Sunday, January 10, 2016

Le più belle letture del 2015

Rumino da qualche giorno sulle migliori cose che ho letto nel 2015 e di colpo vedo che l'anti-Steve, nientepopodimeno che Bill Gates, ha già scritto la sua classifica at gatesnotes, bella! Tuttavia, da consunto Mac evangelist mi dico che non sono figlio della serva (ehm, certo che rispetto a Gates...)  e il mio orgoglio ferito m'impone di mettere giù la lista che, a dir la verità, sognavo articolata in 5 libri e 5 articoli (scientifici).

Ci deve essere qualcosa di segnaletico nel fatto che dei 5 articoli non c'é traccia né in questo post né nella mia testa: articoli zero, nisba, quel che ricordo sono bellissimi spezzoni ma di articoli che ho letto prima del 2015 e che mi sono rimasti incastonati nella testa per chiarezza, lucidità e vision. Dicevo "segnaletico" perché un altro modo di interpretare questa assenza è prendere atto che nell'ultimo anno ho fatto di tutto e forse disfatto anche di più ma ho letto pochissima scienza: sarà colpa dell'elearning, della SIE, della sbornia di didattica... sarà meglio che mi dia una regolata e mi azzardo a dire che m'impegnerò di più e che troverete i 5 articoli nel post futuro "Le più belle letture del 2016". Quindi, stay tuned! [ma m'impaurisco da solo: se leggo tanti articoli da trovarne 5 di belli, quando mai mi resterà più il tempo per i libri?]

Ma bando alle ciance e sotto coi 5 libri (in ordine vagamente temporale):

Meneghello Luigi, "I piccoli maestri", 1964. È semplicemente un gran libro, che mi ha fatto ridere fuori e sorridere dentro, riconciliandomi con quell'indefinibile straniante sensazione di sentirmi veneto senza sapere spiegare che cosa questo significhi in fondo in fondo. Dev'essere perché i bravi scrittori dicono meglio di te stesso quello che tu sei, te lo spiegano adesso anche se hanno scritto decenni fa e parlano della guerra partigiana nel bellunese e sul Grappa. Mi consento di citarne un pezzetto, che ricorda quanto fossero tempi complicati in modi che mi ricordano Gadda e il suo modo di decifrare la complessità di quel che ci circonda:

  Ora si era qua, ora là. Le cose sembravano le stesse, e invece
  cambiavano minuto per minuto. Questa insurrezione non è proprio
  autentica, riflettevo, ma nel suo piccolo nel suo imperfetto,
  riproduce certamente lo schema e l'andamento generale di queste
  cose. Ci sono forze impersonali in gioco, che si spostano come
  vortici in un fiume rapido, e ciascuno vortice sposta gli
  altri. Pare che manchi un centro, e invece se ne formano
  continuamente; chi riesce a tenersi in questi centri controlla tutto
  il resto. Si capiva che cos'è l'arte dei rivoluzionari da
  insurrezione; colpo d'occhio, tenersi in anticipo sulla corrente,
  riconoscere il centro dei vortici in arrivo.
Se siete tough, "che si legge taf",  e volete qualche commento in più potete leggere questo vecchio post. Ma è meglio se leggete Meneghello, va! 


Levi Primo, "Se questo è un uomo", 1958. L'ho letto in vacanza, roba da non credere, e mai avrei creduto che argomenti tanto dolorosi potessero essere raccontati con una chiarezza di spirito che rasenta l'ironia (o almeno questo ho percepito io di fronte a cose incredibili). Forse non c'è altro mezzo per raccontare un delirio di stupidità e odio nazista che usare, in qualche strano modo, una prosa aggraziata e secca, umana e ricca.

Don Lorenzo Milani, "Lettere di Don Lorenzo Milani priore di Barbiana", 1970. Ho preso in mano il volume di mio papà, ottava edizione del 1972, Arnoldo Mondadori Editore, 1200 lire, carta un po' ingiallita. Riposava tranquillo nello scaffale di archivio-riserva, quello dove si raccolgono i libri vecchi ma sempre validi, quelli che non hai cuore di liberartene anche se in mansarda ci si va di rado.

Don Milani è tanto duro quanto lineare, tanto combattivo quanto dolce e potente allo stesso tempo, si firma "tuo affezionatissimo, Lorenzo" dopo aver frustato verbalmente il destinatario (spesso a ragione). In un caso d'insonnia, ho riconquistato sonno (e sorriso) dopo che sono stato preso e portato via da una lettera in cui diceva che ti possono pure mandare in un buco di parrocchia con 90 anime e togliere dal commercio i libri che hai scritto, ma se te la prendi sbagli. Le lettere lasciano la voglia di essere un po' come lui, frizzante e sferzante insieme, ripieno di fede in Dio e negli studenti, con una traccia di genio e sregolatezza.

