Saturday, June 25, 2022

Catanetna!

22.
Esco alle 9.15 dalla casa dello studente ben colazionato e mi dirigo in centro verso il duomo. Via Ventimiglia ha una sua strana centralità a Catania e si collega facilmente alla centuriazione romana e ai tracciati delle strade principali e rettilinee (come corso Sicilia, corso Italia, Via Etnea, Via Garibaldi, corso Vittorio Emanuele). La temperatura è alta, ma al mattino si resiste bene, anche perché ho appena abbandonato un ambiente sanamente refrigerato come il palazzo che mi ospita. Sento fin da subito un odor vago e via via sempre più intenso d'immondizia, capto anche brandelli di conversazioni dei passati che si domandano come mai non passino a raccogliere il materiale. Non sembrano nemmeno tanto indignati, percepisco una qualche forma d'ineluttabilità pattumesca, che ci vuoi fare? Giriamoci intorno e aspiriamo l'aria del mattino che odora di marciume (poi Alessio mi racconterà che è un'eterogenesi dei fini, tutta colpa della raccolta differenziata, iniziata senza che l'Azienda di servizi fosse pronta con conseguente debacle e sedimentazione di quintali di sacchetti e altro).  

Ci sono rivoli di "acqua" un po' ovunque e spesso ti piove in testa perché gli scarichi dei numerosi condizionatori sono dappertutto, spesso imbruttendo ulteriormente facciate che altrimenti avrebbeo pure una loro arcana bellezza decadente e un po' acciaccata. In qualche caso, l'acqua è raccolta nei grandi bottiglioni di plastica che riforniscono i distributori degli uffici, almeno così non si creano pozzanghere e fiumicciattoli sui marciapiedi che spesso sono molto stretti e consentono il passaggio a stento di due persone che si devono inzaccherare per forza.

Arrivo al duomo, godendomi quel po' ombra caratteristica e spessa che staziona in permanenza in edifici secolari come questi, la cappella di sant'Agata rifulge di luce che entra diretta in una vetrata gialla. Intuisco poco o nulla dello spazio architettonico tanto è forte l'effetto di controluce feroce che mi impedisce di cogliere altro che una grande giallo e un profondissimo nero.



Capisco anche perchè la puzza andava aumentando e via via insaporendosi man mano che mi avvicinavo al duomo. L'immondizia capillarmente sparsa nelle vie fa sempre la sua parte ma adesso trionfa il mercato del pesce, uno spettacolo visuale ed olfattivo pittoresco e vociante, con tanto di persone che assistono allo show da una specie di balaustra. Scorza dura e abbronzata, vedo gente ruspante che annaffia cassette, bidoni e contenitori improbabili pieni zeppi di pesce di ogni tipo, stivaloni, fiumi di acqua per provare, senza gran successo, a tenere fresco questo ben di dio, turisti che fanno le foto, una coriandolata di ombrellini multicolori provano a fare ombra formando una specie di toldo di grande cromaticità ed efficacia alquanto incerta e simile a quella dei litri di acqua fresca sversati sull'asfalto. I turisti sono affascinati, io francamete ho pensato allo SPISAL e all'HACCP e ho doverosamente ringraziato il mio sistema immunitario che solitamente mi consente di mangiare di tutto "dead or alive" senza pagare dazio (anche se qualche magagnetta forse nell'ultimo lustro l'ho avuta...) Gironzolo felice e leggo anche ben curiose frasi sui cartelli delle bancarelle che occupano diverse strade, cose fascinose e quasi esotiche dalle nostre parti come "Qui si può pagare con carta reddito di cittadinanza". Viaggiare apre sempre nuovi orizzonti e non fate gli spiritosi!

