Monday, April 07, 2025

Students

incipit. in prima fila, a un metro da me, lo studente dorme saporitamente, con la testa appoggiata sulle braccia e le braccia appoggiate al banco, come un angioletto a riposo. continuo a parlare per un (bel) po', poi colgo l'occasione e visto che sta cambiando posizione, gli chiedo se va tutto bene, apre gli occhi, non mi è del tutto chiaro se dorme o fa finta, mi guarda con l'occhio vagamente liquido, insisto "dai che ce la puoi fare...", si aggiusta la posizione e si rimette a dormire, dico al resto della classe che anche se si è messo in posa, sotto sotto mi sta ascoltando. sono in una scuola superiore di Este, classe 5A, a fare orientamento PNRR parlando di ChatGPT, la presentazione si chiama "L'AI della porta accanto". è un venerdi pomeriggio, la professoressa di spagnolo che aveva la lezione delle 13.50 mi dice che è normale che in una classe di 30 circa 15 escano, "sono maggiorenni, possono fare quello che vogliono...", basta chiedere al docente di inserire l'uscita sull'app e sono fuori, verso la fine delle mie due ore scarse se ne vanno sia il bell'addormentato che un'altra studentessa. è un bagno d'umiltà, non riesco a tenere sveglio dei teenager un venerdì pomeriggio, anche se credo di parlare di cose interessanti e il mio ego è sufficientemente attrezzato per pensare che non sono di colpo diventato una capra incapace di fare didattica e in effetti, stimolo domande e diversi studenti interagiscono con continuità.

era da un po' di tempo che mi ronzava in testa un post sugli studenti, entità fisiche e metafisiche che popolano grande parte del mio mondo, in questo periodo ne vedo di tanti tipi: giovani nelle scuole superiori, pensionati all'università popolare, iscritti alla laurea in "economics and business" e anche al minor "volontario" di educazione finanziaria.

scuole superiori. come gli uomini, gli studenti sono bestie rare. sono stato al Da Vinci di Treviso, quelli del liceo sono generalmente inquadrati, buon eye-contact, più attenti e capaci di disciplinarsi per tenere il brusio al minimo. si vede l'enorme sforzo di tutti (docenti e studenti) per indirizzare anche il comportamenti, oltre che la mente, verso esiti consoni, sono vago ma non saprei né vorrei dirlo meglio. gli istituti tecnici sono più ruspanti, gli studenti più grunge, il personale un filo più disincantato e cinico, l'abbigliamento ha un tocco di casual-sdrucito che fa capire dove ti trovi, gli insegnanti oscillano fra esemplari di commovente bellezza interiore e figuri svaccati al limite dell'insolenza, avanzi di non so cosa anche se, evidentemente, hanno vinto un concorso. che quest'ultima cosa non provi nulla in sé, l'ho sempre detto.

questi studenti sono quelli che verranno da me fra qualche anno (o, forse, fra pochi mesi), alcuni mi incantano per luminosità, brillantezza e forza, altri mi fanno venire per un attimo il dubbio "ma che ci faccio qui?". ad alcuni è facile prevedere successi universitari, altri sembrano tati fuori età, foglie svolazzanti nel vento, resisto alla tentazione di essere cattivo profeta, pensando malmostoso che sarà la vita a raddrizzarli. provo invece a sognare grandi imprese anche per quelli deboli e so che, in fondo, sono quelli del tecnico che più dei liceali affolleranno le nostre aule. mi dico che è una bella sfida nonostante "fare metà del mio dovere" possa essere diventata filosofia di vita, non mi piace ma me ne devo fare una ragione.

università popolare. di recente sono stato a Castello di Godego e Caerano San Marco, trovando platee numerose e attente, spesso i presenti hanno un'età superiore alla mia (già, 57, se volete saperlo), coi neuroni vivaci e la domanda scattante, un piacere discuterci, guardano te e non sembrano sempre sull'orlo di cedere alla tentazione di sbirciare il cellulare come i loro colleghi delle superiori. a volte penso che se questo paese per vecchi si salverà lo deve a tutti quelli che a sessanta, settanta e più anni, sono vivi e mantengono cervello e azioni in movimento, perdendo tempo ad ascoltare cose nuove, provare a capire quello che succede e ad aiutare con attività di volontariato culturale e sociale chi è nelle peste.

