Tuesday, March 07, 2023

London roller coaster

Com'è forse ovvio, dato che mi capita in ogni viaggio, Londra comincia a sfrangiarsi in una serie di esperienze diverse, che io attribuisco alla città ma che in realtà sono legate alle cose che faccio, alle persone con cui interagisco e alle suggestioni e immagini che mi si parano davanti. Oggi è giorno di riunioni con il vice-dean for internationalization, seminario e, infine, tre ore di lezioni al corso di NetLogo e agent-based models che tengo agli studenti del PhD di City.

Partiamo proprio da City. Va bene che non è un'università di punta ma nonostante G mantenga un'invidiabile serenità di fondo, avverto un'aria un po' troppo mesta fra altri colleghi, spesso esageratamente presi a notare le difficoltà e a vagheggiare una mitologica superiorità organizzativa, finanziaria o culturale di altre istituzioni. Lo sappiamo bene che il giardino del vicino è sempre più verde, eppure qui si auto-descrivono come un'aiuola spelacchiata infestata dalla gramigna in confronto ai giardini di Versailles nel loro massimo splendore. è un rosario di problemi e sofferenze: la vita è cara, viaggiare coi mezzi pubblici ancora di più (figurarsi con la macchina), il tempo necessario per raggiungere l'ufficio supera spesso l'ora, di affitto è meglio non parlarne, "non mi posso permettere una casa in centro", "non si riesce a trovare una sistemazione decente", "servono migliaia di sterline al mese, come può farcela un neo-assunto?", "anche la periferia è inarrivabile" e così via. ci manca solo un'epidemia! (ehm, questa non dovevo scriverla, dopo il triennio che abbiamo passato). intendiamoci, varie cose sono vere e Anna, la figlia del mio prof di matematica che mi ha  serendipitosamente invitato a pranzo domenica, le paga sul serio 1800 sterline al mese (ma lavora alla City, che è spesso oscuro oggetto di desiderio dei miei colleghi). È un pianto greco che m'intristisce, una sempiterna lamentatio, sempre a trovare scuse per corridoi e uffici vuoti dato che i colleghi per sparagnare evitano di venire, sempre a sognare di cambiare università, per prendere di più, per avere studenti migliori mentre i loro sono tutti BAME (Black Asian Middle-East), per potersi permettere una casa, financo per potersi permettere una vita dato che questa, nella descrizione che ne fanno, è una via crucis lastricata di rogne e fastidi e rotture di palle.

Non è la prima volta che menziono questo distopico stato mentale sul blog. la vulgata consueta descrive le università estere come paesi dei balocchi, dove scorre latte accademico e dolce come il miele è il copioso finanziamento. poi parli con i colleghi e, insomma insomma, ti viene il sospetto che non sia tutt'oro quello che sbrilluccica. in uno stridente contrasto, chi lavora qui spesso si sente in una trincea di povertà, scazzamento, delusione, desiderio di darsela a gambe levate verso dipartimenti più piccoli e in città più a misura d'uomo. 

Fa storia a parte anche l'ossessione per i ranking, le classifiche, quegli elenchi che dicono che uno è bravo, al top, l'altro a mezza via, e il terzo, francamente, 'na ciofeca. qui tutti favoleggiano di UCL, i cugini ricchi, "là sì che mi piacerebbe lavorare...", loro hanno ranking, paghe, strutture, studenti migliori, brillano come stelle nella notte in cui pare piombato il tuo datore di lavoro. I pasdaran del ranking li conosco bene, ce ne sono di totalmente imbevuti anche a Ca' Foscari o nel mio dipartimento, con alcuni di loro rischi che nemmeno ti guardino se confessi di venire da un'università "cattiva" o di aver collaborato con colleghi che hanno provenienze mediocri, men che peones! a ma pare uno strano mondo per vari motivi: uno è che l'educazione serve appunto per discernere le cazzate dalle cose serie, la sostanza dalle apparenze, e dovrebbe insegnarti che giudicare una persona o un'istituzione o uno studente richiede tempo e finezza, non basta un'occhiata, un'annusatina o un ranking stilato da uno che qualcosa sa e molto ignora od omette. proprio perché ci hanno addestrato per anni dovremmo essere in grado di andarci coi piedi di piombo, provare ad andare in profondità, non applicare il "se non ha il look, non cook" alla carlona. e poi, questa mania classificatoria chiaramente gli intasa il cervello: questo quartiere è 16% più caro di quest'altro, un appartamento in zona 3 della metro fa schifo (ma chi lo ha detto?), per fare il pendolare ci potrei mettere 13 minuti di meno, mi secca pagare il 23.5% di council tax e se abitassi altrove... nel tentativo di ottimizzare, questa gente si rovina la vita architettando escamotages un po' pirla, talmente protesi a migliorare una vita che forse avranno in futuro da ridursi a sputtanare senza pietà la vita che stanno vivendo qui e ora. 

