Corsi e ricorsi sul blog e stavolta tocca e ritocca a Milano, che è già apparsa in quelle che somigliano a vite diverse e parallele. Sono passati quasi 15 anni da quando viaggiando da un altro emisfero arrivai al Polimi per fare da commissario di concorso e anche un viaggio molto più recente è immerso in quella sfocatura di spazio-tempo pandemico in cui tutto si schiaccia in una nebulosa indistinta di miti sanitari, collettivi e personali, ricordi e esperienze ancora vivide eppure stranianti e quasi a latere.
Capitiamo a Milano con la scusa di andare a vedere la "fiera degli obei obei", di cui Cesira ha letto qua e là. C'è con noi anche Guillermo che è stato in visita a Treviso con ghirigori a Feltre, Vigevano e Torino. Un bel bagno di norte profundo! Per impreziosire il "solito" periodo nella Marca, abbiamo deciso di fare un giro insieme nella capitale morale, che lui non ha mai visto, e che continua per noi a stazionare fra una qualche diradata consuetudine (io ci sono stato anche a settembre 2022 per il Social Simulation Conference in Statale) e lo stupore ammirato per la metropoli e la sua poderosa vivacità.
Saliamo su Italo alle 8.31, la prima costa poco e mi hanno fatto pure uno sconto con qualche promozione. Come mi capita sempre più frequentemente, trovo il viaggio su Italo molto confortevole e, in sostanza, migliore di quanto offerto da Trenitalia, alla fine accumuliamo una ventina di minuti di ritardo e Milano ci accoglie con la cupola metallica della Stazione Centrale.
Vista dal giardino del Camplus Turro a Milano.
Dopo i trionfi recenti di Palermo e Catania, ho prenotato al Camplus anche a Milano, siamo in zona Turro e la struttura che ci accoglie è di ottima qualità (manca, forse, solo la bellezza del palazzo storico e della location che nel caso di Palermo, che ha la vista su S. Giovanni degli Eremiti, è eccezionale). Il personale è ferocemente gentile, anche stavolta si fanno in quattro per darmi un bollitore e mi prestano due filtri di té verde Twining, consentendoci di bere una bevanda calda e leggera la sera e la mattina, avendo riciclato il filtro in un paio di bicchieri diversi!). Il Camplus Turro è a 4 fermate da Lima sulla linea rossa della metro, a tiro di Centrale (che però sta su altra linea), rimiro questa parte sconosciuta della città, Milano è diversa in ogni angolo, e penso distintamente che è come Sydney che si reclamizzava come a "city of villages".
Il piano prevede di ripartire all'indomani alle 17.35, sempre Italo diretto a Treviso senza cambi, sarà un giorno e mezzo intenso, fatichiamo a tenere il passo di Guillermo che ne vuole vedere una più del diavolo, finiamo per stare in giro per tante ore, a me pare sempre un freddo boia, ma ci godiamo anche angoli mai visto e pure prospettive nuove di cose già annusate in alcune girovagate precedenti.
Il castello Sforzesco è un highlight che vediamo all'imbrunire e ci accendono le luci coreograficamente pochi secondi dopo che siamo passati per il ponte levatoio. L'effetto è spettacolare e spero la prossima volta di vedere anche la Pietà Rondanini e quella biblioteca (o sala lettura che sia) visibile all'interno.
Castello Sforzesco (verso le 17.00). Tutt'attorno ci sono le decine e decine di bancarella degli "Obei obei"
Al ritorno camminiamo, in un tripudio di negozi, (grandi) marchi e parecchia folla fino a Sant'Ambrogio che rifulge nella festa del Santo e in cui stanno celebrando messa in rito ambrosiano fra nuvole d'incenso e grande partecipazione di fedeli e concelebranti. Evidentemente, il 7 dicembre, siamo nel posto giusto al momento giusto e, in effetti, la basilica rifulge di una bellezza medievale senza tempo. Il bar dell'oratorio è aperto, piatti caldi a disposizione per tutti in uno degli ombelichi della città.
Il giorno successivo, in pieno ponte, decidiamo di andare a vedere il MUDEC in zona Porta Genova. Nuovamente, è una Milano diversa da quella che ho presente (Moscova, Fatebenefratelli e via via su per Duomo, Statale, Centrale, Via Sarpi-China town...), case popolari, ex stabilimenti e capannoni enormi, migliaia di metri cubi di (ex?) industrie. Mi pare una città più normale, non c'è una vetrina ad ogni passo e anzi, sembra commercialmente desertificata in un modo inapettato. Il MUDEC sta nell'area Ansaldo, si può vedere la collezione permanente ma offrono anche una mostra di Robert Capa e una sui tesori di Machu Picchu e sulle maschere d'oro incaiche. Per qualche motivo mi torna in mente mio papà e la sua passione per le mostre storiche artistiche culturali e penso che lui non avrebbe avuto dubbi. Travolto da questo flash molto personale, mi tuffo fra i riti dell'impero Inca, miscela animista di adorazione degli elementi, acqua, sole, terra, sacrifici umani di poveri cristi che (da morti!) diventavano divinità dopo che gli avevano strappato il cuore. È un'arte potente, antica, stilizzata, rimasta nascosta per secoli dopo che anche i conquistadores spagnoli se n'erano dimenticati consegnandola all'oblio generale seguito alla caduta dell'impero (Machu Pichu è stata "riscoperta" nel 1911 e da allora è visitata da un numero enorme di persone, nell'ultimo anno un milione).
Maschera cerimoniale inca (dalla mostra sui tesori di Machu Picchu al MUDEC)
Tram per piazza del Duomo dove, strano ma vero, incontriamo due amici in trasferta che arrivano da Taranto e Castelfranco. Il mondo è veramente un panuelo se il caso riannoda alcuni fili in questo modo. Rivediamo Claudia e Paolo, pezzi da 90 della nostra storia vicina e lontana, sono tutti e due in città seguendo walks of life diverse ma siamo contenti di ritrovarli in gran forma in questa mattinata di festa.
Effetti speciali, cascata di luci e dinamismo a "La Rinascente" in Piazza Duomo
Non so se sono pronto a consigliarvi "Da Oscar", in una traversa di corso Buenos Aires a pochi passi da Porta Venezia. Si mangia civilmente (roba dritta no frills e via), la posizione ha il suo senso, il costo è accettabile visto che siamo in pieno centro, chiaramente proprietario e locale si sono costruti nei decenni il loro bacino d'attrazione che include autoctoni di Lombardia e di mezz'altra Italia, turisti occasionali e foresti come noi con qualche aggancio. Penso che è un posto "milanese", aggettivo che forse tendo ad associare a qualsiasi cosa efficiente e tetragona più della media, non privo del multicolore charme figlio del proprietario (calabrese?) quasi fuori servizio dopo quarant'anni di attività, del cameriere boliviano con accento della Bovisa e di altri ragazzi meridionali che danno una mano a portare piatti, posate e bottiglie ai tavoli. Le pareti sono ricoperte di quadri e memorabilia, spesso della grandezza degli ex-voto. Noto subito il ritratto di Mussolini, "il duce" secondo la scarna didascalia in stampatello sulla cornice bianca. Gia mi pare borderline appendere zio Benito in un locale ma poi sulla carta dei vini leggo "Sangiovese di Predappio" e osservo la dedica manoscritta di Romano Mussolini: "A ricordo di un italiano che amò sempre la sua patria". Ma decché? Riguardo la selva di quadretti e ci vedo troppe cazzate, troppi trofei della "Folgore", paccottiglia linguistica da quattro soldi come "molti nemici, molto onore" e "meglio vivere un giorno da leoni che 100 da pecora". In quelli che prima avevo definito ex-voto c'e troppa nostalgia per la retorica bolsa degli uomini che a taluni sembrano forti, ma che invece è gentaglia che ha massacrato questo paese e la libertà di chi ci viveva. Ma decido pavidamente di non rovinarni la giornata e mangio la mia carbonara, buona, e il mio pezzo di cotoletta alla milanese (ce n'hanno portato una porzione enorme, buonina). Sorvolo e non commento oltre, è solo un blog e anche altri milanesi illustri si sono turati il naso (ma è un'altra storia, lo so bene).
A un certo punto arriva "Da Oscar" anche un musico saxofonista... Qui sopra il patchwork demenziale che adorna il locale con Alberto Sordi, avvicinato al duce, a Elvis e molto altro.
Siamo all'epilogo e, dopo aver consegnato una cassettina di radicchio precoce da un kg e tre bottiglie di prosecco a Claudia, camminiamo nuovamente fino al Duomo e, alle 16.00, via a recuperare i bagagli a Turro e, poi, Centrale. Metro o non metro, anche se non perdiamo tempo e siamo "milanesi", ci lavoriamo più di un'ora a raggiungere la terza carrozza del binario 12.
