sono esattamente le 10 di sera del 30 settembre, chiudo la copertina rilegata del libro, spostando l'aria e facendo uno "stonf" sordo e caratteristico. mi faccio il segno della croce, non capisco nemmeno perché ma il gesto sorpende (e quasi spaventa) persino me stesso, mi metto a pensarci e credo che sia un modo per esorcizzare la violenza inaudita della storia (e questa parola vuol dire sia "racconto, romanzo" che "resoconto, cronaca" di quanto è accaduto in un luogo e in un tempo precisi, con tanto di documenti e riscontri). è anche un modo per pregare Dio di darmi la fortuna che serve per stare lontano da certe nefandezze e, anzi, per darmi la forza sovrumana e lucida di combattere senza tregua pensieri, azioni e strutture che generano simili mostruosità. padre, la mano scende in verticale, figlio, si sposta su e a sinistra e poi a destra, spirito santo e amen e, in quel moto orizzontale, capisco che sto pregando per le vittime, per i milioni, per chi è morto e per chi è rimasto. ma non so nemmeno se è per loro o per me, se auguro a loro o a me di capire o solo di trovare una flebile lama di qualche luce in questo desolato deserto popolato di destini, affetti spezzati, dolore insensato e morte.
esattamente quindici giorni fa ero ad Auschwitz e spero di chiuderla qui, fatico ad ammettere che la visita e le letture che mi ero proposto di fare, prima e poi, mi hanno riempito fin troppo l'anima. ho finito di leggere "La zona d'interesse" di Martin Amis che, insieme a "Gli scomparsi" di Daniel Mendelsohn, mi hanno accompagnato in questo periodo (più lontani nel tempo, ma sempre a tiro di ricordo, anche "Se questo è un uomo", di cui parlo qui, "La tregua" e chissà che altro). "La zona d'interesse" e, specialmente, "Gli scomparsi" sono libri di gran livello, sono onorato di avere letto questo romanzo dal realismo assassino e un diario di viaggio, saggio storico, riflessione sulla genesi del mondo e affresco di famiglia. veramente, se quancluno può essere fiero di quello che scrive, io adesso sono fiero e felice per quel che ho letto. ho anche visto ma facciamo un passo alla volta.
una cosa impressionante di quel blob mostrouso che è Auschwitz, capace di espandersi e acquisire significati morali, storici, geografici, religiosi, politici, organizzativi, è che è difficile parlarne, l'ho già accennato nei due post precedenti. forse suono Wittengsteiniano, ma senza il linguaggio che media fra reale e umano non si riesce a concepire, non si riesce - appunto - a profferire, non resta che piangere per mancanza di opzioni descrittive, operative, cognitive. non sono nemmeno sicuro che si possa pensare se non hai le parole. all'opposto, conosco bene l'ebbrezza che è donata dal poter usare (giri di) parole diverse per lo stesso ente e di quanto questo liberi associazioni e scateni salti mentali brillanti. ad Auschwitz no, ti è vietato da una forma di mutismo attanagliante che dev'essere figlia dello sgomento.
questa assenza di linguaggio mi ha "perseguitato" fin dall'inizio e non è solo che è difficile trovare parole normali per avvicinarsi a un abisso di aberrazione in cui la normalità è astrusa, rovesciata ed astratta. ci sono stati anche dei segnali, che riletti col senno di poi, sono curiosi e quasi premonitori:
- il libro di Amis l'ho letto su carta e ho fatto fatica fisica a vederlo, a metterlo a fuoco, per colpa di una vista che ormai soffre se i caratteri non sono corpo 12 e inchiostrati di un bel nero deciso. ho avuto bisogno di tempo, della luce giusta, riuscivo a progredire di poche pagine al giorno, dovevo accendere la pila del telefono per leggere le parti, spesso citazioni, in cui il font era più piccolo. mi direte che è solo l'età ma, ora che ci penso, è una metafora bellissima: quello che è successo è faticoso, serve tempo per ritenere, non c'è nessuna luce che emana da questo luogo, piccoli passi e forse qualche pila illuminano appena qualche dettaglio...
