Insegno "educazione finanziaria", la materia internazionalmente nota come "financial literacy", e spiego ai miei studenti alcune delle cose che si dovrebbero sapere per raggiungere un livello decente di consapevolezza nella gestione di investimenti, finanze e risparmi. Lo faccio in un corso, intitolato appunto Financial Literacy, destinato agli "altri", cioè ai non addetti ai lavori iscritti ai programmi triennali di scienze, lingue, filosofia e lettere. Notate che non ci sono gli economisti, presupponendo che chi acquisisce una laurea in management o economia sappia quel che c'è da sapere e gestisca con qualche professionalità risparmi, finanziamenti e tutto il resto. Questa cosa secondo me è tutta da dimostrare ma non mi vorrei occupare di questo.
La financial literacy è un puzzle composto da tante tessere che nella testa di tanti sembrano forse frammenti privi di senso e che è impossiblie mettere al posto giusto: rischio, rendimento, gadagno, interesse, tasso, norme e cavilli, costi e percentuali, questionari e MiFID, banche, bancari e banchieri... roba da far girare la testa anche a chi queste cose le mastica.
Ma negli ultimi giorni mi sono reso conto che non basta sapere le cose, quelle nozioni che provo a raccontare in classe, perché non c'è cognizione che valga senza la capacità di azione concreta. A che giova sapere (forse) quel che fai e quel che si deve fare se non è possibile farlo sul serio? Ora, non sto invocando il primato della pratica sulla teoria e potete pensare che sono contorto. Magari è proprio così ma ho sbattuto ripetutamente il muso contro le difficoltà operative in cui si sguazza nel mondo reale. Tre esempi di vita vissuta nell'ultima settimana chiariranno forse il concetto (distorco nomi e circostanze quel minimo che basta per intorbidre il riconoscimento di alcuni che si potrebbero offendere ma, se capitasse, sono comunque cavoli loro!)
Vado in un ufficio postale per vendere un ETF della zia Maria, cui do qualche consiglio di tanto in tanto. La dipendente delle poste che ci assiste, la consulente, si chiama Anita, giovane, sempre pacata e professionale anche quando forse intuisce un filo di insofferenza che trattengo con quanta forza e disciplina ho in corpo. Ci mette 45 minuti cronometrati per farmi un estratto conto dei titoli della zia, la miscela mefitica di computer e programmi delle poste è micidiale: la rete non prende, ma è un classico; "stamattina non si riesce...", come quasi tutti i giorni; bisogna digitare il codice conto, recuperare il numero del rapporto titoli agganciato al conto, notare che per motivi ignoti alcuni fondi si trovano su un libretto smart (mica tanto!), mettere insieme tutte le informazioni, accorgersi che la MiFID è scaduta, "posso fare una fotocopia del documento e del codice fiscale?" (ce ne avranno minimo 30!) e vai col liscio perché poi, se ci pensate lo indovinate anche voi, la stampante non stampa, la carta è finita, tre telefonate... Quando arriva l'estratto conto, è di semplicita estrema, una videata di quel che c’è sullo schermo in cui si intravedono solo i nomi dei titoli senza le quantità, i codice identificativi, controvalore. Francamente, va bene per incartare il panino ma ce l'abbiamo fatta! Per festeggiare, divago un attimo, e chiedo se sia possibile ricevere degli SMS quando si fanno dei movimenti in conto. È la fine! Non c'è altro modo (pare) che installare l'app BP ed è una rumba di App Store, Android, codici, attivazione, codice di controllo SMS, "inventi una password di 6 caratteri, quella che vuole, tanto la può cambiare", strucca, gratta, installa, entra, esci, verifica ma alla fine è fatta pure questa! Allora si possono avere questi SMS? No, non si può perché la voce del menù nella app e grigia, non si può selezionare e non si sa perché. Con aplomb che ha del notevole, Anita dice "Strano, sul mio funziona..." Questa è una frase celebre e ormai ho centinaia di esempi di gente (me incluso) che sa fare una cosa sul loro computer o telefono, col loro software, nel loro modo e chissà perché se cambi qualcosa non funziona mai una mazza! Anche gli studenti, è un classico, quando non sanno fare un eserizio: "ma a me e casa veniva sempre". Sarà!