E gli obei? Già, dimenticavo! È una fiera, un mercatino di cianfrusaglie gastronomiche, regalini e soprammobili natalizi, a me pare la versione lumbard di quello che si può vedere a Merano, Sterzing, Monaco e in decine di altri posti. Va bene così e sono contento che siano bej e che ci abbiano dato la mezza scusa di tornare a Milano.
Parlo in diretta su Rai3, nel contenitore della testata regionale "Buongiorno Regione'' che va in onda alle 7.30, con rassegna stampa e commento alle notizie pricipali del giorno. La redazione coglie l'occasione della Giornata Mondiale del Risparmio per ragionare di capacità di spesa, situazione economica ed educazione finanziaria. Sono temi interessanti che mi coinvolgono molto ma oggi mi soffermo sull'esperienza legata al programma in diretta (presso la sede della rai di Palazzo Lavia).
Verso lo studio, poco dopo l'alba.
La conduttrice, Federica, mi ha chiesto di arrivare 15 minuti prima dell'inizio per scambiare altre due parole dopo la breve chiacchierata telefonica di venerdì. All'ingresso mi accoglie la curatrice del programma, Patrizia, sbrigo le formalità fornendo le mie generalità e salgo gli ampi scaloni del palazzo con vista laterale sulla chiesa di S. Lucia. Ricorda con affetto i tempi di Ca' Foscari, quando studiava filosofia, cita Severino e io annoto metalmente di quanto prestigio ancora godano "di luce riflessa" i professori. Speriamo di meritarcelo! Di fronte allo studio, mi prende in carico un tecnico stagno e gentile, "sarò il tuo pigmalione'', mi microfona, mi fa provare la sedia girevole che tende a ruotare vorticosamente, provano livelli audio e inquadratura.
Il tesserino se lo riprendono ma chiedo di fare una foto "miliare", ognuno ha i suoi piccoli grandi cippi!
Forse scrivo tutto questo per ricordare a me stesso quanta preparazione sia necessaria per la produzione di (buona) qualità: servono tempo, attenzione ai dettagli e persone che aiutano... Serve un protocollo, tutti fanno quel che ha senso, la scaletta riporta ogni singolo spezzone dei 30 minuti di programa (che coinvolgeranno me solo per 4). Ne traggo la considerazione (un po' ovvia un po' no) che qualsiasi cosa andrebbe preparata bene, che sia una lezione, un articolo o una scampagnata. Occorre l'''arte della manuntenzione della motocicletta''! È un'arte perché qualcosa può andare storto, non è scienza esatta. Ma la preparazione riduce il rischio di casini, impappinamenti, pause varie e attutisce gli effetti dei micro-capitomboli sempre in agguato.
Osservo tutti questi professionisti all'opera: Federica legge e rilegge la scaletta, mi ripete l'andamento previsto del mio intervento, si sistema più volte la camicietta bianca e l'asola nera e vistosa che la abbellisce, trucco accurato, fondo tinta quanto basta. Quando parla, nell'arco della sua mezz'ora, usa riempitivi sì e no due volte ("cioè'', "in qualche modo'', "insomma'') e non allunga mai le parole (gli ``eeeehm'' che sono tanto comuni quanto bruttini). Scandisce le parole con cura marmorea, a me pare forse fin troppo, ma è di chiarezza adamatina evitando scorciatoie fonetiche (ad esempio, inserisce le giuste "fessure", spazio-"uno''-spazio e non "un'' appiccicato alle parole precedente e seguente senza ritmo).
Anche Lucia, in attesa di leggere a discreta velocità varie notizie, è tesa al punto giusto. Scioglie la mascella, beve un sorso per ammorbirdire la gola e quel filo di tosse che la infastidisce, stira i muscoli facciali con piccole boccacce, lieve massaggio agli zigomi, un occhio alla scaletta e via. Assorbo un filo della sottile ansia che si porta dentro, anche se deve aver fatto queste apparizioni decine di volte. Riccardo, physique du role, è il meteo-man e ripete il discorso a voce bassa, memorizzando "l'alta pressione si è spostata... non abbiamo segnalazioni dal centro previsioni mareee...'', concentrato e attento.
Clicca qui per vedere il programma (intorno al minuto 16)
L'impressione che ne traggo è che tengono al loro lavoro e per farlo bene serve adrenalina alta al punto giusto. Dopo l'intervento in diretta, in cui mi pare di essere andato benino, mi fanno un'intervista per avere delle immagini "ferme'' per qualche estratto da mandare al TG delle 14.00. Scambio due parole con Federica e Riccardo, lo studio si è completamente svuotato, la testata regionale ha le sue pause durante il giorno. Da casa a casa dalle 5.30 alle 9.30, grazie al treno delle 8.43. Let's go!
Alle 10.25 vedo le fronde del banano nel giardino della chiesa di S. Giovanni degli Eremiti, il mio alloggio sta esattamente dirimpetto, sono arrivato a destinazione. Sveglia alle 4.30, Treviso S Pancrazio - Camplus porta a porta in 5 ore e 10 minuti, mettendo assieme le tessere del viaggio: 30 minuti in FIAT 500 per raggiungere il Marco Polo, i soliti 50 minuti un po' ansiogeni in aeroporto, un'ora e 15 di aereo, Punta Raisi Falcone e Borsellino, tira molla tambara e ritira il bagaglio, aspetta che il taxi sharing si riempia di altri 6 passeggeri con le loro storie, arrivo all'incrocio fra Via Roma e Corso Vittorio Emanuele e so che devo camminare per una decina di minuti.
Con Palermo mi sintonizzo sempre subito, anche con la meteorologia. Nuvoloni neri stazionavano sul mare ma lasciavano che lame di sole s'insinuassero sulla pista, il furgone sfreccia sull'autostrada, lasciando intravedere la costa sulla sinistra, comincio a sentire l'accento a là Ficarra e Picone, con le a allungate.
Cesira mi telefona e mi dice che ho pure fatto la simpatica cazzata di lasciare a casa le chiavi della valigia Spalding vinta coi punti del rifornimento decenni fa. E l'avevo chiusa! Bene, valigia chiusa a serramanico su un marciapiedi del centro: mi sfiora l'idea di comprarmi biancheria e vestiario per 7 giorni... Mi dico che sono mona, e tanto, sia per la dimenticanza che per avere pensato una simile stupidata. Poi, appena all'inizio di corso Vittorio leggo "Keep calm e futtitenni". Se non è un'illuminazione poco ci manca. A Palermo ci deve essere un modo per aprire una valigia: è chiusa a chiave, ok, ma lo è in modo un po' ornamentale, come si usava con quelle valigie dei punti che hanno serrature di plastica che servono più che altro a fare la faccia dura per incutere più paura! Entro in un negozio di cianfrusaglie indiane, "devo farti una domanda un po' strana..." e chiedo aiuto, avete idee... c'è una ferramenta in giro? Sì, torna su Via Roma, poi lascia passare via Venezia e gira sù in Via Napoli, c'è una ferramenta. È vicinissima, decido di andarci, trovo la premiata "Non Solo Elettricita" di Ciminna Claudio: dico al commesso "devo farti una domanda un po' strana... ho scordato le chiavi, si riesce ad aprire questa valigia?". Il giovanotto, alto e sveglio non fa il difficile, capisce che la valigia è mia, prova con una chiave che non gira, mi dice "la devo forzare", "va bene", e con un cacciavite fa ruotare il tamburo (in realtà senza forzare nulla, la potro riusare senza problemi). Fulgido esempio di come (alcune) serrature non servano a niente! Alè, sono salvo e contento in meno di 10 minuti, conteggiando il tempo di arrivare in ferramenta. Dietro al bancone ci sono due persone, "quanti vi devo?", non vogliono un euro, insisto, si schermiscono, "posso almeno offrirvi un caffè al bar qui accanto?", no, non serve, no... Ma nel frattempo era entrato un altro cliente che dice ai commessi "e dai, accettate!", ringraziano e chiedono due macchiati!
Google maps mostra (quasi) sempre tutto, compresi i bar con le mezze dosi.
