Saturday, March 04, 2023

Goodenough? Parecchio!

sono le 8.50 e mi sono seduto su una delle sedie imbottite della biblioteca del Goodenough College, cuoio verde e borchie, schienale dritto, a suggerire una posizione corretta, è sabato mattina e siamo solo in due, io e una ragazza castano chiara, composta e concentrata, manco a dirlo accomodata in un posto che sembra il ``suo'', visto la naturalezza con cui ha disposto appunti, evidenziatore, libri e ha appoggiato zaino e giubbotto in una poltrona li vicino. quando si alza noto che porta un abito di lana viola, aderente e lungo fino ai polpacci, che lascia intravedere le forme, ha in mano una tazza, la cosa mi tranquilizza dato che anche io ero entrato, col dubbio di fare una cosa illegale, col mio Earl Gray al latte che mi ero preso dopo la colazione. spesso nelle biblioteche il consumo di bevande e cibi è vietato ma nella Charles Parsons Library and Reading Room sembra consentito e mi accingo, sipping my tea, a cambiare il piano che prevedeva che sistemassi le slides per il seminario di martedi prossimo. Enough is enough e dopo giorni in cui resto ``incantato'' dalla sistemazione alberghiero-studentesca di questa trasferta, la vista di questa biblioteca, classica, vittoriana, quiet and shining come i portalampade sfavillanti di ottone dorato, accogliente e austera nello stesso tempo, mi ha fatto cambiare idea: il post è sul Goodenough!


Il bel "bugnato" delle pareti esterne del Goodenough e, sopra, la biblioteca.

Tecnicamente il mio alloggio è al Goodenough Hotel, Mecklenburgh Square, avevo prenotato con grande anticipo approfittando dei prezzi scontati del Black Friday deal. Non è una sistemazione a buon mercato ma, per dire, pago anche meno di quanto mi era servito per dormire a Milano in occasione di una conferenza, siamo sui 150 euro/notte. La camera è una singola, un po' piccolina, pulitissima e ben attrezzata (ad esempio, ci sono phon e bollitore fornito di bustine di caffè e filtri per il the e carta intestata per scrivere lettere, una sciccheria d'altri tempi!). La dimensione ridotta della stanza è l'unico difetto, sono in una dependance staccata, al civico 25, è proprio un altro palazzo dove ci sono solo camere, senza alcuna reception. all'ingresso ci si sente avvolti dalla generosa temperature tipica delle case inglesi, trattenuta dalla spessa moquette in ottimo stato, che quasi consente ai passi di rimbalzare e profuma lievemente di pulito. io sono al terzo piano, e dopo le prime due rampe su una scala ampia, m'inerpico secco su una scalette più stretta e attorcigliata, arrivo sempre alla mia porta, 533, con un filetto di fiatone e con i muscoli delle gambe che iniziano a pompare.

mi sposto su un altro tavolo, dagli enormi finestroni della biblioteca compare pure il sole, merce non del tutto ovvia in questa città, il soffitto sarà alto 8-9 metri, fresh air per fresh minds, speriamo. è entrata un'altra ragazza, borsa di stoffa LSE, maniche corte, è ora seduta a due sedie da me, ``am I too noisy?'' le chiedo, per essere certo che il ticchettio sulla tastiera non la infastidisca, ma risponde che è tutto ok. la ragazza in viola nel frattempo è uscita con un ragazzo mediterraneo, con bella barba, che è venuto a prenderla e le ha dato un bacio.

quella simpatica carogna dell'allarme per il glucosio in salita mi avvisa che è ora di farsi due passi: anche se mi ero limitato a una fetta di toast, c'era da aspettarselo dopo pork sausage, mushrooms, bacon, fried egg e tazzone di caffè. let's go! conosco bene la zona e faccio un giretto artificiosamente lungo per Brunswick Square e i campetti da calcio per bambini di Coram Fields. quando rientro la glicemia è a 150, ben dentro i binari in cui dev'essere, e forse questa strategia peripatetica, oltre a tutto il resto, snebbia i pensieri e riattiva la circolazione.