sempre a proposito di università, sono stato alla mitica LSE (London School of Economics, che gronda fama e galloni, per quel che mi riguarda fin dai tempi in cui Popper ci lavorava). ho seguito la presentazione di un libro scritto da due colleghi italiani sui problemi dell'Italia, con un focus su mancanza di meritocrazia e sui motivi che ci hanno portato al declino economico. il volume, edito dal Mulino, bello e ben documentato, era commentato oltre che dagli autori anche da altri "italiani" che lavorano in UK e da un esponente della fondazione Bruno Leoni. ora, sapevo bene che la LSE è una delle principali trincee del liberalismo economico: poca spesa pubblica (anzi. meglio niente!), deregulation, concorrenza spinta, animal spirits e entrepreneurship a tutta manetta e massimo laissez faire (l'approccio che ritiene che il mercato bisogna lasciarlo fare senza inutili orpelli e controlli, e alla fine le cose andranno meglio per tutti). si può discutere, ma va bene così, è la LSE baby! eppure, nella discussione sono rimasto colpito dalla virulenza degli argomenti, specie portati avanti dagli "italiani" che lavorano all'estero e che sono stati molto più estremi degli stessi autori del libro. evvai a dire che l'Italia è tutto un magna-magna, inefficienza e clientelismo, che il declino è colpa della mafia, dei sindacati, della chiesa, del fascismo che in fondo era socialismo (?), tutti indistintamente colpevoli di non aver mai abbracciato l'ideologia liberista, W la Thatcher!, gente che ha rovinato un paese da anni, decenni, secoli. sì, perché a un certo punto, una salta fuori con l'osservazione ovvia (per lei) che la colpa originale risale alle corporazioni medievali, gruppi di lavoratori che si univano, progenitrici degli attuali sindacati e corruttrici delle menti degli operai che a partire dai secoli bui hanno cominciato a coltivare idee strane, diritti, salvaguardie, agitazioni... mi ha sorpreso questo fare di tutta un'erba (libero-mercatista) un fascio! e queste critiche, quasi rancorose, venivano principalmente da chi in Italia è nato e magari ci ha studiato e poi è venuto qui a combattere con le tasse, i disagi, i prezzi troppo alti, a vivere in quelle lande desolate della zona 3 e 4, infestate da proletari nulla tenenti e meno facenti. a un certo punto, mi sono alzato, ho pensato che ci siamo tenuti fin troppe serpi in seno, quando è troppo è troppo, fortuna mi è venuta fame e sono andato a mangiare nella mensa universitaria del Goodenough!