università "propriamente detta". la disomogeneità regna sovrana, un'apoteosi! passo da studenti bravissimi a gente annebbiata per la totale mancanza di nozioni (cose che sanno), capacità di analisi (cose che sanno fare o discutere), solidità (come ti gestisci). cos'è l'ottimizzazione? "quando la funzione va su...", scusa ma..., "ah, si! anche quando la funzione va giù", sorriso indagatore che pare accennare a un "avrò detto bene?" ma, czzrla, gliel'ho fatto io il corso a questi? non mi aspetto che dicano una frase sensata, tipo "l'ottimizzazione è un processo per risolvere un problema che consiste nel trovare i punti (le condizioni) in cui una funzione quale ad esempio un costo o un profitto, sono massimizzati o minimizzati" ecc ecc  e poi, a scelta, un'altra mezza dozzina di concetti, esempi, casi, metafore, applicazioni... ma se le cose a te sembrano essere solo un su e giù a me, invece, viene in mente un movimento rotatorio, mi girano proprio! un'altra minoranza è rivendicativa, sindacalista deteriore di sé stessa, ossessionata dal quarto di punto (che di suo già vale la miseria di un trentesimo...) ne escono "dialoghi" febbrili e surreali.

sono un matematico. eppure mi chiedo sempre che senso abbia questa asfissia da decimale per passare da 21 a 22 grazie al "bonus" o simili, quando ritengo in tutta onestà che uno studente dovrebbe preoccuparsi di tutto quello che poteva imparare senza averlo fatto. c'è una parte di me che s'indigna di fronte a questa contabilità minuta e fiscale come la finanza, a questo guardare il dito perdendo di vista la luna che avrebbe potuto brillare. poi mi dico che non è una cosa personale e me ne faccio una ragione.

nella stessa classe, tanto ovviamente quanto paradossalmente, ci sono anche comete iridescenti di curiosità, intelligenza e forza. gente che dopo un esempio prova a salire e salire e ti viene a raccontare idee migliori, più profonde, che collegano concetti e metodi come gli svincoli autostradali collegano scie in movimento verso direzioni diverse. anche a questi gliel'ho fatto io il corso! anzi, era lo stesso corso degli altri ed è proprio questo il mistero e la bellezza di questo mestiere: c'è gente che viene a chiedere cose complesse, che vuole capire, che è disposta a lavorare dieci volte quel che basterebbe perché ha voglia di vedere la luce o, forse, non gli basta mai! 

questi studenti ti caricano le pile, hanno il potere di scolorire gli orrori della burocrazia pedagogica che così frequentemente entra a gamba tesa nel piacere di insegnare, sono acrobati a caccia di equilibri rari e personali e costruttori di mosaici cui basta dare le tessere giuste. mi vien da penare che, forse, contribuiranno a un mondo migliore e, dal foglietto della parrocchia di S Martino a Lughignano, traggo l'auspicio che forse è un dovere morale per un professore essere scriba sapiente che guarda al futuro e non al passato [di questi studenti] e riuscire a intingere la penna nella luce e non nelle ombre di queste creature, capaci inconfondibilmente di colpi d'ala inattesi e spettacolari.

ps 1. Lughignao è una bellissima pieve (quasi) in riva al Sile, non lontano da Treviso ma in comune di Casale sul Sile, un posto che risplende di una bellezza bucolica e rara. quando ci andiamo, in bicicletta, ci sentiamo sempre accolti e privilegiati di essere ospiti della pace della chiesetta, del cimitero con annesso giardino, dove giocano i ragazzini e trovi pure un rubinetto per bere. grazie per lasciare che tutti godano di un angolo di mondo che abbraccia ogni viandante.

ps 2. pochi giorni fa sono stato al funerale di Anna Comacchio, la mia professoressa di filosofia. dopo il liceo non ci siamo mai persi e ricordo i recenti gelati da Costa, le pizze, la tua ironia bonaria e lucida. onorato di aver amato Popper grazie a te e di aver fatto un pezzo di strada insieme. buon viaggio, Anna.