Un'altra inquadratura at https://twitter.com/paolopellizzari/status/1540706823686172675

Il cartello recita: "Qui si può pagare con carta reddito di cittadinanza"

Ok, per oggi ho fatto il mio, inversione a U, pranzo veloce al Cavaliere e direzione WEHIA (Workshop on Economic Heterogenous Interacting Agents), dalle 14.00 iniziamo a discutere di economia e di modelli vagamente eterodossi in cui gli agenti economici (io, te, noi, voi, tutti...) sono diversi e interagiscono fra di loro producendo (anche) gran confusione e qualche problema ma arrangiandosi pure molto meglio di come sembrerebbe secondo teorie molto razionali ed equilibristiche che vanno di gran moda nei posti chic. Ma questa è un'altra storia!

Alla sera cena sociale a Palazzo Manganelli Paternò Borghese, la raffica di nomi la dice lunga sulla famglia proprietaria di questo fastoso edificio in via Antonino di Sangiuliano. Torno che è quasi mezzanotte e, udite udite, quelli della raccolta dei rifiuti stanno sbancando una delle tante muraglie di spazzattura vicino a casa, portandosi via cumuli di sacchi e lasciando una nuvola di fetore (che permane bella stagna anche se la fonte se n'è andata.) 



24. 
Finiamo con le presentazioni verso le 15.00, veloce passaggio in Camplus per rinfrescarmi dai 36 gradi e mi preparo per la gita "rapida" sull'Etna. Appuntamento in via Garibaldi 39, siamo in 8, la nostra guida è Roberto. Occhiali spessi come i miei, chiacchiera di tutto e parla quell'inglese bello aperto che, in fondo in fondo, lo capisce salvo parole episodiche anche uno swahili. Con noi fra i veci ci sono Andrea, Simone, Mitja, Alba è in mezzo e fra i giovani annoveriamo Daniele, Violeta e Hector. Già, abbiamo a bordo anche tre adolescenti curiosi, entusiasti, sempre pieni di fame, gente che mette allegria e va più delle Duracell! Oltre che il Mongibello, mons jebel, la montagna delle montagne, saranno i protagonisti del pomeriggio. Per dirne una, Violeta (madrilena, credo quattordicenne) in pochi mesi ha imparato l'italiano guardando i film, youtube e leggendo libri (pare anche i "Malavoglia", da paura!) Snocciola congiuntivi e condizionali, parla e domanda senza macchia e senza paura. Stiamo insieme 5 ore e, forse, la pizzico solo quando chiede a Roberto "se è agradabile vivere a Catania". Agradabile, che non è nemmeno lo spagnolo agradable e siamo a distanza infinitesima da gradevole, fenomenale!

Roberto ci racconta tutto di crateri, lapilli, bombe, lava flow, eruzioni, disastri mancati e disastri riusciti, eruzione del 1669 e terremoto caterpillare del 1693 (che a dir la verità non fu colpa dell'Etna). Ha un modo avvolgente e cordiale di dirci le cose, intriso di scienza, simpatia e passione, Violeta se la cava pure in inglese: "cosa vuol dire flat?" e "cosa vuol dire basement?" e poco altro!

Sul bordo del cratere spento nei pressi del rifugio "Sapienza"

Il fiore della saponaria, pinata che vive solo qui e che venire usata per... fare il sapone!

Ci spostiamo in una valle che sa quasi di Slovenia duecento metri sotto il Sapienza. Nero, sfumature di nero, verde e sfumature di verde ovunque, i tafani mi morsicano nei pochi minuti in cui si scatenano quando sta per scendere il sole. Roberto ha portato arancini e una bottiglia di vino rosso per fare una merenda mentre guardiamo un tramonto in stile savana. L'Etna è una meraviglia e mi ripropongo di trovare un'altra occasione per assaporare di più e di meglio.