- il libro è pieno di parole in tedesco, ci mancava solo questo per renderlo a volte irritante e obbligare a pause per cercare vocaboli e frasi teutoniche su google translate. eppure, nuovamente, questa sensazione di fastidio linguistico mi sembra rivelatrice: avevo iniziato a leggere il libro in inglese, di solito ce la faccio e ho terminato molti testi in lingua originale. stavoltà però ho dovuto abbandonare il tentativo per passare alle versione Einaudi presa in prestito alla biblioteca di Altivole perché c'erano troppe parole auliche, troppi aggettivi in un inglese così sofisticato da obbligarmi a cercarne il significato. mi sono arreso... solo per trovarmi bombardato di un tedesco incomprensibile, volgare, suggestivo e a tratti spaventoso (lo sapevate che "ubbidienza" si dice "Kadavergehorsam"? come quella dei cadaveri, uccisi nel KL ma anche rappresentazione degli aguzzini morti dentro). potrei fare altri esempi ma ricordo bene alcuni passaggi di Levi che definisce "barbarici latrati", non detti da uomo ma urlati da cani, gli ordini sbraitati (sempre!) dalle guardie e aggiunge che comunque "Nessuno può vantarsi di comprendere i tedeschi". e il tedesco!
- anche quando le parole si capiscono è "per modo di dire" e il libro trabocca di fulgidi esempi di truffe linguistiche che ho trovato istruttive. tanto le parole sono utili per capire, pensare e consentire alla mente di librarsi, così possono essere bestiali, traditrici e odiose perché da un lato normalizzano e predispongono all'accettazione dell'indicibile e dall'altro entrano in una palude di significati in cui si può solo affondare. due esempi:
Il carico di 150 donne è arrivato in buone condizioni. Non siamo tuttavia riusciti a ottenere risultati decisivi perché sono morte tutte durante gli esperimenti. Le chiediamo cortesemente di inviarci un altro gruppo della stessa entità e allo stesso prezzo. [pag 86]
Abbattuto mentre cercava la fuga: una formula verbale che copre una grande quantità di destini. Abbattuto mentre cercava la fuga. In alternativa, per dirla in altre parole, fucilato. In alternativa, per dirla in altre parole ancora, preso a calci o a frustate o a manganellate o strozzato o lasciato morire di fame o per congelamento o torturato a morte. Comunque deceduto.
continuo a trovare agghiacciante che queste citazioni somiglino fin troppo a cose che leggo ogni giorno, ad espressioni dei verbali come "dopo ampia discussione..." che possono significare, a seconda dei casi, che non ci abbiamo perso nemmeno 5 secondi o che ci siamo scazzati a morte, a un passo dalle scaregate in testa oppure, ancora, che qualcosa è frutto di un compromesso civile (sì, ma i dettagli meglio di no!)
un terzo esempio lo aggiungo per mostrare, come di contrappunto, che le parole usate bene possono anche dire tanto, qui è il sonderkommando Smulz che parla:
Un tempo avevo un immenso rispetto per gli incubi - per la loro intelligenze e creatività. Adesso penso che gli incubi sono patetici. Sono del tutto incapaci di produrre qualcosa che sia anche solo lontanamente spaventoso quanto quello che faccio da mattina a sera- e hanno smesso di provarci. Adesso sogno soltanto pulizia e cibo.
le parole sono micidiali, armi e unguenti, rose e spine. mi riprometto di usarle con saggezza (e anche di usarle meno, come forse facevo da giovane quando ascoltavo e tacevo più di quanto faccio in questo tempo logorroico). per contrasto, mi viene in mente Salvini e la sua capacità di dire bestialità continuate e aggravate, intrise di odio e razzismo nemmeno tanto repressi e, a me pare un'ulteriore aggravante, pronunciate come se fossero battute da osteria mentre stanno avvelenando i pozzi della convivenza civile. ma forse è un'altra storia.
(riprendo il 5 ottobre, questo post si ferma, scorre e riaffiora come raramente mi è capitato) mi rendo conto che sto parlando di libri più che di un posto, le cose si mescolano e c'è un senso anche in questo. nelle pagine finali, a romanzo finito, Martin Amis dice "più o meno" com'è andata finire e parla di Paul Doll o Rudolf Hoss (decidete voi), il comandante di Auschwitz: è finito impiccato su una forca che si vede ancora forte e chiara, mi ricordo nitidamente di aver inquadrato quei pezzi di legno originali, mi sono fermato, non ho nessuna foto ma ho deciso di fotografare la lapide in polacco, inglese ed ebreo.
The first commandant of Auschwitz, the SS-obersturmbannfuhrere Rodul Hoss, who was tried and sentenced to death after the war by the Polish Supreme National Tribunal, was hanged here on 16 Aprile 1947.
impiccare questa gentaglia purtroppo non basta e credo che serva a poco in sé, non c'è modo di porre rimedio a quello che hanno fatto, non chiude nessuna ferita, se è giustizia (e credo che lo sia) è amara, dolorosa, insensata. dopo che ne ammazzi un po', alla fine di un processo o con missile teleguidato in tempi moderni, altri prendono il loro posto e si ricomincia...