Con la mia valigia appena "scassinata" con dolcezza, entro trionfante nel bar lontano 10 metri, ordino un macchiato per me, anche per dimenticarmi di quel caffelatte "medium or large" bevuto a Venezia all'alba. Il piccolo banco è affollato, un cliente chiede se si può avere mezza barchetta alla mortadella che sta sull'espositore, il barista dice di no, "a chi la do poi l'altra metà?". Capisco bene la richiesta, anche io per motivi vari apprezzo le porzioni piccole, ti prendi il gusto senza grane glicemiche, un coup de foudre papillare e via. Stavolta però salto nella conversazione, "l'altra metà la prendo io!". L'attimo di curiosità che invade il locale dura tre lunghi secondi, sei avventori mi guardano sorpresi, evidentemente il mio accento si fa notare non poco in centro a Palermo e chissà cosa si son chiesti sui ghirigori che poratano un veneto in un bar tosto senza alcun appeal turistico. Ma è fatta, il barista sorridente capitola e chiede "la devo tagliaaare per lungo o per laargo?", il signore esagera: "a volte, io ne chiederei anche un quarto!". E io "ma è dura trovarne altre tre!". Pago 4 euro e 10, inclusi la mezza barchetta e i due macchiati che di lì a poco saranno portati ai ragazzi della ferramenta. Mi fa lo sconto, "4 euro", senza scontrino, è una cosa bella...
Quello che vedo dalla mia finestra, compresa l'ombra delle tenda... in pieno complesso Arabo-Normanno a due passi da Palazzo dei Normanni.
Sono al Camplus di Via dei Benedettini, dalla finestra ammiro la struttura di S. Giovanni degli Eremiti e non solo il giardino, una meraviglia che visiterò nei prossimi giorni! Sono stato in strutture simili anche altrove e mi sono sempre trovato benissimo (ad esempio, lunga vita al Camplus di Catania in via Monsignor Ventimiglia), mi sento un pascià e fra poco provo la "mensa" interna, mi attendono turisti, strani soggetti come me in trasferta sabbatica, didattica e scientifica e studenti, tutti presenti nel variopinto ventaglio di ospiti. Mi devo mettere a lavorare, finendo di preparare il (mini) corso su NetLogo e agent-based per il dottorandi di unipa e provando a smaltire la slavina di email che attendono risposta da giorni e settimane. Questo post finisce qui, W Palermo, mi godo il caldo e avanti col resto!
Esco alle 9.15 dalla casa dello studente ben colazionato e mi dirigo in centro verso il duomo. Via Ventimiglia ha una sua strana centralità a Catania e si collega facilmente alla centuriazione romana e ai tracciati delle strade principali e rettilinee (come corso Sicilia, corso Italia, Via Etnea, Via Garibaldi, corso Vittorio Emanuele). La temperatura è alta, ma al mattino si resiste bene, anche perché ho appena abbandonato un ambiente sanamente refrigerato come il palazzo che mi ospita. Sento fin da subito un odor vago e via via sempre più intenso d'immondizia, capto anche brandelli di conversazioni dei passati che si domandano come mai non passino a raccogliere il materiale. Non sembrano nemmeno tanto indignati, percepisco una qualche forma d'ineluttabilità pattumesca, che ci vuoi fare? Giriamoci intorno e aspiriamo l'aria del mattino che odora di marciume (poi Alessio mi racconterà che è un'eterogenesi dei fini, tutta colpa della raccolta differenziata, iniziata senza che l'Azienda di servizi fosse pronta con conseguente debacle e sedimentazione di quintali di sacchetti e altro).
Ci sono rivoli di "acqua" un po' ovunque e spesso ti piove in testa perché gli scarichi dei numerosi condizionatori sono dappertutto, spesso imbruttendo ulteriormente facciate che altrimenti avrebbeo pure una loro arcana bellezza decadente e un po' acciaccata. In qualche caso, l'acqua è raccolta nei grandi bottiglioni di plastica che riforniscono i distributori degli uffici, almeno così non si creano pozzanghere e fiumicciattoli sui marciapiedi che spesso sono molto stretti e consentono il passaggio a stento di due persone che si devono inzaccherare per forza.
Arrivo al duomo, godendomi quel po' ombra caratteristica e spessa che staziona in permanenza in edifici secolari come questi, la cappella di sant'Agata rifulge di luce che entra diretta in una vetrata gialla. Intuisco poco o nulla dello spazio architettonico tanto è forte l'effetto di controluce feroce che mi impedisce di cogliere altro che una grande giallo e un profondissimo nero.
Capisco anche perchè la puzza andava aumentando e via via insaporendosi man mano che mi avvicinavo al duomo. L'immondizia capillarmente sparsa nelle vie fa sempre la sua parte ma adesso trionfa il mercato del pesce, uno spettacolo visuale ed olfattivo pittoresco e vociante, con tanto di persone che assistono allo show da una specie di balaustra. Scorza dura e abbronzata, vedo gente ruspante che annaffia cassette, bidoni e contenitori improbabili pieni zeppi di pesce di ogni tipo, stivaloni, fiumi di acqua per provare, senza gran successo, a tenere fresco questo ben di dio, turisti che fanno le foto, una coriandolata di ombrellini multicolori provano a fare ombra formando una specie di toldo di grande cromaticità ed efficacia alquanto incerta e simile a quella dei litri di acqua fresca sversati sull'asfalto. I turisti sono affascinati, io francamete ho pensato allo SPISAL e all'HACCP e ho doverosamente ringraziato il mio sistema immunitario che solitamente mi consente di mangiare di tutto "dead or alive" senza pagare dazio (anche se qualche magagnetta forse nell'ultimo lustro l'ho avuta...) Gironzolo felice e leggo anche ben curiose frasi sui cartelli delle bancarelle che occupano diverse strade, cose fascinose e quasi esotiche dalle nostre parti come "Qui si può pagare con carta reddito di cittadinanza". Viaggiare apre sempre nuovi orizzonti e non fate gli spiritosi!
Il cartello recita: "Qui si può pagare con carta reddito di cittadinanza"
Ok, per oggi ho fatto il mio, inversione a U, pranzo veloce al Cavaliere e direzione WEHIA (Workshop on Economic Heterogenous Interacting Agents), dalle 14.00 iniziamo a discutere di economia e di modelli vagamente eterodossi in cui gli agenti economici (io, te, noi, voi, tutti...) sono diversi e interagiscono fra di loro producendo (anche) gran confusione e qualche problema ma arrangiandosi pure molto meglio di come sembrerebbe secondo teorie molto razionali ed equilibristiche che vanno di gran moda nei posti chic. Ma questa è un'altra storia!
Alla sera cena sociale a Palazzo Manganelli Paternò Borghese, la raffica di nomi la dice lunga sulla famglia proprietaria di questo fastoso edificio in via Antonino di Sangiuliano. Torno che è quasi mezzanotte e, udite udite, quelli della raccolta dei rifiuti stanno sbancando una delle tante muraglie di spazzattura vicino a casa, portandosi via cumuli di sacchi e lasciando una nuvola di fetore (che permane bella stagna anche se la fonte se n'è andata.)
24.
Finiamo con le presentazioni verso le 15.00, veloce passaggio in Camplus per rinfrescarmi dai 36 gradi e mi preparo per la gita "rapida" sull'Etna. Appuntamento in via Garibaldi 39, siamo in 8, la nostra guida è Roberto. Occhiali spessi come i miei, chiacchiera di tutto e parla quell'inglese bello aperto che, in fondo in fondo, lo capisce salvo parole episodiche anche uno swahili. Con noi fra i veci ci sono Andrea, Simone, Mitja, Alba è in mezzo e fra i giovani annoveriamo Daniele, Violeta e Hector. Già, abbiamo a bordo anche tre adolescenti curiosi, entusiasti, sempre pieni di fame, gente che mette allegria e va più delle Duracell! Oltre che il Mongibello, mons jebel, la montagna delle montagne, saranno i protagonisti del pomeriggio. Per dirne una, Violeta (madrilena, credo quattordicenne) in pochi mesi ha imparato l'italiano guardando i film, youtube e leggendo libri (pare anche i "Malavoglia", da paura!) Snocciola congiuntivi e condizionali, parla e domanda senza macchia e senza paura. Stiamo insieme 5 ore e, forse, la pizzico solo quando chiede a Roberto "se è agradabile vivere a Catania". Agradabile, che non è nemmeno lo spagnolo agradable e siamo a distanza infinitesima da gradevole, fenomenale!
Roberto ci racconta tutto di crateri, lapilli, bombe, lava flow, eruzioni, disastri mancati e disastri riusciti, eruzione del 1669 e terremoto caterpillare del 1693 (che a dir la verità non fu colpa dell'Etna). Ha un modo avvolgente e cordiale di dirci le cose, intriso di scienza, simpatia e passione, Violeta se la cava pure in inglese: "cosa vuol dire flat?" e "cosa vuol dire basement?" e poco altro!