25.
La mensa della casa dello studente è chiusa il sabato e faccio colazione al Bar Fiorenza, consumo una siciliana fritta con acciuga e cappuccino (embe?), con vista sulla terra di nessuno dei pargheggi Ventimiglia-Repubblica, non è un posto chic ma sto seduto su uno dei due tavolini di ferro del marciapiedi, non avevo voglia di fare strada a caccia di finesse. In attesa del primo pomeriggio e di prendere l'Alibus per l'aeroporto di Fontanarossa, decido di andare a vedere il monastero benedettino di S Nicolò l'Arena e Sant'Agata al Carcere. La prima visita guidata inizia alle 10.00, pesto sulle gambe lungo la salita di via Sangiuliano, bordata di oleandri in fiore che spandono in aria una striscia di profumo caratteristico e pungente, tenue in apparenza ma deciso al punto  da cancellare l'endemica puzza di scoasse (a memoria è uno dei pochi punti in città in cui il profumo prevale sul resto).    

Il monastero è uno spettacolo, vi auguro di vederlo prima o poi. La nostra guida è Giovanni, ci  racconta secoli di storia (due domus romane, un salvataggio in extremis dall'eruzione con muri di lava che si sono accumulati su due lati, la ricostruzione dopo il terremoto e l'uso dei locali come aule scolastiche e palestre fino alla fine degli anni '70). Il complesso è stato recuperato dopo un lavoro mirabile dell'architetto Giancarlo De Carlo e io, ancora una volta dopo la Biblioteca Battiferri ad Urbino, trovo bellissime le idee messe in opera in biblioteca (ponti/strutture rimovibili e la possibilità, letteralmente, di studiare sopra le domus romane). 

 
Dettaglio della scala che porta al giadino dei novizi, elicoidale, una sfoglia ardita di cemento per salire sulla colata lavica.

Il chiostro interno "originale"

Sceso a Piazza Stesicoro provo a vedere se la chiesa di Sant'Agata al Carcere è aperta, non ho grandi speranze alle 12.30 ma invece ci trovo Alfonso che mi attende e che a modico prezzo mi guida in modo personalizzato. La cristiana Agata, giovane donna della nobiltà romana catanese, non ne vuole sapere di abiurare per ottenere il libellus, la certificazione che serviva per non avere noie religiose. Finisce martire nel 251, dopo tormenti crudeli (stranamente, non è la prima volta che il blog contiene storie di ragazze coraggiose). Alfonso contstualizza tutto, il palazzo pretorio e le sue carceri che digradano sull'anfiteatro, la crisi del tardo impero romano, il tentativo di rimuovere il "problema" dei cristiani, le mura spagnole, il culto agatino e la festa che la devozione popolare tributa alla santa con le candelore ogni febbraio. 

La finestra del carcere di Sant'Agata.

Arrivederci Catania! Mi appresto a prendere un volo Ryanair, tuffandomi in quella cajenna assembrata di gente con poche mascherine che è l'aeroporto, tutti in piedi in lunghi serpentoni in attesa degli imbarchi senza spazio e pochi posti a sedere. Alè!




Tuesday, June 21, 2022

Catania

Sono a Catania e questo torna ad essere un blog di viaggio e non solo perché sono a 1308 km da casa, come dice il fido google maps, ma perché vivo giorni di movimenti cerebrali vari, forse enfatizzati dal peculiare stato d'animo che il distacco itinerante dalla "normalità'' mi procura. Avrei voluto scrivere un pezzo su Ryanair e la sua fenomenologia, su come i capi della compagnia, trattano noi clienti e i loro dipendenti, o su come noi e loro ci facciamo trattare o su come resistiamo tetragoni e ci caviamo soddisfazioni rivoltando la frittata.

Ma poi sono stato ripreso da Catania, città secca, con la sua durezza, e meno amata dell'opulenta ed esagerata Palermo. Dico ripreso perché, hard-disk alla mano, mi rendo conto che sono stato qui a un AMASES "solo'' 6 anni fa. Correva il 2016 e io e Alessandro raccontavamo, con delle slides bellissime, una ve la mostro sotto, una storia di realismo che provava a smontare le pretese intellettualoidi e razionaliste di certa economia. Ci abbiamo anche stampato un paper, se volete lo potete pure leggere. Sei anni non sono nemmeno un'era geologica, eppure era un tempo mitico, prima che accadessero tante cose, personali, accademiche, esistenziali. Non pensate di cavarvela: dov'eravate 6 anni fa? Che cosa pensavate? O, meglio, chi eravate nel 2016, prima di una lista in cui potete mettere quel che vi pare ma che include una pandemia, una guerra, una promozione, solenni incazzature, manciate di neuroni che se vanno in baby-pensione senza consenso, piccoli e grandi successi, anche qualche vendemia di saggezza e capacità di fare uso di quella cosa strana che è l'esperienza, che arriva quasi sempre quasi fuori tempo massimo? (e vai col resto, fratture, insuline, gamme-convergenze e chi più ne ha più ne metta).


