Al controllo di sicurezza non c'è bisogno di sgomitare e davanti a me ci sono solo un anziano signore e la moglie con deambulatore... |
Ottimo e abbondante il panino, simpatico e ben organizzato Justin! |
Al controllo di sicurezza non c'è bisogno di sgomitare e davanti a me ci sono solo un anziano signore e la moglie con deambulatore... |
Ottimo e abbondante il panino, simpatico e ben organizzato Justin! |
Sono sul treno da Munchen HBf a Hamburg-Altona con destinazione Hannover, ho pagato 121, 50 euro per il biglietto e viaggiamo a 240 e rotti all'ora, mi sono già collegato alla rete wifi WIFIonICE. tutto va bene, no? Si potrebbe dire "quasi": sono seduto per terra, in sukhasana come alla lezione di yoga e con me (per terra, intendo!) ci sono mamme, bambini, altri passeggeri più o meno giovani, occupando ogni cm di moquette disponibile e, in particolare, ringraziando il fatto che ci sono ampi spazi per le carrozzine che, mancando i disabili, diventano irrituali piazzole di sosta per quanti, come me, si devono fare due o più ore su questa tratta.
La sede di Goldman Sachs a Londra |
La foto è brutta come il demonio, ma è solo una sfida. Ho trascritto il testo che sta sotto a "The culture of Goldman Sachs" |
The culture of Goldman Sachs is defined by the commitment to delivering the best service to our clients through collaboration, innovation, and a relentless pursue of excellence.
Partnership, teamwork and integrity are foundational to our culture. We leverage the depth and breadth of our experience to create long-term value for our clients, stakeholders and communities.
Our inclusive and dynamic environment inspires continuous learning and growth, ensuring future generations will surpass our current aspirations.
poi arriva J e mi porta dentro in un enorme piano terra adibito a ristorante con una mezza dozzina di banchetti/espositori dove si può prendere di tutto, con una spiccata predilezione per cibo "sano" (verdure, carbo free, protein-added, vegan, gluten-free, extraterrestre portami via!)
metto assieme 630 grammi di roba varia, con un po' di penne fredde per formare un minimo di base per un filo d'insulina, poi pomodori, ceci, cereali, olive e chissà che altro. si paga a peso con carta di credito touch collegata a una bilancia elettronica, 10.45 pounds, mi spiace solo che ho dimenticato di tenere lo scontrino per ricordo. chiacchiero con J, appollaiato su un desk che preferiamo ai divanetti. guardo la marea di gente che mangia, alcuni sono in tiro ma non tutti. facciamo varie riflessioni sulla vita e sulla finanza, nella mia testa risuona il titolo del film "chiedimi se sono felice", intuisco qualcosa, me lo tengo per me.
L'ampissimo androne e spazi per sedersi, mangiare, fare due chiacchiere. Gli espositori col cibo sono a pochi metri da qui |
un neo assunto a GS forse prende 50k pounds se è a tempo fisso, 80k se è contingent che vuol dire licenziabile, in un certo senso carne da macello all'occorrenza. il bonus, se va bene, qualche volta non lo danno, si aggira sul 60% dello stipendio. si lavora tanto, di tanto in tanto sicuramente troppo (ma ognuno ha i suoi limiti), guardo queste facce con le vaschette del cibo, mi rendo conto che non ho preso nulla da bere, ero troppo concentrato a capire come funzionava la bilancia e stavo intasando la coda, constato che in media sono giovani, tanti trentenni e forse anche meno, qualche quarantenne, nessun "anziano" sopra quest'età o coi capelli bianchi o curvo o nettamente fuori peso. può darsi che chi ha più esperienza o ruoli dirigenziali pranzi altrove, anche nello stesso edificio: magari crostini e salmone e vino bianco, sto tirando a indovinare, mentre a noi giovani tocca la vaschetta. lo sapete vero che questa cosa di nutrirsi alla scrivania mi pare una barbarie, no? ogni cosa al suo posto, suggerisco sempre di staccare e di non rimanere inchiodati alla postazione per 14 ore di file, anche perché il cous-cous e molte altre cose s'infilano nella tastiera e fanno danni. e, scusate, ma la vaschetta mi ricorda tanto Pailette che almeno guaisce contenta e le diamo pure una seconda ciotola con l'acqua fresca!