Sunday, March 02, 2025

Cina

Infrastrutture. il treno ha già rallentato, abbandonando la velocità di crociera di circa 275 km/h, più o meno quella di un Frecciarossa. frena, sono le 15.39, sempre più piano, dico: "arriva pure in anticipo?", M sorride: "vedrai se non apre esattamente alle 41", il treno va avanti lento, la gente si alza, sono svizzeri o cinesi quelli dell'alta velocità? 15.40.35, tutti con zainetto in spalla e trolley teso, pronti a scattare verso la città, sempre più piano, 15.40.51, si ferma, hostess in pole position, i secondi girano, 55, 56, 57, vuoi vedere che... la porta scatta, il primo passeggero mette il piede a terra esattamente alle 15.41.01. ridiamo, questi ci mangiano i risi in testa! è la fine del viaggio sul treno cinese, tratta per Shanghai delle 15.14, forse c'erano altre opzioni ma abbiamo deciso di vedere Suzhou Station (ci sono anche la North e South station, più recenti) e di osservare da vicino come funzionano i treni e l'infrastruttura del Dragone. 

sotto sotto restiamo pendolari nell'anima (che spesso è anche uno stato esistenziale, no?) e vogliamo sperimentare un viaggio che ci costa 68 yuan (元, così si denota informalmente il renmibi) , meno di 10 euro. in effetti "experience" è la parola giusta: la Suzhou station è grande come un aeroporto, somiglia a un'astronave o a Stansted nei giorni in cui la sua grande hall è affollata. controllo bagagli col metal detector all'ingresso, si entra solo con passaporto, dentro spazi dilatati pieni di sedie per i passeggeri, negozi, doppia fila di enormi toilette pubbliche per maschi e femmine sia su un lato che su quello opposto (questa dei bagni pubblici l'abbiamo vista spesso, locali ben tenuti, pipì come se piovesse per un miliardo e rotti di persone). andiamo a prenderci un caffè ma non ci sono molte scelte, o non le vediamo, e finiamo al MacDonald. ordine sullo schermo touch in cinese e inglese, cappuccino e liscio, "confirm order", esce lo scontrino a stampa numero 32353, dobbiamo attendere il ns turno di fronte al banco dove una signora assembla gli ordini e scandisce con voce stentorea il turno che, ovviamente, appare anche su un display, a me danno anche un contenitore con acqua bollente a parte, in modo da poter allungare il caffè, Daniela sarebbe felice! la signora sorride quando le diciamo scziee-scie, "grazie", l'unica parola in cinese del repertorio oltre a "nihao". si fa tanta strada a suon di grazie, che ormai storpiamo con nochalance in scie-scia, e ciao, roba da non credere che due parole ti aprano il mondo (va ben, diciamo che aiutano anche se a volte vorrei avere più argomenti...), ognuno attende il suo treno vicino al  gate. come... gate? già, che sembra un aeroporto l'ho già scritto, ci chiamano 15 minuti prima della partenza, viaggiatori in fila, altra guardatina al passaporto e siamo sui binari chiusi da una barriera che automaticamente si alza solo quando il treno è fermo, chissà se la usano anche per ghigliottinare i ritardatari che, tapini, provano a saltare sul treno all'ultimo minuto! Il materiale rotabile ha qualche anno, in seconda classe ci stanno 5 persone per fila, in prima 4, sbircio la business dove le poltrone sono ancora più larghe. comincia la toccata e fuga a Shanghai, treni e stazioni e tutto il resto ci hanno impressionato, in Cina è l'ennesima volta che resto a bocca aperta, a metà fra l'attonito e il meditabondo, cercando di allineare quello che pensavo prima con quello che vedo ora, la teoria con la pratica, gli articoli dei commentatori italiani ed europei con le facce, i grattacieli, le città.