Sul bordo del cratere spento nei pressi del rifugio "Sapienza"
Il fiore della saponaria, pinata che vive solo qui e che venire usata per... fare il sapone!
Ci spostiamo in una valle che sa quasi di Slovenia duecento metri sotto il Sapienza. Nero, sfumature di nero, verde e sfumature di verde ovunque, i tafani mi morsicano nei pochi minuti in cui si scatenano quando sta per scendere il sole. Roberto ha portato arancini e una bottiglia di vino rosso per fare una merenda mentre guardiamo un tramonto in stile savana. L'Etna è una meraviglia e mi ripropongo di trovare un'altra occasione per assaporare di più e di meglio.
25.
La mensa della casa dello studente è chiusa il sabato e faccio colazione al Bar Fiorenza, consumo una siciliana fritta con acciuga e cappuccino (embe?), con vista sulla terra di nessuno dei pargheggi Ventimiglia-Repubblica, non è un posto chic ma sto seduto su uno dei due tavolini di ferro del marciapiedi, non avevo voglia di fare strada a caccia di finesse. In attesa del primo pomeriggio e di prendere l'Alibus per l'aeroporto di Fontanarossa, decido di andare a vedere il monastero benedettino di S Nicolò l'Arena e Sant'Agata al Carcere. La prima visita guidata inizia alle 10.00, pesto sulle gambe lungo la salita di via Sangiuliano, bordata di oleandri in fiore che spandono in aria una striscia di profumo caratteristico e pungente, tenue in apparenza ma deciso al punto da cancellare l'endemica puzza di scoasse (a memoria è uno dei pochi punti in città in cui il profumo prevale sul resto).
Il monastero è uno spettacolo, vi auguro di vederlo prima o poi. La nostra guida è Giovanni, ci racconta secoli di storia (due domus romane, un salvataggio in extremis dall'eruzione con muri di lava che si sono accumulati su due lati, la ricostruzione dopo il terremoto e l'uso dei locali come aule scolastiche e palestre fino alla fine degli anni '70). Il complesso è stato recuperato dopo un lavoro mirabile dell'architetto Giancarlo De Carlo e io, ancora una volta dopo la Biblioteca Battiferri ad Urbino, trovo bellissime le idee messe in opera in biblioteca (ponti/strutture rimovibili e la possibilità, letteralmente, di studiare sopra le domus romane).
Dettaglio della scala che porta al giadino dei novizi, elicoidale, una sfoglia ardita di cemento per salire sulla colata lavica.
Il chiostro interno "originale"
Sceso a Piazza Stesicoro provo a vedere se la chiesa di Sant'Agata al Carcere è aperta, non ho grandi speranze alle 12.30 ma invece ci trovo Alfonso che mi attende e che a modico prezzo mi guida in modo personalizzato. La cristiana Agata, giovane donna della nobiltà romana catanese, non ne vuole sapere di abiurare per ottenere il libellus, la certificazione che serviva per non avere noie religiose. Finisce martire nel 251, dopo tormenti crudeli (stranamente, non è la prima volta che il blog contiene storie di ragazze coraggiose). Alfonso contstualizza tutto, il palazzo pretorio e le sue carceri che digradano sull'anfiteatro, la crisi del tardo impero romano, il tentativo di rimuovere il "problema" dei cristiani, le mura spagnole, il culto agatino e la festa che la devozione popolare tributa alla santa con le candelore ogni febbraio.
La finestra del carcere di Sant'Agata.
Arrivederci Catania! Mi appresto a prendere un volo Ryanair, tuffandomi in quella cajenna assembrata di gente con poche mascherine che è l'aeroporto, tutti in piedi in lunghi serpentoni in attesa degli imbarchi senza spazio e pochi posti a sedere. Alè!
Sono a Catania e questo torna ad essere un blog di viaggio e non solo perché sono a 1308 km da casa, come dice il fido google maps, ma perché vivo giorni di movimenti cerebrali vari, forse enfatizzati dal peculiare stato d'animo che il distacco itinerante dalla "normalità'' mi procura. Avrei voluto scrivere un pezzo su Ryanair e la sua fenomenologia, su come i capi della compagnia, trattano noi clienti e i loro dipendenti, o su come noi e loro ci facciamo trattare o su come resistiamo tetragoni e ci caviamo soddisfazioni rivoltando la frittata.
Ma poi sono stato ripreso da Catania, città secca, con la sua durezza, e meno amata dell'opulenta ed esagerata Palermo. Dico ripreso perché, hard-disk alla mano, mi rendo conto che sono stato qui a un AMASES "solo'' 6 anni fa. Correva il 2016 e io e Alessandro raccontavamo, con delle slides bellissime, una ve la mostro sotto, una storia di realismo che provava a smontare le pretese intellettualoidi e razionaliste di certa economia. Ci abbiamo anche stampato un paper, se volete lo potete pure leggere. Sei anni non sono nemmeno un'era geologica, eppure era un tempo mitico, prima che accadessero tante cose, personali, accademiche, esistenziali. Non pensate di cavarvela: dov'eravate 6 anni fa? Che cosa pensavate? O, meglio, chi eravate nel 2016, prima di una lista in cui potete mettere quel che vi pare ma che include una pandemia, una guerra, una promozione, solenni incazzature, manciate di neuroni che se vanno in baby-pensione senza consenso, piccoli e grandi successi, anche qualche vendemia di saggezza e capacità di fare uso di quella cosa strana che è l'esperienza, che arriva quasi sempre quasi fuori tempo massimo? (e vai col resto, fratture, insuline, gamme-convergenze e chi più ne ha più ne metta).
A poco a poco, il mio cervello si è messo ad accostare tessere, corso Italia non era una strada qualsiasi di qualche città del Sud ma riprendeva vita, Via Ventimiglia è tornata ad essere quella strada tanto importante quanto lunatica e indomabile, dove in pochi passi vedi lo squallore di un centro urbano devastato e i galloni dei palazzi e delle boutique. Mi sono ri-orientato, traguardando corso Sicilia e piazza Stesicoro e cronometrando il tempo che mi servirà per arrivare in università domani. In un calore gagliardo ma meno soffocante che da noi, ho visto di tutto: barboni, tanti, un po' in carne ed ossa un po' intuiti vedendo i pacchi di stracci e i materassi sudici dove dormiranno, coi portici che li ripareranno dall'umidità del porto che sta a un kilometro di distanza; ho visto mucchi d'immondizia, tanti, in troppi angoli di strada, a fianco delle bouganville, a pochi metri da dove, poi, la strada si faceva quasi chic e vagamente milanese; puzzavano pure quei mucchi, non è una gran idea lasciar macerare tutta sta roba a 35 gradi sotto il sole, obbligando i pedoni a zigzagare per schivare le zaffate peggiori nei punti veramente ostruiti.
Buogaville, scoasse a volontà e materasso perché non manchi nulla.
Ci sono le missionarie della carità di Madre Teresa di Calcutta e in qualche tratto la cità pare proprio averne bisogno
Catania è una citta che mi piace, nera come la pece, scabra come le sue pietre e i suoi molti immigrati, oscura e diametrale per un polentone in libera uscita. Ho visto aprirsi sotto il livello di calpestio le solite rovine latine, e mi sono sentito a casa, nel modo strano un cui può esserlo un padano in Sicilia guardando un anfiteatro romano (ma se è per quello mi sento anche magno-greco e longobardo, c'è poco da fare).
Sono stato a mangiare alla Trattoria del Cavaliere in via Paternò, sotto un metafisico gazebo quasi sicuramente abusivo col suo telaio di travi di ferro enormi, all'ombra dell'ultimo sole della sera del solstizio. Ho mangiato bene, farfalle al salmone, fettina di cavallo (abbondante, morbida e sugosa nella cottura leggera), 1 litro di Ferrarelle, vino della casa, un ottimo espresso che ancora adesso vivifica i miei polpastrelli sulla tastiera. Ho speso 19,5 euro, quando le mie stime ronzavano sui 28. Di solito ci prendo abbastanza ma nel profondo sud anche i prezzi hanno le loro dinamiche.
Mi restano negli occhi la sposa che usciva da San Biagio in Sant'Agata alla Fornace, truccata e all'apparenza di giovanezza lancinante. E il palazzo brutalista che chiude Piazza delle Repubblica, uno strano oggetto in un contesto che abbina assurdamente modernità di cemento armato e sfacelo di buchi pieni di rovine grandi come piazze.