J mi fa fare un tour: al piano interrato c'è un'enorme palestra, credo aperta giorno e notte, non serve nemmeno portarsi il cambio, ti danno loro maglietta e calzoncini sanificati. per chiamare uno degli 8 ascensori che salgono bisogna premere il piano desiderato su una pulsantiera che ti dice dove andare (sennò rischi che l'ascensore salti il piano dove sei diretto tu). saliamo al quarto, m'imbatto su un bel bancone dove si trovano snack, frutta, muffin e cookies e i baristi ti fanno il caffè a pagamento, "costa tanto", non oso immaginare quanto, e andiamo a pochi metri di distanza dove in effetti ci sono una marea di macchine da caffè, in una specie di social area con vista sul grattacielo di fronte, e puoi avere ogni specialità (black, macchiato single and double, cappuccino e tutti gli altri nomi di dubbia utilità che si sono inventati in UK), c'è anche il distributore di latte parzialmente scremato, ne puoi prendere quanto ti pare per allungare il caffè o un beverone salutare. Mi prendo un caffè lungo, quasi tiepido visto che il latte esce gelato. vedo pure un lavabo dove qualche ragazza sulla venticinquina sciacqua posate o quello che si è portata da casa, tutto mi pare in ordine e forse di tanto in tanto passa pure la signora delle pulizia a dare una spugnata.
L'atmosfera è frizzante dato che oggi a Londra c'è il CEO, David Solomon, ed è previsto un discorso con tutti i dipendenti alle 14.45. tutti sono caricati a pallettoni, se non è come quando arriva il Messiah ci manca poco e piacerebbe anche a me stare a sentire, ma intuisco che c'è la sicurezza, la registrazione, gli inviti... mi limito a scattare coraggiosamente (ehm...) una foto al video che sta in ascensore, tanto per condividere l'evento. cerco di non distruggere la giornata a J, rimandole inutilmente sulle costole, anche se pare tranquilla. ha preferito portarsi la vaschetta su per mangiare più tardi, la ringrazio e la saluto, "chiedimi se sono felice", no? Buona fortuna, J, nella speranza tu possa venire al corso a testimoniare agli studenti e a dir loro cos'è sul serio lavorare coi professionisti. apre la porta che introduce all'open space dove si lavora, area derivati at large, fixing, margin calls e dintorni. riprendo l'ascensore e, vae victis, finisco negli scantinati perché salta il piano terra. ah sì, la pulsantiera! mi dice che devo prendere quello etichettato con "S", bye bye Goldman Sachs, è stato bello per un'ora bagnarsi nell'acquario degli squali!
David Solomon parlerà la suo popolo, ormai pronto ad attraversare anche il Mar Rosso ;-) |
Per concludere, ho chiesto a chatGTP di scrivere un poemetto sulla banca (beh, a dir il vero avevo chiesto di essere ironico e di ricordare anche scandali e controversie più o meno recenti in cui GS è stata coinvolta): è in rima, giudicate voi... lo dice anche chatGPT che c`è speranza pure per loro!
Goldman Sachs, oh Goldman Sachs,
Your values sound quite grand,
Collaboration, innovation,
And excellence at hand.
Partnership and teamwork too,
Integrity, oh my,
Your culture seems quite noble,
Or is it all a lie?
For though you claim inclusivity,
And learning without end,
Controversy follows you,
Like a faithful friend.
To mortgage fraud and more,
It seems your pursuit of profit,
Has led you to the floor.