Ho anche trovato la radice di un concetto che amo e che mi è stato trasmesso dal mio amico e maestro Tony: si tratta di "duty of care". È la descrizione di quello che un docente dovrebbe fare: prendersi cura delle persone che gli sono affidate. Non è uno scherzo, è un dovere e non servono regolamenti e liste estenuanti di cose che non si possono fare. Si può e si deve fare quello che implementa il "duty of care", ad esempio arrivare preparati alle lezioni, fornire incoraggiamento, rispondere alle domande, aizzare le menti più brillanti, light a fire, come direbbe Yeats. E contemporaneamente, lo stesso identico dovere di cura impone, fra molte altre cose, di non insultare gli studenti con parole o atti, di non annegarli nel cinismo e nella disillusione, di non approfittare mai, fisicamente o psicologicamente, della posizione e del prestigio di docente. È semplice e difficile, duty of care, appunto. Ebbene, io pensavo che fosse una bella pensata anglosassone, di quelle che di tanto in tanto gli vengono stupendamente, ma poi ho letto Don Milani, che insegnava fra il 1954 e il 1966, e guardate quel che era appeso sulla porta della sua classe...
Bellissime foto della Scuola di Barbiana si possono vedere  in questa pagina di Alberto Sfoggia.
[Don Milani è molto più di un educatore e non ho che sfiorato la sua grandezza: io l'avevo conosciuto nel miei roaring twenties per le sue prese di posizione contro la guerra e "l'obbedienza non è più una virtù"]

Casati Roberto, "Contro il colonialismo digitale", 2013. Il libro di carta non è da buttare. Anzi, in estrema sintesi, è meglio ricordare che non è né sano né "normale" perdere tempo prezioso in tweet, chat, sms, touch, like, post (!) se questo va a discapito della lettura e della concentrazione, anche e soprattutto a scuola:
Ma la lettura è stata rubata. Dobbiamo ora capire quali conseguenze ci sono per chi legge, e come fare per riconquistarla.
Casati scrive bene, ragiona bene e argomenta anche meglio. Non se la prende con la paccottiglia che ci distrae in continuazione e ci ricorda (specie a me!) di tenere la barra dritta. Se mi perdonate l'auto blog-citazione, qualche altro pensiero sul tema l'ho scritto a Novembre.

Pirsig Robert, "L'arte della manutenzione della motocicletta", 1974. Questo è un volume estroso, mi avevano detto che era un cult, il che a volte è una iattura. Inizio a leggere e non lo mollo più sparandomi giovanilmente le 150 pagine finali in una lunga apnea domenicale. È un libro potente, che trasuda la mistica della Qualità, qualche seguace di Pirsig studia e ancora propone una Metaphysics of Quality (MOQ). È una storia di viaggio, su una moto, ed è anche un viaggio dentro le menti dei protagonisti a caccia di capire il mondo, cosa sono e cosa sono stati. L'enfasi sulla Qualità porta nel testo a sottolineare l'importanza di tenere a quel che si fa, che è un'idea non lontana da alcune espressioni da Don Milani:
E mi venne in mente che non esiste nessun manuale che parli del problema essenziale della manutenzione della motocicletta: tenere a quello che si fa. Questo è considerato di scarsa importanza, o viene dato per scontato. Durante questo viaggio credo che dovremmo pensarci un po' sopra, per vedere se questa strana separazione tra quello che l'uomo fa e quello che l'uomo è non potrebbe aiutarci a capire che cosa diavolo è andato storto in questo ventesimo secolo.
Poco importa se questo "tenerci" si applica ai cilindri della moto o ad altro. E in effetti poi parla anche di Università, con la "U" maiuscola:
La vera Università non ha un'ubicazione specifica. Non ha possedimenti, non paga stipendi e non riceve contributi materiali. La vera Università è una condizione mentale. È quella grande eredità del pensiero razionale che ci è stata tramandata attraverso i secoli e che non esiste in alcun luogo specifico; viene rinnovata attraverso i secoli da un corpo di adepti tradizionalmente insigniti del titolo di professori, ma nemmeno questo titolo fa parte della vera Università. Essa è il corpo della ragione stessa che si perpetua.
Non vi rovino la lettura, che a in certe tirate fra il platonico e l'aristotelico richiede stoicismo e disciplina, ne vale la pena (in finanza, in amore e in letteratura vale il "no pain no gain", no?)

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