Dimenticavo, come sei anni fa io sto al Camplus D'Aragona, un'oasi di pace in cui condivido con gli studenti una semplicità che mi snebbia. Il palazzo, appunto in Via Monsignor Ventimiglia, è uno di quelli che "tiene su la zona" e galleggia su questo magma urbano e umano. E domani parliamo, a modo nostro, di diversità al Workshop of Economics with Heterogenous Interacting Agents (WEHIA 2022).
Tre anni fa, sono caduto dalla bicicletta di ritorno dalla seconda uscita della stagione sul Montello. Mi rompo una clavicola (e mi ammacco pure l'autostima vista la banalità dell'incidente, accaduto su una strada dritta in aperta campagna, senza macchine, l'unica buca in km di rettilineo la prendo io mentre guardo da un'altra parte... vabbè). Frattura scomposta, pronto soccorso e qualche giorno dopo sono ricoverato per l'impianto di una placca. È una cosa abbastanza normale visto che le clavicole non gradiscono i capitomboli di noi ciclisti per caso e spesso si rompono malamente. Fino a qui tutto ok (ehm, si fa per dire!). Ma in occasione degli esami preoperatori di routine mi trovano una gagliarda glicemia a 220 a digiuno. È una strana epifania che capita a molti ("Cosa? Sono a stomaco vuoto e ho perfino saltato colazione e brioche... controlla bene, per favore") e ho saputo poi che questa "diagnosi per sbaglio" o per "interposta ragione" è assai frequente.
Ci sono pochi dubbi, sono diabetico, non lo sapevo e manco lo sospettavo: nessun sintomo, mangiavo poca carne e tante pastasciutte senza crucci e ansie di nessun genere. Ma da allora sono (anche un) LADA e mi imbarco in una bizzarra e a suo modo avventurosa patologia (di cui, fra le righe del blog, ho parlato in questo post).
Delle varie tappe di questo percorso salto la prima e la seconda fase. Parto da 3 e non è la prima volta che il sequel vede la luce prima del prequel (un Esempio maiuscolo è qui). Giovedì 19 maggio 2022 vado al controllo al "Laboratorio tipi 1" dell'ospedale di Treviso e parlo con la diabetologa Laura per la prima volta, a fianco a lei c'è una specializzanda. Come sempre, esprimono preparazione, empatia e una calma quasi soprannaturale. Spesso i reparti sono lande spazzate dal vento impetuoso di bisogni, code, malati, richieste, il centro diabetologico non fa eccezione. C'è chi chiede il piano terapeutico, ausili vari, visite di controllo, certificati per patenti e molto altre cose che mi lasciano sempre stupito. Quando entri nell'ufficio del medico o delle infermiere, però, lo spazio-tempo cambia e si assiste all'immersione in un micro-cosmo di pacatezza attenta ed inscalfibile, in cui mi sono sempre sentito ascoltato molto più di quello che mi avrebbe accontentato. Laura guarda il rapporto trimestrale che registra le oscillazioni del mio glucosio nel sangue, commentiamo la mia glicata (51, per la cronaca) e il C-peptide (0.3, per i morbosi!) Più o meno questi numeri significano che non vado poi male ma che produco sempre meno insulina, ormai proprio pochina, e che è ora di cambiare fase.
Appunto, vai con la terza! Vedete, il Laboratorio tipi 1 non accoglie tipi di prima qualità, come parrebbe dal nome e anche se io lo penso di tanto in tanto, visto che lo frequento. Diabete di tipo 1 significa un mucchio di cose, che interferiscono in vari modo con la vita delle persone e l'unica cura alla lunga è prendere l'insulina che non è più prodotta dal pancreas per altra via. "Cura" è una strana parola in questo caso, dovrei forse parlare di strategia di gestione: dal DT1 non si guarisce e si tratta di convivere con un nuovo compagno ingombrante e fiscale che dice la sua su come ti devi alimentare, su quando fare esercizio fisico, sui grammi di pasta che metti nel piatto, su momenti di ipoglicemia in cui sei vuoto come un sacco e rischi di svenire, sulle giornate in cui, anche se ce la metti tutta, la glicemia danza eterea e fluttuate su vette himalayane mai viste e tu pensi a Lucio Dalla e a quanto "l'impresa eccezionale, dammi retta, è avere la glicemia normale". Grazie Lucio, e scusa se ho reinterpretato un tuo memorabile verso. Non è la prima volta che ti eleggo a maitre a panser di questo sgangherato blog!
La terza fase è, per me, quella in cui inizio la MDI, nome figo per Multiple Dose Inijection o (terapia) multi-iniettiva per noi italioti. Da ora in poi, farò piccole o grandi dosi di insulina rapida a ogni pasto. Inizio con una unità per ogni 30 g di carboidrati, cercando di capire se questo rapporto è giusto per me e provando a dare regolarità svizzera al mio metabolismo pancreatico pazzerello. D'ora in poi, penna lispro e aghetti da 4 mm per non fare bozzi, in una successione giornaliera di ventre, coscia, destra, sinistra, chiappa (non so se ci sono molti altri posti ma non si può escludere nulla e, in ogni caso, non fa male!) Inoltre, cibo sotto controllo, disciplina ed esercizio ancora più di prima.
Non so bene perché da giorni penso che questo inizio sia importante. Mi avevano detto che forse questa luna di miele senza multi-iniettiva poteva durare anche 4-5 anni, ma ci arrivo dopo 3 e, mi dicono solo ora, non è andata male. Con quello che Cesira definisce rigore alimentare da samurai sono andato avanti a poca pasta, poco pane, poca frutta, zero zucchero, zero dolci, zero pizza per 3 anni, sempre in attesa del responso esistenziale della sibilla glicata trimestrale (i 48, i 55, i 51, su e giù, quando il target da rispettare, tanto per dare un'idea, è 50). I medici sono stati bravi e condivido la loro scelta di non dirmi fin dal primo giorno che sarei salito su questa simpatica multi-giostra di insulina, provano a darti fiducia sostenendo che il periodo a base di metformina e pastiglie sarebbe durato forse anni. Nel frattempo ho imparato, letto articoli, ho visto tranches de vie di altri pazienti, ho conosciuto delle guerriere come Alessandra che una valchiria in confronto è una pippa, mi sono impratichito di numeri, statistiche, complicazioni a breve e lungo termine della malattia and all that jazz. E adesso, terza fase!
Il sensore LibreView (FGM, Flash Glucose Meter) è utile ma ci sono quindicine in cui è "sballato" e i valori vanno corretti per l'errore sistematico nella misura. Ho sempre pensato che la regressione è la madre di tutti i modelli e adesso lo metto in pratica.
A suo modo, il diabete è una benedizione (sì, è una frase forte ma me ne farò una ragione e, comunque, qualsiasi cosa a ben guardare può essere tutt'altro). È la malattia perfetta per l'agonista che è in me: una battaglia tre volte al giorno, successi e batoste si alternano a seconda che la glicemia resti nell'intervallo [70-180], la rivincita è fra poche ore se le cose vanno male e c'è da restare in campana in attesa della prossima misura se è tutto ok; è la malattia perfetta per il matematico che è in me: posso calibrare il sensore libre con una retta di regressione e togliere il 20% se serve, calcolare le medie, pesare a vista la pasta e capire se il 40% della quantità di piselli eccede o meno la quantità di carboidrati prevista, è un fiume di conti e di modelli, roba da fare luccicare gli occhi; è la malattia perfetta per depotenziare l'ansia di controllo che ci assale in questi tempi: adesso ho uno strumento in più, la dose variabile d'insulina ai pasti, e nello stesso tempo sto capendo che come va il mondo non dipende solo da me e quanto la perfezione sia una cosa cui tendere anche senza realistiche possibilità di raggiungerla sempre (fra l'altro, dosare i microscopici boli che inietto al momento è più un'arte che una scienza, dato che una unita corrisponde a 1 millilitro che, se te lo spruzzi sul palmo, lo vedi appena. Pare un esercizio di fachirismo che mi ricorda la sensitività alle condizioni iniziali di un sistema dinamico caotico in cui ogni piccola variazione o errore può generare traiettorie di glicemia completamente diverse); e, infine, è la malattia perfetta per l'innamorato che è in me: mi stimola a fare pesare il meno possibile la gestione della malattia sulle spalle altrui e mi consente lunghe passeggiate serali con Cesira, stop alla televisione e siano le 21.30 o le 23.00, si parte per una boccata d'aria lungo il Sile in Alzaia o per un percorso più urban per le stradelle del centro. Suppergiù cinquanta minuti di chiacchiere peripatetiche per ricollegarsi, tirare tardi e stare insieme dopo giornate in cui il lavoro sequestra braccia e menti, aiutando un atterraggio morbido nel mondo degli umani.