La pagina di wikipedia su Hoss merita di esssere letta, è un concentrato di quello che ho cercato di capire senza capire un bel niente (lo ripeto, questo è un posto in cui molte parole, incluse "capire", "perché" e molte altre si sfaldano in una serie di segni tipografici senza consecutio). questo tizio fu allevato dal padre:
up on strict religious principles and with military discipline, having decided that he would enter the priesthood. Höss grew up with an almost fanatical belief in the central role of duty in a moral life. During his early years, there was a constant emphasis on sin, guilt, and the need to do penance. [source: wikipedia]
ecco un'altra riga di parole eviscerate di ogni significato: senso del dovere, morale, principi religiosi, disciplina, peccato, colpa, penitenza... su wikipedia ci sono diverse citazioni di questo Hoss che a un certo punto, ovviamente dice "ero un ingranaggio nel meccanismo della grande macchina di sterminio creata dal terzo reich". appunto, se smetti di essere un uomo (abdicando ingiuriosamente all'umano destino di essere fatto anche a immagine di Dio) e diventi una rotella, che gira senza senso, che sta al suo posto di rotella cieca e metallica... se smetti di essere uomo e diventi un ingranaggio, è la fine. Se sei una rotella non hai memoria non hai consapevolezza non hai nulla che distingua un uomo da una pietra, non vali nemmeno quanto un cane rabbioso e puoi anche dichiarare che:
I myself never knew the total number, and I have nothing to help me arrive at an estimate.
I can only remember the figures involved in the larger actions, which were repeated to me by Eichmann or his deputies.
From Upper Silesia and the General Gouvernement 250,000
Germany and Theresienstadt 100,000
Holland 95,000
Belgium 20,000
France 110,000
Greece 65,000
Hungary 400,000
Slovakia 90,000 [Total 1,130,000]
I can no longer remember the figures for the smaller actions, but they were insignificant by comparison with the numbers given above. I regard a total of 2.5 million as far too high. Even Auschwitz had limits to its destructive capabilities. [source: wikipedia]
Questo individuo aveva una famiglia (sembra normale, o no?) e ha scritto delle lettere d'addio alla moglie e al figlio maggiore, cito quest'ultima:
Keep your good heart. Become a person who lets himself be guided primarily by warmth and humanity. Learn to think and judge for yourself, responsibly. Don't accept everything without criticism and as absolutely true... The biggest mistake of my life was that I believed everything faithfully which came from the top, and I didn't dare to have the least bit of doubt about the truth of that which was presented to me. ... In all your undertakings, don't just let your mind speak, but listen above all to the voice in your heart.
è un mistero, conserva il tuo buon cuore... detto da uno dei più grandi massacratori della storia dell'uomo. ma finché leggevo e provavo a intessere questa sconclusionata riflessione sul blog ho saputo che hanno fatto un documentario sulla storia di Hoss. occhio che non stratta di "The zone of interest" di Jonathan Glazer (l'ho visto, ci ho capito talmente poco, che se non lo riguardo non ho nemmeno la forza di consigliarvelo), ma di "The Commandant's Shadow" che uscirà a novembre 2024, che parla dell'ottantasettenne Hans Jurgen Hoss, il figlio di Rudolf Hoss. Il trailer è qui.
avrei altre cosa da dire (o, probabilmente, da dirmi) anche sulla visita di quanto resta della fabbrica Enamel di Schindler a Cracovia. sì, è quello di Schindler's list di Spielberg! mi limito a suggerire di andarci, è un bel viaggio nella periferia industriale della città, negli orrori e nella grandezza di quel tempo.
invece mi catapulto a Sydney (wow, in questo blog è una mandrakata!),
E cosí quella domenica andammo a Bondi Beach. Un taxi ci lasciò davanti al complesso edilizio dall’aspetto sfarzoso dove abitava Jack, e salimmo al suo appartamento con l’ascensore. «Guarda» disse Matt con un sogghigno ammiccante, indicando una targa di metallo affissa sulla parete, con inciso il nome della ditta costruttrice: SCHINDLER. «Siamo nello Schindler’s lift, l’ascensore di Schindler!».
