Saturday, September 14, 2024

Team and steam, l'arte e la scienza di far girare la squadra

Metto il limitatore a 75 km/h. Non che ce ne sia bisogno, la mia 500 non è una Abarth, ma vado soffuso e morbido, senza toccare il cambio o premere il pedale lungo i rettilinei di campagna che da S. Gaetano mi riportano a Riese, strade dritte figlie delle figlie della centuriazione romana che inducono alla riflessione. Mi godo la lieve vibrazione dell'abitacolo, l'immobilità, la tenue stanchezza e ripenso alla giornata di team building del Dipartimento, 8 ore coi colleghi e con i formatori. Quando è stata l'ultima volta che hai fatto una cosa per la prima volta?


Siamo ospiti di Infinite Area, nel cuore dell'area produttiva di Montebelluna, chi la conosce sa di cosa parlo, una selva di capannoni industrie calzaturifici laboratori teste e mani per fare e inondare il mondo di prodotti servizi idee ad alto valore aggiunto. È una delle tante piccole Silicon Valley del NordEst de noantri, io sono nato a una decina di kilomentri da qui e S Gaetano è uno dei paesi lungo la strade per il Montello, il paradiso dei ciclisti, quelli che sudano su dei catorci e anche quelli che hanno mezzi da 20000 euro (sudano, a volte, a anche quelli). Prato curatissimo, due hostess disciplinano l'ingresso, open space con tanto di carlinga di aereo riadattata per ispirare chi prova a sintonizzarsi su soft skills, leadership, organizzazione, capacità di gestire gruppi, casini, filiere, crisi internazionale senza farsi massacrare dalle strozzature logistiche, è il posto dove quadri, imprenditori e pure metalmezzadri di lusso si formano in mezzo a giornate di 18 ore di lavoro, "sapere è potere" anche se da noi resta valido il più semplice "testa bassa e baretta fraccata". Ci sono uffici, stanze per riunioni di dimensione varie, una wireless guest che uso dalle 11.00 alle 11.30 per parlare con Susi. 



Conosciamo i formatori di Otherwise (@otherwisetwitt), a me tocca quasi sempre Manuela, sulla quarantacinquina, castana a ricci lunghi e voce giusta, potente senza essere invasiva, e presenza fisica appropriata. sotto la sua guida finisco per fare molte cose con Sara, Silvia, Koray, Giacomo, Alex, Carla, Enrica, Kai, Sonia, Nicole, Davide, Martina (grazie ragazzi! E mi scuserete se ho dimenticato qualcuno fra vegani, judoka, poliglotti, ex tennisti e ex left-fielders... e chi più ne ha più ne metta).

Ci insegnano ad ascoltare, che è diverso da udire; capisco, in vari modi, che è faticoso, che la gente ti dice le cose ma serve cura, intuizione, umiltà per sentire che cosa hanno tentato di trasmettere, ci sono dei momenti in cui sono esausto. E ce ne sono altri in cui ammiro la forza, l'intensità, gli sguardi penetranti, e anche quelli smarriti, dei miei compagni di viaggio. Mi godo la presenza discreta di Manu, che suggerisce vie d'uscita senza mai darci la pappa pronta, tiene i tempi, "avete pensato che...?" e interviene quando i singoli o il gruppo sfarfallano.

Mi butto e non mi faccio mancare nulla, con un filo di attenzione per non strafare, siamo in tanti e un mosaico esce solo se tutte le tessere vanno a posto, non ci sono solo io. Provo a mimare il proverbio "curiosity kills the cat" (yes, mimare!) e ritengo di essere stato bravo almeno a fare il gatto morto stramazzato. ok, curiosity è un’altra storia e alla fine Nicole se ne esce con uno strepitoso "if you eat you can also work". È una bella metafora di come lavoriamo in ateneo, dove non siamo in 8 ma in centinaia: uno vorrebbe qc, prova a uccidere il gatto ma è troppo curioso (!?), gli altri capiscono "chi non lavora non fa l'amore", bella consecutio! Sorrido a denti stretti, sarà una metafora ma succede a settimane alterne nelle riunioni con colleghi, funzionari, prorettrici e rettrice. imparo che "c'è sempre un altro modo di vedere le cose", spero di ricordarmene la prossima volta, spero di essere lucido e di ripetere, a mo' di mantra, che ci deve essere un altro modo.

Ho due osservazioni "importanti": la prima è che abbiamo giocato 8 ore, è raro poterselo permettere fra adulti. Ma è quello che facevamo all'ACR (Azione Cattolica dei Ragazzi, miscredenti che non siete altro!), gioco, testa, riflessioni, gioco, pensieri, analisi che adesso chiamano debriefing... Sono certo che tutti i gruppi scout facevano lo stesso, t'insegnano, ci insegniamo come si sta insieme, come si porta rispetto, come ci si relaziona. adesso ci sono le soft skills, il design thinking, la mindfulness. bene. ma una parte di me dice "ridatemi l'ACR", non c'è nulla di nuovo (che forse, sotto il sole, non è un'enorme novità). Grazie Pia per avere osservato anni fa che le più prestigiose business school e i guri dell'aziendalismo hanno copiato il modello senza nemmeno citare i crediti. Mi sono divertito tanto, in un curioso stato in cui la fisicità di certe attività si combinava bene con la parte cognitiva, a formare un flow che aveva molto senso.