Terza fase, già. E poi? Questo lo vedremo ma fase è un termine rugbistico e a volte per andare in meta di fasi ne servono tante. Alla prossima!
[Usate le info di questo post, se ce ne sono, con saggezza. Non sono un medico e il diabete richiede supporto di professionisti e, forse più di altre malattie, educazione del paziente e la conoscenza di quel che si fa. Mantenere un buon controllo metabolico e la glicemia entro valori normali aiuta a ridurre del 35-76% insorgenza e gravità delle complicazioni (che sono serie e numerose, specie a lungo termine, scaricate gratis il pdf dal link precendete). In vari passaggi non sono andato per il sottile e LADA, diabete 1.5 o 1 sono o potrebbero essere cose diverse. Credo che la malattia sia un'occasione, almeno ci provo, anche per (ri)pensare a quello che faccio e una sfida continua al miglioramento personale. Buon cammino!]
Ho la coscienza abbastanza a posto, ho fatto metà del mio dovere in un pomeriggio di studio e lavoro fino a quando mi telefona, in Inglese, un tizio. Decido di ascoltarlo più dell'altra volta. Sì, non è la prima volta: l'11 febbraio mi aveva chiamato tale Hugh, non avevo nemmeno capito di che ditta, parlava lentamente, evidentemente abituato a provarci con stranieri con cui non puoi andare veloce con slang e frasi idiomatiche.
Oggi mi telefona il sedicente Declin, parlantina sciolta, bell'accento anche se qualche parola me la perdo lo stesso sul voice-over-ip, dice che chiama dalla "Western Global Offshore Financial Services" di Shenzhen. La mia testa inzia a macinare, associo la piazza finanziaria di Shenzhen, nella grande Cina, a una di quelle località in cui troppi soldi troppo velocemente e troppo allo stato brado hanno generato una fungaia di "imprese" finanziarie che non dormono mai, sempre alla caccia di clienti e trader, mostrando oscenamente ricchezze accumulate di gran carriera sulle spalle di migliaia di investitori che pensano che sia un gioco e che sono finiti spennati fino all'ultima piuma. Di posti del genere ce ne sono molti in paradisi fiscali di nome o di fatto: Delaware, Isle of Man, Cayman and all that jazz. Bene, vai con Shenzhen! (Parla di un altro posto ma, per farvi un'idea potete vedere questa inchiesta di Spotlight registrandovi su raiplay.it)
Stavolta prendo appunti, voglio capire e mi sforzo di non incazzarmi chiudendo la telefonata prima di carpire qualche dettaglio in più rispetto a quello che avevo capito con Hugh. "Paolo", "Paolo", "Paolo", mi chiama decine di volte, ogni 20 secondi, "sai che sta per succedere qualcosa di incredibile, Paolo?", "puoi immaginare che cosa significa, Paolo?", "Paolo, something will hit the headlines in US next week". Mi chiedo perche mi deve chiamare per nome e fare domande con tanta frequenza, dev'essere una tecnica per tenerti agganciati perché quando non rispondo subito ripete o mi dice "era una domanda, Paolo..." dopo un po' capisco che basta dire "yes" e che lui legge il copione, usa le stesse parole di Hugh (e dei vari Gino, Pino, Lino, che passano il giorno a telefonare smerciando sogni e seminando perdite in chi ci casca).
Mi chiede "discretion" perché quella che mi sta per dare è "privileged information", lo dice con tono affabulatorio ed enfatico, quasi leggesse una fiaba ai bambini, con un altalenare teatrale e accentuando le pause e i termini chiave. Nell'arco di 30-60 giorni (sì, dice "within 30 to 60 days" la Plug Power Inc, che produce carburante a idogeno (o simili) sarà acquisita da Ford, "Paolo, do you know Ford?", mi dice che il prezzo salirà, "Can you imagini what this means, Paolo?". Czzrola, ormai il mio nome mi ferisce i timpani!
Interagisco un po', gli domando perché mi danno queste infomazioni così segrete (non importa se ne parlano tutti: vedi Motley Fool qui e qui), "lo facciamo per espandere la base dei nostri clienti", "immagino, Paolo, che se ti facciamo guadagnare tanto la prima volta, poi potremo lavorare insieme". E come no? Mettici pure un po' di cacao, direbbe il pupone! Gli faccio notare che non sa se il prezzo salirà e che potrebbe anche scendere. "You are a logical guy...", meno male! Mi vuole dare qualche numero, lo prego e lo riprego, "non posso stare al telephon tutto l'aftenun...", per favore vai al punto. Tira, molla, impasta la frolla e a un certo punto mi dice che mi possono vendere al massimo 2000 pezzi di PLUG a 26 euro e che il prezzo salirà a 45 entro 30-60 giorni. Gli dico che forse salirà ma potrebbe anche scendere, no? "Not even a slight chance to loose", nemmeno la minima possibilità che scenda, dice lui, e anche se dice la frase fine-di-mondo della finanza, è calmo nel tono e convincente nell'argomentazione: secondo lui la cosa è segreta, la so solo io, è frutto di thousands di ore di studio dei suoi analisti di New York e a furia d'insistere mi dice che mi fanno pagare solo una commissione dell'1%, naturalmente solo perchè sono un nuovo eccezionale cliente! La mia autostima si esalta: uno sconosciuto mi propone di comprare 2000x26 = 52000 euro di azioni sconosciute con motivazioni alquanto dubbie, pagando non si sa come su qualche circuito di pagamento. Fulgido caso da blog!
Bon, comincio a dirmi che posso darci un taglio: "E come mai mi propone le azioni a 26 se adesso quotano 25.62?", vedo il prezzo in diretta su Google Finance. E poi: "come mai tu ci guadagni, oltre all'1%, anche quasi 50 centesimi per azione?". Che, sia detto per inciso, moltiplicato per 2000 pezzi fanno 1000 euro. Si arrampica, sempre con grande sicurezza ed eleganza, "io non ho detto questo, non ti ho proposto nulla", eppure mi pareva di aver capito che... "I haven't yet told you the process". The process? Wow, forse non se ne rende neanche conto ma è una citazione fantastica (potete leggere la storia su questo articolo del post.it dove vi raccontano come si può quasi tentare di suicidarsi per tre anni if you "trust the process").
Qualche altra schermaglia ma l'idillio si è rotto e, anche se mi dice che ha un master in finance (brrr, che paura!), questo sfavillante approccio alla finanza decentralizzata, dematerializzate e decerebrata volge al termine. Mi dice che mi può dare i suoi contatti e un sito web dove fare 'sto "process", sta per partire con la descrizione ma trattengo la furia quando taglio secco ma apparentemente gentile, thank you for your time, bye bye, click. Gli ho fatto perdere, e l'ho persa anche io, quasi mezz'ora e ho capito almeno che cosa "propongono": super affari con guadagni del 70% fra 30-60 giorni in cambio di perdere 1000 euro e 1% subito. Proprio un bell'affare!
Che dire? Pensieri (che pure è parola grossa) a briglia sciolta:
è gente addestrata, gli fanno corsi di lettura e recitazione, stanno sul pezzo, hanno un bel copione, lo ripetono senza dubbio apparente alcuno. Sono certo che hanno ottimizzato la performance e che statisticamente questo gli rende, nel senso che una certa percentuale di polli li cucinano al punto giusto;
nonostante sia evidentemente una monumentale cazzata (50000 euro di azioni sconosciuta su consiglio dell'amico Declin al telefono?) c'è anche in me una parte che dice "e se avesse ragione?". Quella parte di me (e, forse di noi) va presa a calci in culo fino a consumare le suole;
non mi è chiaro come hanno trovato il mio numero di telefono (dell'ufficio di Treviso) e temo che lo abbiano ricevuto da una società di interviste telefoniche che mi aveva chiesto di dare a voce informazioni su un candidato a una posizione accademica. Prendere caramelle da uno sconsicuto è niente in confronto a dare il numero telefonico ai lupi mannari di Shenzhen (e di Nicosia e Lugano...);
ci ho messo un mucchio di tempo per capire qualcosa ma loro non si sbottonano e procedono come da piano per tutto il tempo previsto. Colgo l'occasione per ricordarmi di un criterio tanto utile quanto dimenticato: le cose fatte bene si fanno nei luoghi e nelle circostanze giuste: non si firma un contratto in piedi sul banchetto della stazione, non si comprano "rolex" al semaforo, non si fa trading al telefono con Declin o su un'app (tanto ma tanto tanto meno se PLUG non sapevi nemmeno che esisteva), non si va al bancomat per ricevere un pagamento come accade in molte truffe. A un certo punto bisogna risvegliarsi, capire che ci si trova fuori contesto e dire che, no, questa cosa no. Non è difficile, se lo teniamo a mente;
in modi sotterranei ma suggestivi, accomuno quanto mi è succeso a molte altre "innovazioni" finanziarie. Sei cool se fai trading come un insider su un'app smart gestita da una firm offshore con le privileged info di Declin direttamente da Shenzhen? C'è da pensarci un attimo quando uno vi travolge con i paroloni in latinorum, lasciamo perdere e passiamo al veneto: no, non sei figo, sei mona (intraducibile, that's it!)