Alzai gli occhi al cielo ed esclamai: «Oy vey» [source: Gli scomparsi, Daniel Mendelsohn]
Jack è uno dei pochi sopravvissuti di Bolechow, un villaggio ucraino dove una fiorente comunità ebrea è stata annientata, questa non è una novità visto il tenore degli ultimi tre post. Matt è il fratello di Daniel Mendelsohn, l'autore di un libro meraviglioso sulla ricerca del (pro)zio Shmiel e delle cugine, ripercorrendo gli esili fili lasciati dopo decenni di oblio. dare la caccia a 6 persone su 6 milioni oltre 60 anni dopo i fatti è una cosa da far girare la testa. lo so, vi parlo di questa storia tardi, quando sarete sfatti e stanchi di leggere, ma "Gli scomparsi" è molto meglio (ma molto!) del libro di Amis. non parla di Auschwitz? pace, ci sta... quantunque tutto parli di Auschwitz quando parli di certe cose. in ogni caso, se non eri nella Schindler's list è certamente un buon segno essere a bordo dello Schindler lift, no? quello di Mendelsohn è un romanzo, un diario di viaggio, una preghiera, una cronaca, una riflessione sulla bereishit, la Vayeira e sulle pareshat e su come Dio abbia potuto fare o lasciare che si facesse. è tutto questo e anche un inno all'amore e all'incomprensione che convivono in tutte le famiglie, è una ricerca di sé stessi, dei tuoi riflessi dentro agli altri, è un inno ed è un portento, specie se lo leggi qualche settimana prima di un viaggio a Oświęcim.
riguardo gli appunti sul Tolino, il lettore che mi ha consentito di leggere "Gli scomparsi" in modo a tratti compulsivo mentre ero a Porto S. Margherita, come si fa quando si legge un libro che ti prende e ti porta via. rileggo le note e le frasi che più mi avevano colpito. questa, in particolare, mi fa sorridere per motivi completamente ortogonali al tema di questo post e forse legati anche al mio modo di cercare di capire:
Froma sottolineò: «Lei sbaglia a considerare la complessità un problema e non la soluzione»... ancora adesso [sono] stupefatto dall’enorme energia mentale che le permette di leggere, vedere e assimilare tutto questo, dopo tanti anni è sempre alla spasmodica ricerca di informazioni che possano in qualche modo rispondere a domande profonde: come accadde e, interrogativo destinato a rimanere insoluto, perché.
In ogni modo, è questa la ragione per la quale, anni dopo aver terminato gli studi con lei ed essermi avvalso del suo aiuto per completare la tesi sulla tragedia greca, continuavo a imparare da quella donna, che mi spingeva a vedere il problema stesso come la sua soluzione. [pag. 327 (forse) di "Gli scomparsi]
ritrovare le sottolineature in un libro è esperienza straniante che somiglia molto a incontrare un doppelganger che ridipinge certe immagini mentali in modo che è allo stesso tempo familiare e dissonante. ho letto il libro ma, primo, io dimentico in quantità e velocità enormi, mi dico sempre che faccio spazio per il resto; e, secondo, di mezzo c'è stato un viaggio, è come se avessi versato un reagente chimico su un piano dove avevo accumulato polveri e preparati vari e ne uscissero per reazione composti inaspettati e qualche scoria. è bello riconoscere che, non so come, non so perché né come, quello che ho letto prima ha cambiato quello che ho visto e sperimentato dopo. e provare a scrivere queste note ha rimescolato tutto di nuovo, in una anteroversione in cui il futuro modifica e riplasma presente e passato.
nuovamente, mi fermo qui e uso le parole di Mendelsohn:
Anni fa cominciai la mia lunga ricerca nella speranza di scoprire com’erano morti, volevo una data precisa da segnare su un diagramma... «Cosa accadde a zio Shmiel?»... e io mi riproponevo di trovare prima o poi la risposta: accadde lì, il tal giorno; così ci saremmo recati dove riposava, avremmo messo una pietra sulla sua tomba e avremmo parlato anche con lui, con Shmiel. Ci siamo imbarcati in quest’avventura per scoprire come, dove e quando era morto, lui e la sua famiglia, per lo più senza successo. Ma da questa impresa fallimentare è emerso, quasi per caso, quel che nessuno si aspettava di scoprire, un dato che non può essere trascritto su un diagramma: chi erano, com’erano vissuti. Al ritorno da Copenaghen avevo ormai compreso l’ironia di tale epilogo: alla fine avevamo acquisito molte più informazioni su aspetti che esulavano dalla nostra ricerca rispetto a ciò che ci eravamo proposti di scoprire. D’altra parte, era questo il risultato dei nostri viaggi.
vero, i viaggi sai dove cominciano ma non dove finiscono!
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