Friday, April 25, 2025

Non ti disunire!

è una delle frasi che mi erano rimaste incagliate nella memoria e nei pensieri dopo aver visto il film di Sorrentino "È stata la mano di Dio". a un certo punto, il saggio dice al giovane protagonista in caccia di senso, visione e speranza: "non ti disunire". la frase, basta fare un giro sul web, è diventata celebre e ci sono molte pagine esegetiche che propongono perle di saggezza calcistica, esistenziale e filosofica a proposito della necessità di non disunirsi. la frase, come detto, l'avevo già presa di mira e interiorizzata, fa parte di quell'elenco di perle che stazionano luccicanti nella mia mente, nella fila di "gli uomini sono bestie rare", "tengo la camisa negra porque negra tengo l'alma", "vita di uomo è cercare qualcosa", "sono maestra di ballet e so che nella vita niente è semplice"...

come una scia di colore si sfalda e si sfrangia se gettata in un corso d'acqua e finisce per dissolversi, così disunirsi è il rischio di lasciarsi andare alla corrente della vita, del pensiero dominante (per dire una banalità), della pigrizia, diluendo quello che desideri e vuoi e devi fare. credo che questo rischio sia onnipresente ma che si addensi forse a una certa età e sempre più quando gli anni passano, perché l'energia per far fronte al caos si affievolisce naturalmente e aumenta la stanchezza e la vis pugnandi, anche se con gli anni forse arriva un po' di saggezza.

come sempre (?) quando scrivo mescolo quello che vedo (fuori da me), quello che capisco (dentro di me) e quello che avverto (chissà dove...) e la molla per non disunirsi stavolta me l'ha data un pomeriggio a casa di mamma (che è ovviamente anche casa mia). negli anni ho capito, senza che questo diventi tribale o sovranista, che il posto dove sei nato resta uno dei centri di identità permanente delle persone. credo valga un po' per tutti, anche quelli cosmopoliti per scherzo che mettono Sydney nel titolo ma sono nati in Europa, Italia, Veneto, Castellana, Riese, borgata "terre grosse", c'è poco da fare.

me ne sono reso conto aprendo un vasetto di marmellata preistorica che mamma aveva giustamente deciso di buttare: vai a capire se erano 7, 12 o 19 anni che stava là, il coperchio arrugginito, la conserva di un colore fin troppo bruno anche per dei fichi cotti. ma, prima di cestinare, separando giudiziosamente il vetro dalla latta dopo aver lavato via il contenuto in onore al riciclo perfetto, ho aperto e assaggiato. era ancora buona, il primo cucchiaino era mangiabile ma la marmellata era "ossidata". eppure, pescando a mezzo vasetto la conserva era perfetta. mi ha ricordato con la forza esagerata dell'olfatto papillare, spesso carsica e straripante anche rispetto alla vista, il gusto di quando ero bambino, quella dolcezza sinuosa dei frutti estivi della pianta e lo sgranarsi dei semini dei fichi. ho riassaporato, come mi hanno insegnato ai corsi di sommelier, lasciando entrare aria più volte in bocca e sentendo l'aroma nel naso, e mi sono detto che qui c'erano le mie radici (oltre a quelle del figaro che abbiamo tagliato qualche anno fa perché "sporcava", che possiamo essere perdonati!)

mi sono fatto due passi e ho rivisto per l'ennesima volta la stradina dietro a casa, quella che passa a fianco dei Barichei, sono nel cuore del mio Mississipi, a distanza di mille miglia da tutto il resto. e poco importa se non c'è più la siepe di sambugaro, che i capannoni della Pasta Zara siano a 100 metri e che quella magnifica estensione di prai sia racchiusa ormai nella circonvallazione. ho guardato, annusato i fiori di gadia e mi sono detto (senza aver bisogno di farlo, a dir la verità) che ero nel posto giusto.

