbastanza ma nel profondo sud anche i prezzi hanno le loro dinamiche.



Mi restano negli occhi la sposa che usciva da San Biagio in Sant'Agata alla Fornace, truccata e all'apparenza di giovanezza lancinante. E il palazzo brutalista che chiude Piazza delle Repubblica, uno strano oggetto in un contesto che abbina assurdamente modernità di cemento armato e sfacelo di buchi pieni di rovine grandi come piazze. 


Dimenticavo, come sei anni fa io sto al Camplus D'Aragona, un'oasi di pace in cui condivido con gli studenti una semplicità che mi snebbia. Il palazzo, appunto in Via Monsignor Ventimiglia, è uno di quelli che "tiene su la zona" e galleggia su questo magma urbano e umano. E domani parliamo, a modo nostro, di diversità al Workshop of Economics with Heterogenous Interacting Agents (WEHIA 2022).

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