Alba nei pressi dell'albergo Dushulake.

Rischio. è stato un viaggio intriso di inquietudini varie, per la prima volta mi avventuro seriamente fuori casa col microinfusore. è andato tutto bene e anche se è un piccolo passo per l'umanità è pur sempre un gran passo per me: tenere a bada la glicemia senza sapere che cosa si mangia e che cosa ordinare, con lunghi tratti a digiuno o camminate al freddo dell'inverno di Sozhou, per vedere anche qualcuno dei giardini che hanno reso celebre la città. per avere qualche margine di sicurezza avevo portato di me un po' di tutto: oltre alle penne di rapida, una di lenta nel caso estremo in cui toccasse ripartire dalle microiniezioni. e poi sensori, cavo per caricare il trasmettitore, pure pump-base di scorta. le cose essenziali erano "doppie", riposte sia nello zainetto che in valigia, in modo da poter far fronte anche allo smarrimento del bagaglio. in tutto ho una sporta di roba. paranoico? si. forse. o no? il punto è proprio che il "rischio" è quella cosa che ti fa passare per mona se capita e non eri preparato (perché lo sapevi prima!) e che ti fa passare per mona lo stesso se eri pronto ma non succede un bel niente (perché ti eri preoccupato troppo). bel dilemma ma... meglio così! 

La Cina è uno strano paese e non mi è chiaro come si esce da un problema: non oso pensare a cosa può succedere se perdi il passaporto o te lo rubano, il documento serve anche solo per entrare in stazione o in aeroporto, te lo domandano in continuazione, scansioni e controlli, lo devi fotografare e spedire ogni volta che Alipay e le sue sorelle app si imbizzariscono. l'inquietudine aumenta quando ti rendi conto che, generalizzando un po', non parlano una parola di inglese che sia una. l'incomunicabilità in Cina è maestosa e granitica, persone e tassisti non capiscono la lingua al punto che spesso si bloccano e diventano quasi rigidi e ostinatamente muti. quando parlano loro non c'è verso per noi di afferrare un brandello del senso. io sono rimasto molto colpito anche dal fatto che non ci si capisce nemmeno a gesti, non capiscono i nostri movimenti e ogni tentativo di descrivere gesticolando li lascia sbigottiti, gli leggi negli occhi "che czzrla sta facendo questo qua?", parole zero, a motti nemmeno, è dura, anche negli alberghi, anche in città, anche con poliziotti o altri funzionari, anche in grandi magazzini (se non, forse, quelli posh e zeppi solo di brand occidentali delle metropoli). a questo si aggiunge il fatto che gli ideogrammi cinesi sono, semplicemente, inacessibili a un profano che finisce per guardare questi disegnini annaspando e battendo in immediata ritirata. in spagnolo, o francese o anche in altre lingue più abrasive, capita di intuire il senso di una parola scritta ma lasciate ogni speranza se entrate in Cina e non avete studiato. dopo una settimana so riconoscere solo gli ideogrammi per uomo 人, banca 银行, yuan 元 (perchè il matematico che è in me ci vede un pi greco!) e Cina 中 (perchè l'avevo imparato da bambino collezionando francobolli). ci fai poco nella vita, con filosofemi come "uomo cinese in banca", che non saprei comunque pronunciare e "grazie-ciao" di prima. provate a ordinare una cosa al ristorante... è molto meglio se ci sono le figure e tu indichi le pietanze col dito!