Va bene, è stato un bell'intermezzo, adesso possiamo vendere questo ETF? No, non si può perché, visto che ci abbiamo messo un'ora e 20 minuti, è tardi: ci sono altri clienti e dobbiamo fissare un altro appuntamento a distanza di una settimana (eh già, Anita fa la consulente in diversi uffici ed è in quello della zia si reca sì e no un giorno ogni tanto).
La settimana dopo è oggi, abbiamo appuntamento alle 13.00, attendiamo pazienti sotto il sole fuori dall'ufficio fino alle 13.40 quando esce il cliente precedente con cui si era fatto tardi. Iniziamo (dopo le sacrosante fotocopie di CI e CF, così siamo a 32 versioni archiviate solo in quest'ufficio), recuperiamo il titolo, click su "vendi", ma non si può perché serve obbligatoriamente fare una consulenza formale, una pratica in cui io fingo di chiedere di vendere e loro fingono di darmi informazioni. Questo documento deve rimanere agli atti, serve per la MiFID, è il protocollo per evitare (?) contestazioni e provare che l'intermediario si è comportato correttamente. La consulenza non la leggiamo nemmeno e dopo che l'abbiamo ottenuta pestando sui tasti, abbiamo 2-3 pagine in più, firma e via. Il modulo e la piattaforma per la vendita sono imbarazzanti, Anita me li mostra e non è possibile vedere il book (il che, senza che io entri in questioni tecniche, significa che in realtà non si sa a che prezzo si vende). Controllo se il prezzo "di riferimento" che compare sul video di Anita sia vicino a quello che vedo sul sito della mia banca (ma come fa uno che non ha un home-banking alternativo di supporto?), imbraccio tutto il coraggio che ho e le dico "vendi!". Clicca, altro modulo, "vendi!", confermo? Sì, avanti, schermata di controllo "sei sicuro?", vendi... servono altri due conferme dopo che il sistema mi ha avvisato minaccioso che è un ordine al meglio. Sono sfatto ma almeno ho venduto. E visto che abbiamo fatto 100, facciamo 101? Chiedo se posso comprare un altro ETF al posto di quello appena venduto... è tardi, l'ufficio è già chiuso, forse Anita non ha mangiato anche se non è colpa né mia né sua se tutto è farraginoso e pachidermico. Ci prova, ma serve un'altra consulenza. La prepara con la solita trafila di tasti, schermate, numeri, codici e quando è pronta appare un avviso bloccante (alert): non si può fare una seconda consulenza perché la prima blocca l'operativita per 5 giorni. Le chiedo solo "ma che senso ha?". Mi risponde che "in effetti, non ne ha molto" e ci arrendiamo. Convenevoli e titoli di coda dopo aver fissato un altro appuntamento (e tre!) per il 13 dicembre.
Mi avvio alle conclusioni e provo a esprimere qualche considerazione. In fondo in fondo che cosa volevo fare? Vendere un fondo d’investimento e comprarne un altro. Gli ETF sono prodotti efficienti e poco costosi, presenti sul mercato italiano da decenni. Il Sole 24 Ore, che non sarà la bibbia ma è pur sempre una fonte civile, ne parla bene da anni e li suggerisce ai risparmiatori come ottima alternativa ai più costosi fondi delle banche. Eppure, per provare a comprarli agli sportelli degli istituti o delle poste, bisogna sfiorare l’ascetismo e vincere le difficoltà amministrative e pratiche di un’operazione “disallineata” con quanto si fa di solito. Aggiungeteci che molte reti di vendita hanno assorbito l’idea che gli ETF rendono poco all’intermediario (spesso le banche incassano commissioni pari allo 0.1% o meno, mentre se vi vendono prodotti “della casa” ci possono fare 1, 2, 3% o anche di più; in pratica, scaricano sul clienti costi 10 o 20 volte più alti...) Spesso il personale non è formato, ha imparato nei corsi interni a vendere solo le “sue” cose e pensa, qualche volta in buona fede, che questi ETF siano demoniaci, non sa come si trattano sul mercato, non vi sa dire i costi di transazione, non sa quanto costa detenerli in un normale deposito titoli. Se mettete insieme tutte queste “resistenze”, il risultato è che serve una fatica boia per costruire un portafoglio di ETF (ci sono eccezioni ma non ne parlo qui), devi passare ore in banca, provare a capire se ci si può arrangiare da soli su internet (che qualche inquietudine te la genera sempre), vincere la diffidenza dello sportellista che per ignoranza o dolo o una miscela delle due cerca sempre di rifilarti prodotti diversi e, guarda caso, quasi sempre più vantaggiosi per la banca e meno per te.