vedete, non disunirsi non è una cosa geografica, anche se sono partito così. è un legame che non s'interrompe con quello che sei stato, è il rifiuto di tradire le radici che (forse) sono piantate in un posto ma (senza dubbio) sono piantate nelle storie e nei pensieri delle persone. ripenso agli ultimi anni di papà e al suo alzeimer e alla fatica di capire che cosa gli roteava intorno. ho sempre avvertito come qualche suo vagare inquieto era la conseguenza di non sapere che cosa pensava, di non riuscire a configurarsi, di percepire confusamente che era perso e che si stava disunendo. uno dei migliori ricordi che ho di quel periodo è il tempo passato insieme a risolvere cruciverba della "settimana enigmistica". so che può sembrare strano, in fondo la perdita di capacità/lucidità intellettuale mal si concilia con quel che serve per le parole crociate ma, al di là della memoria che può funzionare a tratti, riserve cognitive e altre spiegazioni, secondo me la storia era più semplice. immergersi nel cruciverba significava tornare a pensieri finalizzati e regole semplici, in cui è facile ritrovarsi, niente altro da fare e niente distrazioni, solo geometrie lineari di definizioni e incroci, regole da rispettare, pezzi da incastrare nell'unico modo possibile, in cui il senso lo trovi passo-passo e sempre più a fondo man mano che completi lo schema. fuori da questo recinto, che è tipico dei giochi, credo che papà fosse quasi stordito dalla varietà che aveva attorno, percepita quasi come insensata e non sempre ben collocabile. 

il degrado cognitivo potrebbe proprio essere questo e somigliare molto alla frantumazione in cui spesso ci troviamo quando lavoriamo o scorriamo un flusso di post: brandelli di realtà, schegge di senso e, in ultima analisi, detriti anche di noi stessi. a volte vedo il terrore di disunirsi anche in mamma, reduce da una TIA estesa che fortunatamente non ha lasciato grandi conseguenze. ma le è rimasta la paura e la sensazione che la mente "non funziona" più come prima. si scrive tutto, mi chiede "ma perché faccio così? perché ho bisogno di scrivermi tutto? perché..." non so come rispondere e sorvolo sul fatto che da anni scrivo pure io sul blog e sul diario e sui foglietti e dove capita (tovaglioli inclusi, marchio di fabbrica di noi matematici!), scrivo per non dimenticare, per unire passato presente e futuro, nella speranza che la trama non si laceri e, appunto, non si disunisca.

ovviamente la disunione non è solo causata in tutto o in parte da decorso di malattie o eventi puntuali: in questo periodo la sensazione di partire per una qualche tangente me la danno i fatti di cronaca, fradici del delirio narcisista e semi-onnipotente di un cialtrone imbroglione e sadico che ha convinto la metà degli americani a votare per lui. come si fa a non disunirsi, perdendo visione e speranza, di fronte alle puttanate e alle cattiverie che vengono sfornate senza posa dall'uomo più potente del mondo? non lo so, ma vi invito a leggere questa riflessione di Martino Pietropoli in cui onore metto un petalo su questa pagina. Martino ha ragione quando spera che il silenzio lo seppellirà? lo spero. silenzio, poi, non è passività ma è anzi attività, un coltivare la bellezza, le proprie passioni, un rinnovare e migliorare l'umanità e la divinità di cui siamo pur sempre impastati. non ci disuniamo per dare una risposta nonostante il tentativo suo e della sua banda paranoide di tirare tutte le corde della civiltà fino a romperle.

https://bsky.app/profile/martinopietropoli.com/post/3ln5s63wtac2m
 

per me, non disunirsi vuol dire anche ricordare che cosa volevo fare da piccolo, mantenere la motivazione, moltiplicandola se possibile, per colleghi e studenti e insegnare alcune cose bellissime. non è semplice e, nel mio caso, la principale difficoltà è che tutto pare affogare (per dirla in parole semplici) in un oceano di boiate burocratiche e giuridicole. programma, interpella, valuta, compila, sonda, correggi, modifica, spiega, rispiega, ricorreggi, pianifica, delibera, verbalizza in una specie di latinorum... bene, ma alla fine che cosa resta in questa tracimazione di QA, ANVUR, indicatori, classifiche, ranking, premialità and all that jazz? che czzrla resta? la fatica di pensare a quello che insegni, a quello che studi, lo sforzo di cercare di capire qualcosa di nuovo richiedono tempo e concentrazione a tratti feroce: tutti questi obbiettivi, semplicemente, diventano chimere (dis)sperse in chilometriche liste di email, procedure, riunioni... non ti disunire!

e infatti scrivo anche per ricordarmi alcune cose che, mi sono sorpreso a pensare, stanno nella hit parade delle gemme della mia vita accademica (e culturale) e che dovrei insegnare ai miei studenti. non la tiro lunga ma, pensandoci su, menziono tre argomenti che vale la pena insegnare, oltre a buon corso di algebra lineare e di analisi.