Non ho la più pallida idea di cosa segnifichi, non so nemmeno se sono ideogrammi tradizionali o semplificati... 

in realtà con un cinese ogni dieci si può parlare in un inglese funzionale, un altro qualche parola la infila, un terzo si ingegna e sorride e interagisce lo stesso, scatenando quell'empatia salvifica che ritenevo potesse sempre essere un'ancora di salvezza. con gli altri sette, però, è come parlare con un oscuro cubetto di porfido.

viaggiare è sempre "rischioso", nel senso che è connaturato a non sapere nei dettagli quello che vedrai, come ci arriverai, chi incontrerai e quali vibrazioni o cataclismi genererà dentro di te. in Cina quest'inquieitudine l'ho sentita amplificata dalla sua grandezza, dalla voglia di capire questo straordinario subcontinente, dal fatto di sentirsi solo fra un miliardo e trecentomila persone con cui non si riesce a parlare, dall'incertezza generata dal doversi sentire autonomo ad ogni costo, dalle bizze del traffico dati telefonico e della rete. mi sono chiesto quanto deve essere stato bravo Marco Polo, era qui sei secoli fa senza tutte le diavolerie e i lussi di cui dispongo io e chissà quali erano le sue inquietudini.

Croce e delizia. la tecnologia qui è una tigre con gli artigli affilati e ben sguainati, pervasiva, asfissiante, utilissima e francamente terrificante. telecamere ovunque, scansioni di documenti e facce frequentissime. le app che traducono sono fra i pochi strumenti che consentono con pazienza di costruire qualche domanda e risposta sensata. i giovani scattano come molle, sotto a digitare o a chiedere vocalmente una traduzione. il sistema di pagamento più utilizzato è Alipay, anche se si può pagare con WeChat e chissà quanti altri sistemi del tutto sconosciuti in occidente, da noi c'è Satispay che ci somiglia molto. quando tutto funziona è una meraviglia: inquadri un QR code, o lo dai da scansionare alla controparte, e quando serve digiti importo e codice di sicurezza. pochi istanti dopo la transazione è fatta. io non ho visto una banconota o una moneta che sia una. lo stesso, credo, vale per una montagna di cinesi. inquadra e via. certo, se tutto funziona... ma non funziona sempre e allora sono fastidi: se la rete non prende, la VPN è incastrata, hai finito il credito e vai col un rosario di altre cause, non si riesce e non c'è modo di pagare. alcuni s'innervosiscono, capirsi parlando non si può e noi, che eravamo un piccolo gruppo di 2 o 4 italiani, abbiamo spesso "risolto" utilizzando la app di un collega e "poi faremo i conti in separata sede".

io sono rimasto bloccato senza poter pagare per quasi due giorni perché, pare, non avevo versato un supplemento di 0.05 yuan, meno di un centesimo di euro, dopo una corsa con l'Huber cinese che si chiama DiDi. per meno di un centesimo, non risucivo a fare nulla, screen in cinese, schermate su schermate, fotografia del passaporto, "fornisci una nuova carta di credito" con foto del fronte e del retro (ma perché l'app non si prendeva questo stramaledetto cent dalla carta che avevo inserito e sempre usato?) e così via. l'app sul mio IPhone non è ben localizzata, delle scritte e dei bottoni in cinese vi ho già detto, anche digitare è difficile perché il completamento di quel che scrivi interrompe e sbaglia la digitazione fra italiano, inglese, cinese... per digitare una riga si rischia di impiegare minuti. alla fine ho risolto la grana perché John Wu (o simili), un giovane dipendente dell'albergo si è offerto di pagare per me il maltolto. mi ha regalato un centesimo (meno!) e ha usato il suo Alipay per sanare il mio debito, tecnologia contro tecnologia ma bisogna saperlo fare e anche lui ha smanettato parecchio sui settaggi della sua e della mia applicazione (e alla fine può anche darsi che ci sia riuscito su WeChat, dato che mi ha chiesto di collegarci in modo da consentirgli di pagare per un "amico"). vi ho dato l'idea del delirio in cui ti puoi trovare specie se non c'è un John intorno? un altro esempio di tecno-gentilezza me l'ha fornito una giovane commessa quando, l'ultimo giorno, siamo andati a mangiare in un bar vicino al Dushulake. avrei dovuto pagare con una app che ovviamento non avevo. allora mi ha detto che "i pay con c-fine app for you and you Alipay me". detto e fatto, lei ha pagato con l'app e io, seduta stante, l'ho rimborsata col mio Alipay che ora è anche un'azione, "you Alipay me!"