Prendete il mio caso con Anita: è una professionista sveglia, molto più preparata della media, ci mette buona volontà e sta sul pezzo. Ma, vuoi perché il sistema informativo è disarmante, vuoi perché non fa spesso cose del genere o altro, ci abbiamo messo 3 giorni per vendere un fondo obbligazionario (pardon, ETF!) EU e comprare la stessa somma di un fondo obbligazionario (ehm, ETF) EU indicizzato all’inflazione. Stavo semplicemente cercando di proteggere la zia, passando a obbligazioni governative che la proteggano dall’inflazione che sta rialzando la testa, mantenendo sempre un basso profilo di rischio. In realtà nemmeno so se ci sono voluti tre giorni visto che questo lo vedremo il 13 e magari mi servono altri passaggi e ore e ore di tempo perso.
La prima conclusione che traggo è che ci vuole cattiveria da parte del risparmiatore e non c’è modo di fare le cose giuste se non non sei preparato ma, ancor di più, se non sei determinato a insistere e ringhiare che sono soldi tuoi e che li vuoi gestire bene, investendoli in prodotti efficienti e a basso costo, anche a costo di vincere l’assurda resistenza passiva o attiva del postale o bancario di turno che, sia detto per inciso, dovrebbe fare i vostri interessi e non quelli dell’istituto per cui lavora (o, almeno, ‘na onta e ‘na ponta, in una qualche via di mezzo).
La seconda riflessione è sui miei studenti, quei giovani inesperti che si affacciano alla finanza spicciola, cui mostro che gli ETF sono molto meglio (in genere) dei fondi convenzionali. Ho pensato che devo utilizzare molto più tempo a convincerli che vale la pena insistere, che devono diventare dei marines per sfuggire alla trappole delle reti di vendita, agli agguati dei consulenti pro domo sua, che dicono che “mah, non so, non si può fare...”, che devono resistere alle lentezze del sistema informatico e prepararsi a 3 appuntamenti e 6-8 ore di lavoro perse pur di riuscire a completare un’operazione semplice, sensata e conveniente. Qui non c’entra quasi niente la financial literacy, è questione di psicologia, determinazione, abilità nel convincere le persone e spingere il consulente a fare per te quello che dovrebbe consigliarti già da solo (ma non lo fa perché la banca ci guadagna troppo poco). Duri i banchi!
PS. Nel corpo del post avevo detto “tre esempi” ma ve ne ho fatto solo uno. Mi sono fermato per evitare che il post tracimasse Gli altri si riferivano a continue chiamate degli operatori che t’invitano a spostare i tuoi investimenti da qui a là e alla proposta fatta a una signora ottantenne di comprare prodotti con rischio 6 su una scala che va da 1 a 7. Ve li dico a voce!
PS2. Non è che gli ETF siano il sacro graal, domandate sempre quanto costa comprarli e tenerli, bisogna capirci qualcosa e qualche volta anche io, per quieto vivere, mi sono comprato fondi della casa. Ma non è sua mamma che non sia possibile migliorare questo stato di cose con maggiore conoscenza della teoria e della pratica.