Sarà meno trendy ma investire vuol dire studiare, disciplinarsi, controllare le commissioni, selezionare con cura i fondi della tua misera banca con sede a Voltabarozzo (altro che Shenzhen!), preferire semplici ETF a basso costo, mantenere la calma, portare pazienza decenni perché time in the market is not timing the market, ponderare i rischi senza fare i ganassa. Significa tutto questo, sono soldi veri, non storielle da hot-line telefonica!
Questo intervento, scritto a due mani con Caterina Cruciani, è comparso nel volume che elenca le attività del progetto di educazione finanziaria "Il futuro conta", istituito con la legge 17 del 2018 dalla Regione del Veneto.
Dopo l'audizione in Consiglio Regionale del 26 gennaio 2022, in cui si è formulato l'auspicio che le misure siano rifinanziate, ho pensato di inserire queste considerazioni nel blog. Sono distorto e forse ogni scarrafone è bello a mamma soja, ma spero che le riflessioni mie e di Caterina siano interessanti. Buona lettura!
Perché l'età legale minima di pensionamento in Italia è di 67 anni ma, di fatto, si va in pensione in media a 62? La domanda è una delle tante che si possono porre a una platea interessata a capire meglio la situazione previdenziale del nostro paese, le sue particolarità e anche le sue difficoltà presenti e future. A tutti gli effetti, quello previdenziale è un tema che tradizionalmente infiamma gli animi nel nostro paese e da decenni assistiamo, a volte un po' sorpresi, a volte quasi sgomenti, a continue modifiche delle norme che regolano età di pensionamento e l’ammontare della tanto agognata pensione.
Diversi temi sono senza dubbio centrali per chi operi nell'ambito dell'educazione finanziaria, la “nuova” disciplina che si propone di offrire competenze e capacità pratiche al cittadino, orientando le sue scelte a principi di prudenza e razionalità e rendendolo consapevole del valore di numerose scelte che, quasi quotidianamente, hanno a che fare con denaro, risparmio e investimento e che possono avere grandi effetti sul suo benessere economico e sociale. Si citano spesso, per la loro rilevanza, i concetti di interesse o rendimento, la diversificazione e la necessità di comprendere cos'è l'inflazione e come difendersi dall'erosione di valore che questa comporta.
Sede centrale dell'INPS a Roma, EUR (da https://it.wikipedia.org/wiki/Istituto_nazionale_della_previdenza_sociale)
Eppure il tema delle pensioni, come prova la domanda che ha aperto questo testo, si impone forse con abrasività ancora maggiore fra quelli che dobbiamo affrontare con la popolazione per almeno tre ordini di motivi essenziali.
In primo luogo, ci sono ragioni legate all'inevitabile complessità e varietà delle opzioni e degli strumenti disponibili. Solo per dare un'idea, pochi comprendono a fondo la differenza fra fondi aperti, fondi negoziali, piani individuali pensionistici e, addirittura, fondi pensione ``preesistenti''. L'adesione a uno qualsiasi di questi schemi, se è possibile, richiede di conoscere regole e meccanismi, che seppure relativamente semplici, sono tutt'altro che noti e possono interagire con altri istituti come il TFR, il trattamento di fine rapporto, e la tassazione dei proventi e delle rendite pensionistiche.
Una seconda fonte di interesse sta proprio nella inevitabile ricchezza delle norme (e casi, sotto casi, fattispecie e cavilli) che paralizzano e imbrigliano il ragionamento di chi si appresta a scegliere un fondo e non può conoscere, senza aiuti professionali e competenti, norme che alla fin fine incideranno sulla sua vita da pensionato, riducendo o aumentando una componente importante dei mezzi di sussistenza in uno dei periodi più interessanti della vita, quello in cui ci si può aprire a esperienze nuove liberati dalla routine, bella o brutta che fosse, del lavoro.
Infine, in pubblicazioni divulgative o in occasione di eventi di formazione e informazione quali quelli proposti dalla campagna regionale “Il futuro conta”, è fruttuoso anche pensare in grande e discutere un terzo insieme di fenomeni, quasi di natura “storica” e “sociale”. Le nostre pensioni, infatti sono quelle che sono per la necessità di cambiare un patto intergenerazionale, passando da un modello a ripartizione pura, in cui il giovane di oggi versa i contributi che servono a pagare le pensioni all'anziano che esce dal mondo del lavoro, a un modello contributivo in cui tendenzialmente ognuno “fa per sé” e riceverà dai vari pilastri pensionistici esclusivamente a seconda dei contributi che è riuscito a versare durante la vita lavorativa.
Questo cambiamento di approccio dipende, in ultima istanza, dal bisogno di rendere sostenibile il nostro sistema di welfare di fronte a una situazione demografica nazionale che non è esagerato dire drammatica. Viviamo in un paese fra i più longevi al mondo, dove fasce sempre più ampie di concittadini beneficiano di un aumento della vita media ma avranno anche bisogno di aiuto e assistenza medica e relazionale. Viviamo in un paese in cui nascono pochi bambini (e il numero dei neonati secondo l'ISTAT è calato ancora per l'incertezza scatenata dalla pandemia) e, in prospettiva, questo ridurrà la forza lavoro e anche la capacità di coltivare innovazione e vitalità da iniettare nella cultura, nell'economia e nella società. Viviamo in un paese in cui la disoccupazione giovanile è un'emergenza che non cessa mai e chi lavora spesso lo deve fare con enorme fatica, con contratti episodici e in un “tira e molla” fatto di una precarietà estenuante che spesso dura decenni.
Le sfide sono enormi e in realtà l'argomento pensioni è un crocevia dove s'intersecano, come si è visto, una serie di problematiche che, volendo, esulano dall'educazione finanziaria in senso stretto ma stimolano nondimeno a riflettere su orizzonti e obbiettivi pesonali e sociali. Iooltre, non serve a nulla e non è giusto perdersi d'animo perché anche le cose storte si possono raddrizzare incentivando maggiore partecipazione e consapevolezza da parte di tutti e investendo in educazione popolare e capitale umano.
La previdenza complementare consente di integrare con accantonamenti dedicati la pensione pubblica che, per quanto detto, potrebbe non essere sufficiente a garantire un tenore di vita decoroso una volta usciti dal mondo del lavoro. Gli incontri proposti dall'Università Ca' Foscari e dagli altri atenei veneti avevano l'obbiettivo di chiarire che l'adesione a una forma di previdenza accessoria non è una semplice opzione ma una virtuale necessità. Uno dei modi più efficaci per stimolare una riflessione su quest'urgenza è utilizzare il concetto di tasso di sostituzione: si tratta del rapporto fra la prima pensione e l'ultimo stipendio. Valori bassi di questo indicatore, ad esempio del 50%, suggeriscono che la rendita pensionistica “copre” una piccola parte dell'ultima busta paga (la metà, nel caso esemplificato). Attualmente in Italia, secondo dati recenti dell'OCSE, un dipendente “a stipendio medio” che lavori a tempo pieno fino a 70 anni e contribuisca con regolarità a partire dai 22 anni in poi, potrà godere di un di un tasso di sostituzione molto alto, pari al 92% (molto superiore alla media dei paesi industrializzati che si attesta al 59%). E allora dove sta il problema? Purtroppo questi assegni sono destinati a pochi fortunati e la maggior parte delle persone, per motivi spesso indipendenti dalla loro volontà, non sfioreranno nemmeno queste cifre. Un anticipo della pensione di soli tre anni, possibile con “Quota 100” o altri meccanismi come l'APE, riduce il tasso al 79%; un'interruzione di 5 anni nel versamento dei contributi, taglia la pensione di ulteriori 10 punti percentuali. Non è cattiveria o avarizia da parte dell'INPS, ma solo la conseguenza di una ridotta contribuzione e dell'allungamento della vita media. Una carriera contributiva regolare è rara in Italia e molti non lavorano proprio: il tasso di occupazione nella fascia d'età 20-24 anni è appena del 31% (sì, avete letto bene: meno di un terzo dei giovani può iniziare a risparmiare prima dei 24 anni!) ma le cose non sono rosee nemmeno nell'intervallo d'età 55-64 anni in cui lavora il 54% degli italiani (contro una media OCSE dl 61%).