Suzhou. riesco ad prendere in pomodorino con i bastocini, è un successo in questo strano, grande e potente paese. è l'alba del terzo o quarto giorno a Suzhou (a seconda di come si contano i giorni di viaggio e la prima notte in bianco, culminata con l'arrivo alle 4.00 di mattina a Pudong). stamattina mi sono fatto mezz'ora gagliarda di passeggiata nel "Parco della chiesa" che sta a fianco all'hotel, 4 C, aria fresca e alba luminosa sul Dushu Lake, in mezzo a una specie di alzaia molto ben tenuta, fra prati, boschetti diversi, quasi a disegnare ambienti per il corpo ma anche luoghi più meditativi, con scorci astratti di rocce, o metafisici, come selve di tronchi secchi e slanciati oppure sentieri stretti con pavimentazioni di pietra dalle vibrazioni materiche distinte che si scaricano sulle suole delle scarpe.

per afferrare un pomodorino coi bastocini devi aprirli parecchio e si deve esercitare una forza bilanciata ed adeguata. le metafore abbondano, sappiamo che la potenza è nulla senza controllo, la capacità di aprirsi serve tanto quella di stringere (le fila, i denti, le chiappe). usare i bastocini mi pare sempre un equilibrismo ai confini del sadismo, qualche volta trovo la posizione giusta, è questione di millimetri, e riesco a fare forza concentrandola per bene sulle punte. ma più spesso i bastoncini non si "baciano" e ne esce una presa sbilenca e difficile da usare. finisco per concentrarmi sui muscoli delle dita e su quanto si deve premere o flettere piuttosto che sul cibo, quindi chiedo una forchetta e andate in mona! anche questo è saggezza e metafora. strumenti giusti per le occasioni giuste e quando è ora il resto fiorirà.



a Suzhou abbiamo visitato alcuni dei giardini, patrimonio dell'umanità, che l'hanno resa celebre e che spiegano la sua fama di paradiso in terra e di Venezia dell'Est. ma era pur sempre metà febbraio e i giardini in pieno inverno non mostrano certo il loro lato migliore. quello che mi ha lasciato il ricordo migliore è il Lion's grove, il secondo, quando avevo iniziato a capire già qualcosina di questi recinti urbani curati nei minimi dettagli, luoghi di bellezza e di meditazione, prati, fiori, composizioni di rocce con un'aura di metafisico, laghetti e padiglioni riccamente decorati. negli ultimi giorni della vacanza per il capodanno cinese, i turisti erano molti, gli occidentali pochissimi (alla fine oltre a noi ne avremo visto forse mezza dozzina in tutto). 

evidentemente una delle attrazioni del giardino siamo noi, vistoso (!?) gruppetto di 4 turisti "strani" e molte volte ci hanno chiesto di fare delle foto, mi scappa di dire che "per loro siamo come Shreck", soggetti un po' strani e molto curiosi, anche senza la pelle verde e le orecchiette aguzze. 

A Tiger Hill, decido di contrattaccare: se voi fotografate noi, io mi faccio un selfie con due ruvide facce da campagna (e Marco, Andrea, e Giulia).

X ci dice che forse in questi ultimi giorni di festa è maggiore il numero di chi passa o visita la città proveniendo dalla campagna o da aree più interne dove in sostanza vedono gli occidentali solo in televisione. accetto di buon grado, vai con le foto ricordo con cinesi sconosciuti. mi chiedo, e non sarà l'ultima volta, come si mettono assieme i pezzi: quello che io leggo della Cina ha spesso un connotato negativo sui nostri media che descrivono un paese illiberale retto dal dittatore Xi dai modi talvolta vagamente soft. ma ricordo bene la censura sistematica, le minacce a Taiwan, la distruzione culturale e fisica del Tibet, Piazza Tienanmen, la brutalità con cui è stato inglobato Hong Kong durante la pandemia, reprimendo senza pietà ogni protesta (nel silenzio tombale dell'occidente alle prese con la pandemia, vedete "Do not split" oppure "Revolution of our times", film amaro e bellissimo). eppure queste persone ci chiedono di fare una foto, siamo delle piccole star, non sono certo di capire (anzi non capisco proprio):