But fear not dear Goldman Sachs,
For there's hope yet to be found,
Perhaps a change in mindset,
Could turn your fate around.
So let us all aspire,
To build a world more just,
Where profit and integrity,
Can indeed coexist.
Com'è forse ovvio, dato che mi capita in ogni viaggio, Londra comincia a sfrangiarsi in una serie di esperienze diverse, che io attribuisco alla città ma che in realtà sono legate alle cose che faccio, alle persone con cui interagisco e alle suggestioni e immagini che mi si parano davanti. Oggi è giorno di riunioni con il vice-dean for internationalization, seminario e, infine, tre ore di lezioni al corso di NetLogo e agent-based models che tengo agli studenti del PhD di City.
Partiamo proprio da City. Va bene che non è un'università di punta ma nonostante G mantenga un'invidiabile serenità di fondo, avverto un'aria un po' troppo mesta fra altri colleghi, spesso esageratamente presi a notare le difficoltà e a vagheggiare una mitologica superiorità organizzativa, finanziaria o culturale di altre istituzioni. Lo sappiamo bene che il giardino del vicino è sempre più verde, eppure qui si auto-descrivono come un'aiuola spelacchiata infestata dalla gramigna in confronto ai giardini di Versailles nel loro massimo splendore. è un rosario di problemi e sofferenze: la vita è cara, viaggiare coi mezzi pubblici ancora di più (figurarsi con la macchina), il tempo necessario per raggiungere l'ufficio supera spesso l'ora, di affitto è meglio non parlarne, "non mi posso permettere una casa in centro", "non si riesce a trovare una sistemazione decente", "servono migliaia di sterline al mese, come può farcela un neo-assunto?", "anche la periferia è inarrivabile" e così via. ci manca solo un'epidemia! (ehm, questa non dovevo scriverla, dopo il triennio che abbiamo passato). intendiamoci, varie cose sono vere e Anna, la figlia del mio prof di matematica che mi ha serendipitosamente invitato a pranzo domenica, le paga sul serio 1800 sterline al mese (ma lavora alla City, che è spesso oscuro oggetto di desiderio dei miei colleghi). È un pianto greco che m'intristisce, una sempiterna lamentatio, sempre a trovare scuse per corridoi e uffici vuoti dato che i colleghi per sparagnare evitano di venire, sempre a sognare di cambiare università, per prendere di più, per avere studenti migliori mentre i loro sono tutti BAME (Black Asian Middle-East), per potersi permettere una casa, financo per potersi permettere una vita dato che questa, nella descrizione che ne fanno, è una via crucis lastricata di rogne e fastidi e rotture di palle.
Non è la prima volta che menziono questo distopico stato mentale sul blog. la vulgata consueta descrive le università estere come paesi dei balocchi, dove scorre latte accademico e dolce come il miele è il copioso finanziamento. poi parli con i colleghi e, insomma insomma, ti viene il sospetto che non sia tutt'oro quello che sbrilluccica. in uno stridente contrasto, chi lavora qui spesso si sente in una trincea di povertà, scazzamento, delusione, desiderio di darsela a gambe levate verso dipartimenti più piccoli e in città più a misura d'uomo.