L'ingresso di "sua maestà" London School of Economics a Aldwych 

un altro inevitabile passaggio londinese è legato alla pioggia che finalmente mi sono beccato come da copione. ieri sera, all'uscita dall'ufficio, piovigginava. qui, in generale, la cosa non è presa sul serio e c'era il solito via vai di gente in strada, tutti regolarmente senza ombrello, e di fronte a questo cattivo esempio mi sono tirato su il cappuccio sul berretto di lana e avanti come se niente fosse mi sono diretto al Sainsbury's Local che si trova di fronte al Rhind building per comprare qualcosa per pasti veloci e colazioni. finita la spesa ho ripreso a camminare, non rendendomi conto subito, protetto com'ero dal doppio strato di coperture, che adesso pioveva di brutto, come te la molla qui, senza grandi gioccioloni ma fitta fitta e fina fina. non ci potevo fare nulla, ma sono arrivato in camera inumidito per benino e ho messo a rotazione sul termosifone giaccone e poi tutto quello che avevo indosso, guanti e berretto incluso. l'indomani mi sono comprato un ombrellino pieghevole, prevedono pioggia da qui alla fine della settimana, ogni santo giorno, è meglio che mi arrenda e che mi attrezzi alla bisogna.

forse noi italiani siamo incorreggibili e, per una volta, ho deciso di andare a mangiare nell'unico ristorante "esterno" che mi hanno consigliato al Goodenough, abbandonando la mensa aziendale che finora mi ha sempre rifocillato, salvo i rari casi in cui ero incastrato per bene in ufficio e non potevo che accodarmi agli altri colleghi con la tristissima vaschetta comprata al take away. ieri sera sono andato al "Ciao Bella" a poche centinaia di metri da dove dormo, trattoria italiana, alle pareti foto della Loren, Sordi, la Lollobrigida e il maresciallo Vittorio De Sica, Totò, Audrey Hepburn e Gregory Peck in Vespa in vacanza a Roma, Mastroianni... Potenza delle immagini! non avevo prenotato e non avevano posto ma poi, visto che le cameriere parlavano fra loro in italiano, attacco anche io con "nemmeno se faccio in fretta?" capiscono che sono dei "nostri" e, pochi secondi di parlottamento dopo, mi liberano un tavolo da 5, con l'intesa che glielo ritorno in meno di un'ora (che mi basta e m'avanza alla grande con la perenne fame che mi ritrovo). il locale è accogliente, caldo, familiare e rumoroso senza essere molesto, ordino un minestrone bello caldo, un bicchiere di vino delle Marche sfuso, pollo alla diavola con verdura, chiedendo di avere fagiolini e spinaci al posto del contorno di patate. sono tutti molto gentili, mi gusto il minestrone, il pollo è fatto bene e me lo portano con le patate (ma come? non eravamo d'accordo altrimenti?) prima che avessi il tempo di parlare  la cameriera se ne accorge e poco dopo mi porta di sua iniziativa due piattini a parte con generose porzioni di fagiolini e spinaci, "questi li offre la casa", e mi finisco il pollo in un sano tripudio di verdurine rinforzato dalle aggiunte. sono stato bene, sentimentalmente più vicino a casa (i titolari erano di Napoli ma sempre casa è, in un certo senso). alla fine, resto solo un po' sorpreso del conto, fanno 43 sterline che non è poco! non mi sono nemmeno sforzato di capire, può anche darsi che abbiano sbagliato, e non volevo rovinare il momento. ma ho pensato che è 5 volte quello che spendo al cafè della casa dello studente. non mi azzardo a confrontare due cose diverse ma il canyon che separa i costi delle due opzioni è tale che perfino la saudade culinaria di casa, per così dire, lascia spazio a qualche sano dubbio di opportunità. W il bel paese sempre e comunque! 


ps. Il 9 marzo sono andato a "Luce e limoni", evidentemente perseverare non ha senso o non sono stato fortunato, ecco quello che con solenne understatement ho lasciato su una recensione di google maps:

Perhaps I was expecting too much and added the third star after I have seen other better reviews. I felt food was ok, average quality and taste, but in no way unforgettable, i had rigatoni with tomato, aubergines and ricotta" and fish with potato puree + 1 glass of wine and S Pellegrino sparkling water (2 courses). A few other details, where sometimes lie insights, prompted me to think that there is space to improve: light was too feeble, the menu was xeroxed and so pale that it was barely visible... I paid over 55 pounds and, even though I may not yet be entirely accustomed to London prices, I felt it was definitely more than what would be fair.  

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