Per avere un’idea dei sentimenti reali [...] basta in realtà fare un giro nei social cinesi (TikTok, WeChat, Rednote). Una premessa: in questa realtà virtuale non serve distinguere tra chiacchiere da bar e considerazioni politiche reali. Perché in Cina non si muove foglia che regime non voglia. Internet è percorsa da zelanti bot che sorvegliano il discorso ed eliminano ogni accenno di critica o commento non gradito. Quello che si legge ha l’imprimatur ufficiale: altrimenti non potremmo leggerlo. E mostra una visione delle nostre società raccapricciante. Una propaganda tossica che non risparmia niente e nessuno, dove l’Occidente è visto come un inferno sulla Terra, infarcito di sparatorie, pestaggi, caos e droga. E naturalmente: guerra. (dal Corriere della Sera, Paolo Salom, 22 febbraio 2025, ecco il link

ho fatto un lungo inciso con la scusa delle foto... ma sul blog questa strana consecutio è più la norma che un'eccezione! sia quel che sia, torno sulle foto perché accade anche un'altra cosa: molte ragazze girano in costume tradizionale per la città e per i giardini e, accompagnate da zelanti amici o morosi armati di reflex (!) nikon ultimo modello, si fanno fotografare in pose memorabili ed estetizzanti. nuovamente, quando chiedo lumi a X, non mi sa dire di preciso: non è usanza che lui, originario del Nord della Cina a migliaia di km da qui, riconosca, abbozza che forse sono foto che metti in cornice, un omaggio alla tradizione e alla giovinezza, immagini che mandi alla nonna, ricordi dei bei tempi da rispolverare fra qualche anno o decennio...

in ogni caso, se voi fotografate noi anche io mi consento di fotografare queste bellezze porcellanate, compite ed esotiche, già in posa statuaria, molto geishe e "cino-giapponesi" nei modi e nell'archittetura dei costumi e dell'ambientazione. adesso magari vi mostro anche qualche scatto meno ingessato ;-)


Tiger Hill è una collina da cui, secondo il poeta, si ha una visione indimenticabile della città (vabbè, avrà scritto in estate e quando non c'erano grattacieli e fabbriche a perdita d'occhio, Suzhou ha ora 12 milioni di abitanti). pare un giorno di festa, frotte di pellegrini visitano il monastero e la pagoda in cima alla collina, è una bella atmosfera a metà fra sagra paesana e devozione per qualcuno dei tanti budda che stanno nei padiglioni dell'area. qui siamo veramente gli unici non cinesi, potremmo fendere le acque e ci indicano simpaticamente come si farebbe se passasse George Clooney! una bambina mi guarda estasiata e mi dice "hallo", io ho la presenza di rispondere subito col mio "niaho" ed è un festone, si avvicinano i famigliari ridendo, non riusciamo a dirci una parola, sorrisi a profusione, che altro puoi fare? come capita quando passeggi in un simile luogo ci si reincontra in diverse occasioni, lei "hallo", io "niaho" e tutti giù a ridere!  

"hallo" e "niaho" a Tiger Hill!

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PS. sono tornato il 20 febbraio, chiudo oggi 2 marzo, ora o mai più. è stato un viaggio bello, 7+7 ore di fuso e non sentirle, adrenalina a fiumi, bella compagnia, ottima scienza, cibo abbondante (e, a volte, superbo. grazie Tony!), glicemia in ordine. sappiate però che non ci capisco nulla di Cina, non avevo studiato, mi restano flash e dubbi, non so da dove iniziare né come finire, molte foto sul telefonino, "ho un grande bosco sulla collina ed una luce chiara di tempesta... e molto altro ancora ma non ho te" (citazione Massimo Bubola, https://www.youtube.com/watch?v=prCx80EVP4U). devo ammettere che varie volte mi sono detto, nonostante non sia un gran fan della rettrice, "un punto in più alla Lippiello!", con i miei magnifici ossequi!