Fa storia a parte anche l'ossessione per i ranking, le classifiche, quegli elenchi che dicono che uno è bravo, al top, l'altro a mezza via, e il terzo, francamente, 'na ciofeca. qui tutti favoleggiano di UCL, i cugini ricchi, "là sì che mi piacerebbe lavorare...", loro hanno ranking, paghe, strutture, studenti migliori, brillano come stelle nella notte in cui pare piombato il tuo datore di lavoro. I pasdaran del ranking li conosco bene, ce ne sono di totalmente imbevuti anche a Ca' Foscari o nel mio dipartimento, con alcuni di loro rischi che nemmeno ti guardino se confessi di venire da un'università "cattiva" o di aver collaborato con colleghi che hanno provenienze mediocri, men che peones! a ma pare uno strano mondo per vari motivi: uno è che l'educazione serve appunto per discernere le cazzate dalle cose serie, la sostanza dalle apparenze, e dovrebbe insegnarti che giudicare una persona o un'istituzione o uno studente richiede tempo e finezza, non basta un'occhiata, un'annusatina o un ranking stilato da uno che qualcosa sa e molto ignora od omette. proprio perché ci hanno addestrato per anni dovremmo essere in grado di andarci coi piedi di piombo, provare ad andare in profondità, non applicare il "se non ha il look, non cook" alla carlona. e poi, questa mania classificatoria chiaramente gli intasa il cervello: questo quartiere è 16% più caro di quest'altro, un appartamento in zona 3 della metro fa schifo (ma chi lo ha detto?), per fare il pendolare ci potrei mettere 13 minuti di meno, mi secca pagare il 23.5% di council tax e se abitassi altrove... nel tentativo di ottimizzare, questa gente si rovina la vita architettando escamotages un po' pirla, talmente protesi a migliorare una vita che forse avranno in futuro da ridursi a sputtanare senza pietà la vita che stanno vivendo qui e ora.
sempre a proposito di università, sono stato alla mitica LSE (London School of Economics, che gronda fama e galloni, per quel che mi riguarda fin dai tempi in cui Popper ci lavorava). ho seguito la presentazione di un libro scritto da due colleghi italiani sui problemi dell'Italia, con un focus su mancanza di meritocrazia e sui motivi che ci hanno portato al declino economico. il volume, edito dal Mulino, bello e ben documentato, era commentato oltre che dagli autori anche da altri "italiani" che lavorano in UK e da un esponente della fondazione Bruno Leoni. ora, sapevo bene che la LSE è una delle principali trincee del liberalismo economico: poca spesa pubblica (anzi. meglio niente!), deregulation, concorrenza spinta, animal spirits e entrepreneurship a tutta manetta e massimo laissez faire (l'approccio che ritiene che il mercato bisogna lasciarlo fare senza inutili orpelli e controlli, e alla fine le cose andranno meglio per tutti). si può discutere, ma va bene così, è la LSE baby! eppure, nella discussione sono rimasto colpito dalla virulenza degli argomenti, specie portati avanti dagli "italiani" che lavorano all'estero e che sono stati molto più estremi degli stessi autori del libro. evvai a dire che l'Italia è tutto un magna-magna, inefficienza e clientelismo, che il declino è colpa della mafia, dei sindacati, della chiesa, del fascismo che in fondo era socialismo (?), tutti indistintamente colpevoli di non aver mai abbracciato l'ideologia liberista, W la Thatcher!, gente che ha rovinato un paese da anni, decenni, secoli. sì, perché a un certo punto, una salta fuori con l'osservazione ovvia (per lei) che la colpa originale risale alle corporazioni medievali, gruppi di lavoratori che si univano, progenitrici degli attuali sindacati e corruttrici delle menti degli operai che a partire dai secoli bui hanno cominciato a coltivare idee strane, diritti, salvaguardie, agitazioni... mi ha sorpreso questo fare di tutta un'erba (libero-mercatista) un fascio! e queste critiche, quasi rancorose, venivano principalmente da chi in Italia è nato e magari ci ha studiato e poi è venuto qui a combattere con le tasse, i disagi, i prezzi troppo alti, a vivere in quelle lande desolate della zona 3 e 4, infestate da proletari nulla tenenti e meno facenti. a un certo punto, mi sono alzato, ho pensato che ci siamo tenuti fin troppe serpi in seno, quando è troppo è troppo, fortuna mi è venuta fame e sono andato a mangiare nella mensa universitaria del Goodenough!