Dopo aver snocciolato questi dati di fronte a una platea, solitamente cala un silenzio surreale e diventa palpabile la tensione. Eppure ormai ci siamo anche abituati alla reazione di chi, specie fra i giovani, capisce che nulla è perduto e si può prendere l'iniziativa per costruire un piano per il futuro con versamenti previdenziali volontari e basato su informazioni concrete e facilmente reperibili come quelle disponibili sul sito della COVIP https://www.covip.it/
Chiunque si accinga a sviluppare questo piano previdenziale per il futuro si scontra con un’inevitabile, ma spesso dimenticata difficoltà: non è normale per le persone pensare al futuro nello stesso modo in cui si pensa al presente. L’economia e la finanza comportamentali già da decenni hanno mostrato come la mente umana non sia naturalmente sviluppata per vivere in armonia con le leggi del denaro e dei mercati.
Durante gli incontri proposti dall’Università Ca’ Foscari la previdenza complementare è quindi stata declinata anche nella sua dimensione comportamentale, nella consapevolezza che una vera educazione finanziaria passi anche dalla comprensione di alcuni limiti naturali a cui la nostra mente ci obbliga a sottostare. Il primo passo è quello di immaginare il contesto in cui gli esseri umani hanno sviluppato le funzioni principali del proprio cervello. Non diversamente dal processo evolutivo degli altri animali, anche l’uomo ha affinato capacità e competenze in un ambiente inizialmente ostile con l’obiettivo di sopravvivere e tramandare i propri geni. La mente umana è stata capace di elaborare scorciatoie mentali molto utili a questo fine. Pensiamo ad esempio al naturale istinto di ritirare il piede quando camminiamo in montagna e ci sembra di intravedere un serpente con la coda dell’occhio: molto spesso ci sbagliamo, ma è meglio confondere un innocuo bastoncino con un serpente che fare l’opposto e rischiare di farci male! L’adattabilità dell’essere umano l’ha condotto a dominare gli altri animali e imbrigliare e sviluppare la conoscenza al punto da creare degli ambienti artificiali come i mercati finanziari basati sulle regole della probabilità e della statistica. Il problema è che molte delle scorciatoie mentali che ci hanno aiutato ad arrivare dove siamo come specie non ci danno lo stesso aiuto quando si tratta di decidere del nostro denaro e delle nostre scelte previdenziali.
La semplice scelta di decidere di cominciare a contribuire ad un piano previdenziale complementare richiede che si sia pronti a sacrificare una parte del consumo presente per un futuro anche molto lontano. È ben noto alla teoria economica classica che il consumo futuro valga meno di quello presente, ma ciò che le teorie comportamentali suggeriscono è che la velocità con cui il consumo futuro è scontato non è costante tra momenti successivi, ma dipende da quanto avanti nel tempo guardiamo. Per un giovane, da un lato è meno oneroso cominciare presto a contribuire ad un piano pensionistico, perché deve sottrarre al consumo presente una quota inferiore avendo davanti a sé molti anni per contribuire, ma dall’altro è più difficile psicologicamente, perché i benefici di quel sacrificio si vedranno in un futuro molto lontano e appaiono psicologicamente meno soddisfacenti o troppo costosi rispetto al sacrificio che richiedono.
Oltre ad essere scoraggiati dalle nostre percezioni rispetto al futuro, noi umani siamo anche naturalmente predisposti a procrastinare le scelte che richiedono una qualche forma di sacrificio. Le platee coinvolte hanno potuto sperimentare di prima mano con semplici giochi d’aula che le persone sono normalmente impazienti quando si parla di futuro, specialmente se vicino: spesso preferiamo 5 euro oggi a 6 euro domani, ma lo stesso non vale se la scelta è tra 5 euro tra un anno e 6 euro tra un anno e un giorno. Perché? In poche parole, siamo bravissimi ad essere pazienti quando il costo della pazienza non ci tocca direttamente: posso aspettare un anno e un giorno per avere un euro in più perché l’aumento di benessere mi sembra egualmente lontano in tutte e due le opzioni! Il problema è che per avere una pensione complementare tra 30 anni dovrò cominciare prima o poi… e farlo prima sarebbe meglio!
Anche quando siamo motivati, ci troviamo di fronte ad un’altra sfida per cui non siamo preparati come crediamo: che tipo di prodotto di investimento scegliere? Come è già stato detto, la scelta è ampia e variegata, a volte persino troppo. Cosa accade nella nostra mente quando siamo di fronte a molte scelte che ci appaiono difficili da comprendere? Fin da quando ci siamo evoluti, noi esseri umani tendiamo naturalmente a considerare più sicure, e quindi a preferire, le opzioni che ci sembrano più familiari. Per un uomo preistorico evitare di assaggiare un frutto apparentemente appetitoso, ma mai provato prima, poteva fare la differenza tra una terribile indigestione e la sopravvivenza, e questo stimolo è così forte nel nostro modo di pensare che senza accorgercene lo utilizziamo in tutte le situazioni in cui dobbiamo affrontare contesti ambigui o che non capiamo a fondo. Così anche la scelta di una pensione complementare può finire per essere guidata da elementi che non necessariamente la rendono finanziariamente ottima (il fondo pensione a cui aderisce la mia azienda, il mio amico, ecc.). È lecito chiedersi se questa scelta subottimale possa poi essere migliorata nel tempo, man mano che viene acquisita una maggior confidenza con il tema del risparmio previdenziale. Purtroppo, la risposta è tendenzialmente negativa, perché gli esseri umani tendono a trovare confortevole lo status quo. Una volta presa una decisione, specialmente se si è aderito ad un’opzione automatica o di default, “ci si accomoda” e non la si cambia per evitare di rimpiangere poi questa scelta nel caso in cui si rivelasse avventata. La scelta di aderire a volte diventa definitiva indipendentemente dalle alternative potenzialmente migliorative che si possono presentare.
Anche nel caso in cui ci sentissimo più competenti e meno scoraggiati dal ricco panorama di alternative presenti, altre trappole comportamentali sono ancora in agguato. Supponiamo di aver deciso di aderire ad un fondo pensione aperto, il prossimo passo è sceglierlo tra le alternative (di fondi pensione aperti) possibili. I fondi pensione garantiscono un’efficace diversificazione ma sono comunque caratterizzati da diversi profili di rischio/rendimento che dipendono dalle loro componenti – gli strumenti finanziari che compongono il fondo. Per considerare solo i due elementi principali possibili di un fondo di investimento, da un punto di vista storico le azioni hanno prodotto rendimenti nettamente superiori (circa il 7%) rispetto alle obbligazioni. Ciò è dovuto in parte al fatto che le azioni sono più rischiose, cioè al fatto che le azioni sono molto più soggette a fluttuazioni di prezzo. Per questa ragione sono percepite come più rischiose di quanto in realtà siano. Perché le fluttuazioni di prezzo dovrebbero influenzare la nostra percezione della rischiosità delle azioni? Daniel Kahneman and Amos Tversky ci forniscono la risposta con la loro Teoria dei Prospetti, che si è meritata il premio Nobel per l’Economia nel 2002: psicologicamente gli individui non percepiscono nello stesso modo un guadagno e una perdita di pari importo. Perdere 10 € fa molto più male di quanto ci renda felici guadagnarne altrettanti. Detenere delle azioni il cui prezzo varia molto nel tempo ci espone quindi ad una serie di perdite e di guadagni molto frequente, ma visto che un guadagno psicologicamente non ci compensa di una perdita di pari importo, l’effetto globale è quello di farci sentire molto più “in perdita” di quanto non siamo in realtà. Quindi è possibile che le nostre scelte risentano di questa nostra ancestrale avversione alle perdite e ci spingano a scegliere prodotti più prudenti di quelli che magari sarebbero più adatti alle nostre necessità.
La previdenza complementare rappresenta il tema ideale per comprendere un aspetto meno evidente, ma non meno importante, dell’educazione finanziaria. Oltre a parlare alle persone e a trasmettere loro conoscenze, competenze e risorse per fare da soli, è necessario anche rendere evidenti come i nostri limiti comportamentali ci possano influenzare nell’utilizzare questa conoscenza, perché le scelte finanziarie non sono mai solo una questione di soldi, ma anche di sogni, aspirazioni ed emozioni.
Per approfondire.
Un libro: Marco Lo Conte, “La pensione su misura. Pensarla, costruirla, gestirla”, Il sole 24 Ore Editore, 2020.