Sunday, July 19, 2020

Redentore 2020

Nella terza domenica di luglio in cui lentamente srotoliamo fuori dalla pandemia decidiamo di andare al Redentore, questa festa veneziana di mezza estate celebre per i fuochi che illuminano il bacino di S. Marco. In realtà, la decisione di recarci a Venezia nasce proprio dalla rarefazione di quest'anno: i fuochi sono stati rimandati per evitare assembramenti e il solito assalto turistico all'arma bianca; evidentemente, il flusso di persone dirette in città è ridotto e lascia lo spazio di camminare e respirare in pace, assaporando la citta, in una serata fresca e avvolgente col cielo screziato di nuvole. È quasi strano, ma molto bello, ritrovare una città abitata e non assediata, vivibile senza essere ingestibile e, se può essere possibile, "normale" pur nell'eccitazione vaga di una festa cara ai veneziani come poche altre.


Nel 1576, in piena epidemia di peste, il Senato della Repubblica fa voto alla divinità di erigere una chiesa quando il contagio, che pare abbia falciato un abitante su tre, si sarà affilevolito. Su disegno di Palladio, che è proto, architetto capo della città, si comincia a costruire nel 1577 e il 20 luglio dello stesso anno c'è la solenne processione sul ponte di barche che ancora oggi, a distanza di più di 4 secoli,  consente di superare il canale della Giudecca. Per la prima volta cammino sul ponte, che oscilla e beccheggia quando passano le barche, sono suggestionato dal ripetersi di fatti, come le epidemie, che si sono verificate tante volte, cogliendoci sempre più o meno impreparati. I veneziani, meno di un secolo dopo, eressero nel 1630 S. Maria della Salute per aver liberato la città dalla peste nera, nuovamente come segno di gratitudine. Con le dovute differenze e qualche netta similitudine, siamo ancora qui. Allora, voti e costruzioni di Basilche; oggi, mascherine, soluzione idroalcolica, distanziamento sociale, (forse) Recovery Fund, diversamente e identicamente inermi e sgomenti di fronte alla malattia:
Santissimo Redentore, oggi, ritorniamo con tutto il cuore a Te: Affidiamo a Te i nostri beni spirituali e materiali, le nostre attività che ci consentono di vivere insieme ai nostri familiari con dignità e onestà. Rendici saggi e generosi nell’affrontare le sofferenze di un male insidioso ed invisibile, che oggi le scienze mediche, con le loro sole forze, non riescono ancora a debellare. Illumina le menti e guida la ricerca!   
Sono le parole del Patriarca Moraglia, pronunciate proprio nella chiesa del Redentore lo scorso 8 marzo, il testo completo lo trovate qui: "ritorniamo", "saggi e generosi", "illumina le menti e guida la ricerca", ora come allora in corsi e ricorsi che non t'aspetti. I frati cappuccini accolgono tutti, coda, gel antisettico, si entra a sx, si esce a dx, chiesa piena e allo stesso tempo vuota per i posti lasciati liberi a creare una scacchiera di spazi che distanzia ma non annulla la vicinanza di chi da secoli ringrazia e prega che questa porcheria si sfoghi senza ulteriore danno. Penso allo stridore di stare lontani per evitare il contagio e, allo stesso tempo, alla necessità di essere prossimi gli uni agli altri per fare fronte agli eventi, una corda tesa al punto giusto: insieme, sì, ma bando allo "scambiatevi un segno di pace". Ricordo anche il celebrante che riesce, con voce e gestualità magnetica, a mettersi in contatto anche quando recita formule che in altre circostanze potrebbero suonare abitudinarie e, per dire, ci saluta con la leggera irritualità di un "glorificate Dio e onorate gli uomini con la vostra vita e andate in pace". È bello l'augurio di essere in grado di farsi onore a vantaggio dei propri simili!


Accendiamo una candela e torniamo sulla riva, decidendo di andare verso le Zitelle. Il morale, mio e della gente che ci circonda, è alto, una vaga spensieratezza tiene a distanza i cattivi pensieri, i veneziani si godono quasi col petto in fuori questa festa tutta loro in cui imbandiscono i tavoli, portano lasagne e altro ben di Dio nei contenitori di plastica, si prendono l'umido dolce e tiepido della sera mentre passano le barche musicali con loro carico di patchanka e ska che mi ricordano gli immortali Pitura Freska, il loro sound venessian e i testi italo-dialettali ironici e un po' d'antan.   

Superiamo i Tre Oci e miracolosamente troviamo un tavolino libero in riva di fronte alla Salute. Birrette, tramezzini, un club sandwich diviso in due e caffè. Ci costa 29 euro (che non è poco ma nemmeno un'estorsione...),  siamo in canal, un tedesco direbbe "come Dio in Francia", tramonto sulla laguna, arlecchino di colori e bagno (!?) di folla, veci e giovani, molti in piedi con la birra da mezzo nel bicchiere di plastica, chiacchiere e sorrisi che mi sembrano un antidoto alla tristezza che ci ha impolverato l'anima in questi mesi. Anche l'ostello della gioventù, a due passi, ha organizzato una specie di party nello spazio stretto che separa l'acqua e la facciata quadrettata. Forse non c'è sempre il metro d'ordinanza ma non vedo nemmeno grandi trasgressioni e appiccicamenti.

Ci spingiamo "dentro" la Giudecca, che per me è ignota tal quale la Bessarabia (a proposito, dov'è?), camminiamo fra i condomini, i giardini, i ragazzetti che corrono vicino al centro civico, raggiungiamo la laguna sull'altro lato, di fronte al Lido e San Clemente, San Servolo e il suo biancore sulla sinistra. Penso nitidamente che la Giudecca pare quasi un piccolo paradiso stasera, pacifica, fuori dai casini  e adagiata nella morbidezza di un imbrunire di festa. Ma so anche, me lo dicono tutti, che è un posto tutt'altro che semplice, con la sua scontrosità e a suo modo in culo al mondo come altre periferie lagunari.

Alè, è ora di tornare a prendere il treno, già ne avevamo perso uno all'andata, quando ci aveva chiuso le porte in faccia e beffardamente era sfilato lento e inesorabile (a volte la sfiga o 10 secondi fanno una gran differenza). Ponte di barche all'incontrario, Zattere e Ca' Foscari, Frari e via, con passo marziale e romano perché errare è umano ma riperdere il treno sarebbe, se non diabolico, psicanalitico! Arriviamo con un-minuto-sessanta-secondi di vantaggio, riusciamo anche a non salire nelle prime carrozze, dove come sempre i passeggeri si stipano inutilmente, lasciando praterie di sedili in testa al treno. Con le FFSS è stato un pareggio ma in fondo tutto ha la sua serendipity. Perso il treno, ponte di barche, club sandwich, lieve ipoglicemia, tramonto e preso il treno al volo!

PS. In ordine di apparizione: Andrea e la moglie Sabina (sul ponte); Elena ed Enrico (sul ponte!); Federico, studente di Financial Literacy che ora, oltre che lingue orientali, si guarda Bloomberg ogni mattina (sul treno di ritorno).

1 comment:

Anonymous said...
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