L'ingresso di "sua maestà" London School of Economics a Aldwych |
un altro inevitabile passaggio londinese è legato alla pioggia che finalmente mi sono beccato come da copione. ieri sera, all'uscita dall'ufficio, piovigginava. qui, in generale, la cosa non è presa sul serio e c'era il solito via vai di gente in strada, tutti regolarmente senza ombrello, e di fronte a questo cattivo esempio mi sono tirato su il cappuccio sul berretto di lana e avanti come se niente fosse mi sono diretto al Sainsbury's Local che si trova di fronte al Rhind building per comprare qualcosa per pasti veloci e colazioni. finita la spesa ho ripreso a camminare, non rendendomi conto subito, protetto com'ero dal doppio strato di coperture, che adesso pioveva di brutto, come te la molla qui, senza grandi gioccioloni ma fitta fitta e fina fina. non ci potevo fare nulla, ma sono arrivato in camera inumidito per benino e ho messo a rotazione sul termosifone giaccone e poi tutto quello che avevo indosso, guanti e berretto incluso. l'indomani mi sono comprato un ombrellino pieghevole, prevedono pioggia da qui alla fine della settimana, ogni santo giorno, è meglio che mi arrenda e che mi attrezzi alla bisogna.
forse noi italiani siamo incorreggibili e, per una volta, ho deciso di andare a mangiare nell'unico ristorante "esterno" che mi hanno consigliato al Goodenough, abbandonando la mensa aziendale che finora mi ha sempre rifocillato, salvo i rari casi in cui ero incastrato per bene in ufficio e non potevo che accodarmi agli altri colleghi con la tristissima vaschetta comprata al take away. ieri sera sono andato al "Ciao Bella" a poche centinaia di metri da dove dormo, trattoria italiana, alle pareti foto della Loren, Sordi, la Lollobrigida e il maresciallo Vittorio De Sica, Totò, Audrey Hepburn e Gregory Peck in Vespa in vacanza a Roma, Mastroianni... Potenza delle immagini! non avevo prenotato e non avevano posto ma poi, visto che le cameriere parlavano fra loro in italiano, attacco anche io con "nemmeno se faccio in fretta?" capiscono che sono dei "nostri" e, pochi secondi di parlottamento dopo, mi liberano un tavolo da 5, con l'intesa che glielo ritorno in meno di un'ora (che mi basta e m'avanza alla grande con la perenne fame che mi ritrovo). il locale è accogliente, caldo, familiare e rumoroso senza essere molesto, ordino un minestrone bello caldo, un bicchiere di vino delle Marche sfuso, pollo alla diavola con verdura, chiedendo di avere fagiolini e spinaci al posto del contorno di patate. sono tutti molto gentili, mi gusto il minestrone, il pollo è fatto bene e me lo portano con le patate (ma come? non eravamo d'accordo altrimenti?) prima che avessi il tempo di parlare la cameriera se ne accorge e poco dopo mi porta di sua iniziativa due piattini a parte con generose porzioni di fagiolini e spinaci, "questi li offre la casa", e mi finisco il pollo in un sano tripudio di verdurine rinforzato dalle aggiunte. sono stato bene, sentimentalmente più vicino a casa (i titolari erano di Napoli ma sempre casa è, in un certo senso). alla fine, resto solo un po' sorpreso del conto, fanno 43 sterline che non è poco! non mi sono nemmeno sforzato di capire, può anche darsi che abbiano sbagliato, e non volevo rovinare il momento. ma ho pensato che è 5 volte quello che spendo al cafè della casa dello studente. non mi azzardo a confrontare due cose diverse ma il canyon che separa i costi delle due opzioni è tale che perfino la saudade culinaria di casa, per così dire, lascia spazio a qualche sano dubbio di opportunità. W il bel paese sempre e comunque!
ps. Il 9 marzo sono andato a "Luce e limoni", evidentemente perseverare non ha senso o non sono stato fortunato, ecco quello che con solenne understatement ho lasciato su una recensione di google maps:
Perhaps I was expecting too much and added the third star after I have seen other better reviews. I felt food was ok, average quality and taste, but in no way unforgettable, i had rigatoni with tomato, aubergines and ricotta" and fish with potato puree + 1 glass of wine and S Pellegrino sparkling water (2 courses). A few other details, where sometimes lie insights, prompted me to think that there is space to improve: light was too feeble, the menu was xeroxed and so pale that it was barely visible... I paid over 55 pounds and, even though I may not yet be entirely accustomed to London prices, I felt it was definitely more than what would be fair.