La seconda cosa è che si intravedono dettagli interessanti sulle persone che sono sempre e restano spesso bestie rare: alcuni erano simpaticamente cazzoni prima e restano tali anche dopo: sono quelli che s'imboscano, stanno sulla difensiva, si autosabotano e non partecipano con vago sentore di sussiego; altri sono delle rivelazioni, sprizzano forza mentale (e anche fisica), sono parte della soluzione e mai del problema; poi c'è una riga di sfumature intermedie, c'è chi ha paura di tutto (spesso, ma non sempre, è un collega del PTA) e chi ha bisogno di una solida base teorica per tagliare coi denti un pezzo di scotch (spesso, ma non sempre, è un collega docente). il mondo è bello perché è vario, le mie posterior sulle persone sono diverse dalle prior, in qualche caso ho aggiunto sfumature struggenti, in generale sto meglio con molti colleghi e in qualche caso si sono messi sull'impervia strada di essere inclusi fra i miei eroi. 


Nel pomeriggio, in sostanza, facciamo solo una macchina di Goldberg. Da wikipedia: un meccanismo progettato in maniera deliberatamente complessa per eseguire operazioni semplici o trascurabili.

Potrei discutere il "deliberatamente" e l'apparente assurdità di fare cose trascurabili e per giunta perdendo tempo. La macchina è un gioco e, credo, non si direbbe mai che la scopa è un modo deliberatamente complesso di disporre 40 carte su un tavolo (cosa alquanto trascurabile). Il gioco è una cosa seria! Nel nostro contesto, la macchina è un potente mezzo per creare un team in grado di fare cose che all'inizio sembrano solo divertenti, poi virano sull'impossibile, infine te le rendono ancora più difficili, un viaggio nell'onirico che sfida la gravità per fare cadere da un trespolo una palla con cannucce, legnetti, spago, palline, pezzi di domino, carabattole e cianfrusaglie varie. Nella prima fase, quella ludica, noi lavoriamo mezz'ora per mettere in opera una carrucola (specie io, Giacomo e Marianna), ci pareva una figata estetica; poi abbandoniamo per le troppe difficoltà (attriti, il filo si impiglia, il sostegno traballa nonostante generose scocciate di nastro da pacchi...) 


Eppure, più tardi, si sprigiona una magia quando ci dicono l'obbiettivo vero e ci rendiamo conto che se le palline vanno giù per gravità, per fare cadere la palla grande dal tavolo, o con le buone o con le cattive, dobbiamo elevarci. E la sporca maledetta mezz'ora (o era un'ora?) di maldestri tentativi a vuoto a questo punto resuscita perché quel tempo perso ha posto le basi per carrucolare un cestino in cui entra una biglia pesante, in modo che si tira un filo che fa cadere un sostegno che tiene in bilico la tovaglia che scivola a terra e fa cadere la palla (ce la potete fare, rileggete tutto d'un fiato!) Facciamo pure una prova generate e l'accrocchio sembra funzionare. Rimettiamo a posto tutto, ci sono sempre margini di rischio, manco fosse la partenza dello shuttle da Cape Canaveral, dato che tutto sta in piedi per misericordia e bisogna respirare lenti per evitare che lo spostamento d'aria inneschi il meccanismo.

Il primo gruppo ce la fa: bel numero e la palla grande cade; il secondo gruppo ha costruito una cosa di grande effetto coreografico, in cui tre palline convergono nel tentativo di ribaltare un cilindro di legno che poi dovrebbe fare il suo lavoro. ma le cose non girano come previsto e c'è un momento di delusione e smarrimento... fino a quando Federica molla un calcione al cilindro! L'episodio è di gran finezza e mi ricorda la meravigliosa scena del matrimonio di Vassilissa in "Mediteraneo" di Salvatores: il brindisi celebrativo deve finire col bicchiere rotto dopo che gli sposi hanno sorbito il liquore labbra su labbra, ma qualcosa va storto e il bicchiere rimbalza per terra e non si rompe. L'intervento del capitano Lorusso-Abatantuono distrugge il cattivo presagio, calpestando e mandando in frantumi il bicchierino. Ecco, penso che dove non arriva la macchina è molto benvenuto un calcio ben assestato di Federica Lorusso in Abatantuono. Sono pure tentato di pensare che qualche volta un calcio ai maroni di qualche collega farebbe miracoli... ma mi trattengo! Alla fine ci siamo noi, terzo gruppo, non manca la suspense ma vien giù tutto, carrucola, sostegno, tovaglia e soprattutto palla! Alzo il pugno come Sinner agli Open degli USA, a ognuno le sue soddisfazioni, no?

È stato bello! Decine di colleghi a mettere in fila biglie e traiettorie di pensieri, a conoscersi, a ribadire che per ascoltare bisogna esserci sul serio, senza cadere preda di quella frenesia di minuzie in multi-tasking che ci rendono sordi, ciechi e alieni. E a dir il vero mi sono gustato la disconnessione da internet, email e boiate varie, ero in silenzio-internet e direbbero i REM it's (not) the end of the world as we know it and I feel fine! https://www.youtube.com/watch?v=Z0GFRcFm-aY


ps1. Disconnesione internet completa? No... Tre tweet celebrativi-istituzionali non sono riuscito ad evitarli... Una bella cosa di cui non ho parlato nel post è at https://x.com/paolopellizzari/status/1834553469081911427

ps2. Grazie Sonia e grazie Marco, corre voce che quanto ci avete dato dentro voi per organizzare l’evento non lo sa nessuno!

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