io abito all'hotel ma la Mecklenburgh Square è riempita dall'enorme mole del Goodenough College, che si chiama ``London House''. è una casa dello studente, piena di storia che potete leggere sul sito, sembra nella mia immaginazione il castello di Hogwarth (potenza delle icone, visto che non ho ancora letto la saga del maghetto). Un plastico in biblioteca mostra la struttura, con ampio cortile interno, dove risiedono non so quanti studenti e dove, se voglio, posso venire a fare colazione e a pranzare. non c'è una mensa vera e propria ma il Freddie's Cafè serve allo scopo, ed è frequentato anche dagli studenti che fanno colazione pure loro o mangiano al self-service for lunch and dinner. il metodico che è in me ha immediatamente eletto questo posto a fonte di nutrimento eliminando il problema di cosa mangiare in una città alimentarmente piena di stranezze, cineserie, fusioni più o meno probabili, pastrocci tanto succulenti alla vista quanto indecifrabili al gusto, una wunderkammer orientaleggiante di sapori e ingredienti (e per chi fa conta-carboidrati, my goodnees, è un incubo). da Freddie's invece, vedi 3-4 cose calde, te le scegli, due contorni serviti, oppure un solo side e una salad fai da te quanto te ne pare. io sono venuto a mangiare qui tutte (dicesi tutte!) le volte che potevo anche perché con 8.50 pounds prezzo fisso spendo meno che dalla Marisa. se proprio sono in the mood mi prendo pure la birra, alternando la pinta e la mezza pinta di Camden Pale, una birretta moderna e londinese, fruttata e divertente che rischia di diventare d'ordinanza finché sono qui. E se proprio ve la devo dire tutta, segnatevi il posto: all'ingresso basta dire che vi stanno facendo la camera e vi hanno mandato dall'hotel, guardate questo castello delle meraviglie, entrate da Freddie's con nonchalance e dite che siete member, ``I am at the hotel'', scegliete il piatto e siete già della famiglia 8.5 sterling! dimenticavo, la birra si paga a parte...



Anche Elisabetta e Filippo sono venuti in visita...

Il college trasuda quella good old England, vittoriana, o forse elisabettiana, che la mia generazione ha studiato sui libri e nelle lezioni d'inglese (non so che cosa pensino i miei studenti, chiederò), tutto è cool Britannia here e mi pare di essere a Oxford e Cambridge (dove non sono mai stato seriamente). ho scattato una marea di foto, sperando forse di catturare l'anima istituzionale e civilized di un posto austero come questo, dove si formano generazioni di studenti, poi cittadini, poi civil servant (e anche lestofanti, non tutte le ciambelle escono col buco).

l'altro ieri sera, poi, quando sono arrivato per cenare, Freddie's era deserto, panico, keep calm, ``they serve the dinner in the Great Hall'' mi dice una coppia di anziani signori british che si avvia lungo una scala. li seguo e capito in una meraviglia di salone delle feste, con un pianoforte a coda e una dozzina di grandi tavolati dove si siedono studenti e ospiti dell'albergo, dopo che si sono riempiti il vassoio alla tavola calda self-service, accurata come al solito e posizionata in una stanza all'estremità del salone. uno, penso che l'ho scampata e che mangerò anche stasera; due, ``ma dove sono capitato?'' con il naso all'insù a guardare le volte l'orologio a stucco con fregi dorati e doppia serie di lancette, una per l'ora di Londra e una per quella di qualche fuso sperduto dell'impero britannico; guardo anche i sobri ritratti dei presidenti del college e tre, facciamoci coraggio e andiamo a mangiare! finisco, per prendere alquanto irrituali tacos con cavolfiore impanato, patate fritte e insalata + pezzetto di pane ``trafugato'', visto che in teoria era possibile abbinarlo solo alla soup.

Una veduta della Great Hall, dove si tengono eventi, balli e ci si trova per pranzo e cena, di tanto in tanto.

mentre mangio penso che questa cosa qui, qualsiasi cosa sia, il college, il salone, i secoli di storia, sono la rappresentazione della quintessenza dell'università di prestigio inglese, quella in cui gli studenti erano nobili e avevano fatto le superiori a Eton, la comunità dei fellow sorseggiava porto e fumava il sigaro, dove qualche Keynes amministrava fondi e gestiva donazioni ed eredità per assicurare all'istituzione i mezzi per fornire un livello simile di educazione e, diremmo ora, di servizi. troppo lirico? sì, è probabile: il Goodenough non è il King's, parva set apta mihi, eppure credo che l'idea sia la stessa: gli studenti, ora come allora, non diventeranno tutti Churchill o Byron, ma sperimenteranno un modo di studiare e vivere l'università che è diverso dal nostro, dove pure io ho conosciuto in altri modi persone, strumenti di indagine e opere dell'intelletto che mi hanno incendiato e reso quello che sono.

All'altro capo della Great Hall: ora di Londre e ora dell'Impero (!)

conto le persone in biblioteca, siamo saliti a 8, ci saranno 80 posti, spaziature e ossigenazioni sono assicurate, io sto bene, un filo di rimorso per le slides (recupererò...) ma sento un bel calduccio e realizzo che mi sono seduto vicino a una nicchia dove un termosifone di ghisa fa il suo benedetto dovere. ho scoperto la Library oggi, a tre giorni dal mio arrivo, e credo che non la mollerò facilmente fino a sabato prossimo quando tornerò a casa. avevo fatto lo stesso anche di recente a Palermo quando ero stato in un'altra casa dello studente, a S. Giovanni degli Eremiti, e anche là avevo finito per stare nell'aula studio, diversa e magnifica pure quella, per ore.

per concludere, anche questo avviso appeso alla porta, mi sembra mirabile: ``Library opening hours. The library is open 24 hours. Your librarians, Carolyne and Tamar''

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