Il bel "bugnato" delle pareti esterne del Goodenough e, sopra, la biblioteca. |
Anche Elisabetta e Filippo sono venuti in visita... |
Una veduta della Great Hall, dove si tengono eventi, balli e ci si trova per pranzo e cena, di tanto in tanto. |
All'altro capo della Great Hall: ora di Londre e ora dell'Impero (!) |
sono da più di un'ora in attesa della valigia a Heathrow, non siamo in tanti ed evidentemente molti viaggiatori avevano scelto di usare solo bagagli a mani o trolley, alquanto saggiamente pare. abbiamo chiesto info e ci hanno detto che può servire "up to one hour", c'è traffico, non hanno consegnato ancora nulla. ok, ma l'ora è passata, anche al nastro trasportatore gira la testa a furia di mulinare come una trottola senza senso e, francamente, non so se andare in centro all'hotel e amen, riempiendo i moduli e sperando che la valigia me la portino loro o attendere ancora un po' che se poi il bagaglio arriva è una rogna di meno.
stamattina era andato tutto bene, partenza regolare, volo come un biliardo, parlo con Walter seduto di fianco, tratti inconsueti con occhi azzurri, capelli rossi rasati sulle tempie e microscopico chignon, barba rossa pure quella ben curata, sulla trentacinquina. scambiamo due parole quando la hostess ci chiede nuts or cookies and coffee or tea, ma a un certo punto mi chiede che cosa faccio e gli dico che insegno matematica o, meglio, computational something a economia, modelli ad agenti e viene fuori che è un consulente "informatico" perito elettronico laureato in psicologia, in trasferta per una convention coi compagni di lavoro che riempiono la fila del BA 597. lavorano con PMI, ne analizzano i processi, studiano interfacciamenti con i sistemi gestionali della ditta e li modificano o personalizzano per renderli adeguati alle loro necessità, se serve fanno il debug anche dei processi cognitivi e mentali dei clienti e del titolare, indicano cose che fanno ma non dovrebbero fare o cose che vanno fatte mentre per ora mancano all'appello, sono dei consulenti indipendenti, Walter ispira fiducia, giusto ritmo nel raccontare, mostra passione e concede spaziature per l'interlocutore, cerco da sempre di fare lo stesso anche io, finisco per raccontargli anche qualcosa di modelli ad agenti, NetLogo e complessità. quando usciamo da tunnel al Terminal 5, saluto lui e i suoi colleghi e mi allunga un biglietto da visita, chapeau, è forse una cosa vintage ma non c'era altro verso e mi riprometto di mandargli un saluto...
ecco, sono le 11.07, 82 minuti dopo l'atteraggio e la mia valigia Spalding, vagamente sfinita ma munita di cintura di sicurezza contenitiva a combinazione a 4 cifre, ancora ferma al settaggio di fabbrica ``0000'', è arrivata, la raccolgo dal nastro e via verso il controllo automatico del passaporto elettronico.