la prima sono gli algoritmi genetici, metodi per risolvere problemi disparati sulla base di poche idee generali che s'ispirano all'operato dell'evoluzione: si provano tante "soluzioni", cioè esseri viventi o processi, ibridando un po' a caso un po' no quanto già ha dato prova di funzionare sul campo; poi, di tanto in tanto, si innova sul serio e si fanno cose nuove, disruption direbbe qualcuno, per vedere se tirando a indovinare vien fuori qualcosa di strepitoso cui non avevamo mai pensato; infine, fra tutti questi spezzoni in perenne costruzione, si selezionano pur in modo imperfetto quelli che sembrano migliori. risolvere è un processo, non una sentenza in cui qualcosa va sempre bene e qualcosa no, i risultati sono mutevoli, gli algoritmi genetici insegnano che posso ricavare qualcosa di buono anche da tentativi imperfetti, sfruttando quello che funziona e, nello stesso tempo, esplorando alla caccia dell'eureka giusto e mettendo in conto anche i vicoli ciechi e i percorsi che s'insabbiano.

la seconda cosa si chiama cross-validation, è un modo per evitare di sclerotizzarsi su pochi esempi, di pensare di aver risolto tutto alla perfezione semplicemente perché, a furia di ripetere sempre le stesse cose, le fai molto bene in un ambito ristretto. che c'è di male, direte? il punto è che quello che sappiamo fare potrebbe dipendere da quei pochi esempi e appena si esce dall'alveo noto si rischia di farsi male perché quello che si sa non è in realtà robusto e applicabile con qualche generalità ma è troppo specifico e ossessivo. i maestri questi cose le sanno e di recente ho sorriso quando ho letto che gli All Blacks, si allenano agli imprevisti! sembra un ossimoro ma lo fanno: spesso ripetono fino allo sfinimento alcune cose, fino a raggiungere la perfezione del gesto, ma continuano ad essere focalizzati anche su potenziali novità, crepe nel piano, necessità di uscire dagli schemi. si allenano alle sorprese senza assumere che la performance su quello che già sai sia garanzia di alcunché. ecco, la cross-validation serve a questo, a mescolare le carte, a non credere che non sbaglierai mai e a tenere la giusta fluidità (parametrica).

la terza cosa è un modo di pensare e un linguaggio di programmazione. i modelli ad agenti sono costruzioni in cui il mondo è visto come relazione e le cose accadono perché gli agenti (persone, farfalle, ditte, trader di borsa...) ragionano, percepiscono, imparano, sbagliano e copiano quello che fanno gli altri senza la pretesa di governare tutto (e senza il lusso di sapere i dettagli e di fare sempre bene). se vi sembra normale, beh, spesso in economia invece si pensa che le persone siano fenomeni, perfettamente informati e immuni da ignoranza, errori e stranezze... è sotto gli occhi di tutti che gli uomini e le donne non sono affatto come la teoria vorrebbe ma, semplificando un po', gli economisti ortodossi continuano a supporre troppo spesso che siano dotati di perfezione esagerata. i modelli ad agenti si possono fare usando un linguaggio (che è anche una piattaforma di lavoro) che si chiama NetLogo, ci ho messo anni per impararlo perché a prima vista sembra strano ed è diverso dai linguaggi tradizionali. adesso apprezzo non solo le cose che ti lascia fare ma anche il gusto di crearle in modi che sarebbero tortuosi con strumenti "normali" e, in fondo in fondo, mi godo il fascino di camminare su sentieri nuovi e codici spettacolari dove non c'è affollamento di turisti con le solite idee, il solito python e i soliti piani.

non vi disunite e buona festa della Liberazione!

ps. Scraps Orchestra, "Rosso di sera". sul web non è quasi rimasta traccia di loro, le ultime notizie sono at https://www.antiwarsongs.org/artista.php?id=12650

Gli uomini son bestie rare,
son capitomboli di allegria,
sono carretti da trascinare,
sono gomitoli di fantasia.

"vita di uomo è cercare qualcosa" è frase preistorica, vagamente GoranBregovićiana, avevo vaghi ricordi di qualche film ma non trovavo il riferimento. poi ho chiesto a Cesira e lei mi ha fatto ritrovare la luce (forse): "Notte Italiana" di Carlo Mazzacurati (1987),

Juanes, "La camisa negra"

 

in "Parla con lei" di Pedro Almodovar c'è (più o meno) la frase della maestra di ballet.

la grafia alzeimer senza "acca" la trovate nel logo di https://www.alzheimerfest.it/

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