A poco a poco, il mio cervello si è messo ad accostare tessere, corso Italia non era una strada qualsiasi di qualche città del Sud ma riprendeva vita, Via Ventimiglia è tornata ad essere quella strada tanto importante quanto lunatica e indomabile, dove in pochi passi vedi lo squallore di un centro urbano devastato e i galloni dei palazzi e delle boutique. Mi sono ri-orientato, traguardando corso Sicilia e piazza Stesicoro e cronometrando il tempo che mi servirà per arrivare in università domani. In un calore gagliardo ma meno soffocante che da noi, ho visto di tutto: barboni, tanti, un po' in carne ed ossa un po' intuiti vedendo i pacchi di stracci e i materassi sudici dove dormiranno, coi portici che li ripareranno dall'umidità del porto che sta a un kilometro di distanza; ho visto mucchi d'immondizia, tanti, in troppi angoli di strada, a fianco delle bouganville, a pochi metri da dove, poi, la strada si faceva quasi chic e vagamente milanese; puzzavano pure quei mucchi, non è una gran idea lasciar macerare tutta sta roba a 35 gradi sotto il sole, obbligando i pedoni a zigzagare per schivare le zaffate peggiori nei punti veramente ostruiti.

Buogaville, scoasse a volontà e materasso perché non manchi nulla.

Ci sono le missionarie della carità di  Madre Teresa di Calcutta e in qualche tratto la cità pare proprio averne bisogno

Catania è una citta che mi piace, nera come la pece, scabra come le sue pietre e i suoi molti immigrati, oscura e diametrale per un polentone in libera uscita. Ho visto aprirsi sotto il livello di calpestio le solite rovine latine, e mi sono sentito a casa, nel modo strano un cui può esserlo un padano in Sicilia guardando un anfiteatro romano (ma se è per quello mi sento anche magno-greco e longobardo, c'è poco da fare).

Sono stato a mangiare alla Trattoria del Cavaliere in via Paternò, sotto un metafisico gazebo quasi sicuramente abusivo col suo telaio di travi di ferro enormi, all'ombra dell'ultimo sole della sera del solstizio. Ho mangiato bene, farfalle al salmone, fettina di cavallo (abbondante, morbida e sugosa nella cottura leggera), 1 litro di Ferrarelle, vino della casa, un ottimo espresso che ancora adesso vivifica i miei polpastrelli sulla tastiera. Ho speso 19,5 euro, quando le mie stime ronzavano sui 28. Di solito ci prendo abbastanza ma nel profondo sud anche i prezzi hanno le loro dinamiche.



Mi restano negli occhi la sposa che usciva da San Biagio in Sant'Agata alla Fornace, truccata e all'apparenza di giovanezza lancinante. E il palazzo brutalista che chiude Piazza delle Repubblica, uno strano oggetto in un contesto che abbina assurdamente modernità di cemento armato e sfacelo di buchi pieni di rovine grandi come piazze. 


Dimenticavo, come sei anni fa io sto al Camplus D'Aragona, un'oasi di pace in cui condivido con gli studenti una semplicità che mi snebbia. Il palazzo, appunto in Via Monsignor Ventimiglia, è uno di quelli che "tiene su la zona" e galleggia su questo magma urbano e umano. E domani parliamo, a modo nostro, di diversità al Workshop of Economics with Heterogenous Interacting Agents (WEHIA 2022).