cammino e trovo la Piccadilly line, chiacchiero con uno che supervisiona gli ingressi, qui è tutto self-service, barriere che si aprono col touch, cancelli automatici, dozzine di biglietterie "credit cards only", pare che non vogliano farti parlare con nessuno, suggerendo di fatto un ognun per sè che per certi versi è vagamente triste e mi ricorda i luddisti che in questo paese combattevano contro i posti di lavoro rubati dalla modernità e dalle innovazioni. sicuro, non è che tutti gli umani che ti parlano dalle biglietterie siano fenomeni di simpatia ma questo è bravo, più o meno della mia età, pur col rischio di sbagliare di un decennio visto che è un indiano, (del subcontinente non un apache!) ma magari è londinese da tre generazioni! il suo inglese è aperto, speziato, col giusto ritmo e comprensibile fino all'ultima sillaba. mi spiega come usare la Oister card e, forse, com fare una foto dell'estratto conto per rendere conto a Sara e all'amministrazione di unive che ho usato i mezzi pubblici. partiamo alle 11.25 e adesso sarà un lunga galoppata su vagoni efficienti e un po' frusti fino a Russel Square, nel cuore di Bloomsbury.
già, mi sono ricordato che, oltre al Britsh, al Charles Dickens musuem e al Postal museum, tutti posti che voglio andare a vedere o rivedere, Bloomsbury è la patria di Keynes. non ne avevo consapevolezza prima, ma in quello scrigno delle meraviglie ripieno di ogni ben di Dio che è il mio zainetto, c'è un fascio di fogli, stampati in un generoso corpo 12, col libro di Justyn Walsh, "Keynes and the Market", una storia sul mirabolante talento finanziario di Maynard, uno che lascio in eredità 30 milioni di euro odierni anche se se n'è andato a soli 63 anni. Intanto "Mind the gap" a Hounslow East è un audio-meme che mi riporta alla giovinezza, quando s'imparava l'inglese minimale, quello da Robinson Crusoe catapultati in una Londra che prima o abbiamo tutti sognato di visitare usando fieramente le nostre belle frasi scolastiche.
In aereo mi sono letto introduzione e primo capitolo del libro, che ripercorre un po' la biografia di Keynes, che è stato artefice e ha subito l'influenza di quel coacervo di artisti e fuori di testa, con con Virgina Woolf e altri che a Bloosmbury, a loro modo, rivoluzionarono i tempi vittoriani che volgevano al termine, anche per gli effetti di due guerre mondiali che il secolo breve ci ha portato e che tanto hanno dato da scrivere a Keynes.
sarà una buona lettura, molto adatta al genius loci, Walsh scrive in un inglese witty e sofisticato, obbligandomi a segnare due-tre parole a pagina che mi riprometto di studiare, vocabolario alla mano, non appena ritrovo internet, visto che voglio capire bene il senso e gustare anche la ricchezza di una lingua spinta oltre le 300 solite parole che usiamo frequantemente ma che asciugano la capacità di esprimersi in quella che per molti, e sicuramente per me, resta una lingua aliena più che straniera.
Russel Square, memorizzo che ci ho messo un'ora per quando tornerò indietro, resisto alla tentazione di andare a vedere la piazza alberata e giro a destra, cerco i Coram Fields, navigando uno dei pochi posti di Londra in cui sono orientato senza mappa e senza google grazie a soggiorni ormai sfocati al Penn Club che sta in una qualche laterale della piazza e all'Imperial Hotel. poche centinaia di metri dopo trovo il Goodenough College, entro, chiedo, mi confermano che quella in cui mi trovo è il college che ospita gli studenti e che l'albergo aggregato sta pochi civici più in là.
Sono in un angolo bello e tranquillo di questa tentacolare metropoli, per una volta quando esco dalla strana stazione della metro non ho nemmeno pensato "come mai è tutto così veloce a Londra?'', la città oggi viaggia a ritmo normale, per una volta in sicnrono col grigiore del cielo nuvoloso. Let's go!
ps. è probabile che questo post che ho scritto (calembour: post scriptum, no?), in realtà, sia una lettera a Cesira e ripercorrendo la nostra storia mi vien voglia di scrivere per me, (per chi bazzica questi post) e specialmente per lei quello che capita in questi giorni. Bye Bye, my love!