Wednesday, March 29, 2023

Germania uber che?

Appese alle pareti dell'unico bar dell'aeroporto, il cafè Wings, ci sono delle immagini iconiche e immediatamente riconoscibili, il ponte di Brooklyn, la skyline di Manhattan, l'Empire State Building, in un bianco-nero luccicante. Potenza delle immagini, tanto le abbiamo viste e tanto abbiamo sentito parlare di quei luoghi che ci sembrano consuete anche a mgliaia di km di distanza. Sono a Muenster-Osnabruck FMO flughafen, in attesa di un volo per Venezia via Francoforte, alla fine di 6 giorni di trasferta presso le università tedesche di Bamberg e Bielefeld, ospite di colleghi-amici, per partecipare a un evento di un progetto di ricerca tenendo qualche lezione e facendo ricerca con uno di loro.


Al controllo di sicurezza non c'è bisogno di sgomitare e davanti a me ci sono solo un anziano signore e la moglie con deambulatore...

Sono stato forse in una Germania minore, Franconia (in alta Baviera) e Nord Westfalia e la familiarità con le immagini di New York mi fa riflettere sul radicamento, per certi versi simile, di idee sulla Germania. Mi rendo conto che il viaggio è stato un bagno di realtà che ha messo in un angolo alcune immaginifiche fascinazioni sui tedeschi. Non so voi, ma associo a questo paese efficienza alla massima potenza, organizzazione ingegneristica e precisione, visione di lungo periodo, infrastrutture che noi ci sogniamo, puntualità e via dicendo.

Ma Lufthansa, tanto per dirne una, mi ha cancellato un volo da Francoforte per Norimberga, obbligandomi a bivaccare al terminal B per 5 ore. Me la sono passata bene, in una versione ridotta della felicità che è concessa quando trovo un sedile comodo, buona illuminazione, ho il computer carico, magari una connessione internet o qualcosa da leggere. È come il tempo dei pescatori, 5 ore che ti allungano la vita leggendo e scrivendo, senza sensi di colpa a guardare orizzonti di possibilità di fare quel che mi pare. Va bene, però il volo lo avete cancellato come un Alitalia qualisiasi dei bei tempi andati e, a dire il vero, mi trovo adesso in un aeroporto in cui fino a qualche minuto fa ero l'unico viaggiatore, una cattedrale in un deserto (vuoto!) da dove partono 7-8 voli di collegamento al giorno in modo da portarti negli hub di Francoforte o Monaco di Baviera. Muenster-Osnabruck è difficile da raggiungere, Herbert mi ha spiegato che avrei dovuto seguire altri sentieri ma il sito Lufthansa, sia per l'andata che per il ritorno, indicava come rotte migliori quelle che passano per Norimberga e, appunto, Muenster-Osnabruck. Col senno di poi è una cosa strana, perché vendete biglietti e poi cancellate i voli o suggerite di partire da posti dispersi e raggiungibili a fatica, tanto sono rarefatti i collegamenti, anche via bus o treno?

Che FMO sia uno ``strano'' scalo l'ho capito dalla faccia degli amici tedeschi, ma anche dal fatto che internet è lenta: download 7.68 upload 7.75 mb/sec sulla FMO-WLAN-FREE. in realtà questa è la conferma di un altro mito che si è sgretolato, i tedeschi non sono ben connessi e diverse persone mi hanno detto che spesso la qualità della loro connessione è bassa. e, per continuare su questo tenore, negli asili non si trova posto, le donne sono discriminate sul posto di lavoro, i treni sono in perenne ritardo oppure offrono un servizio scadente (su questo potete leggere anche questo post), al punto che ormai perfino il tassista se n'è uscito ridendo quando gli ho chiesto come usare i treni, ``nessuno qui ormai usa più Deutsche Bahn'', opinione condivisa da vari colleghi che, sfiancati, usano altri mezzi per evitare disservizi, ritardi e mancati appuntamenti o lezioni.

Quando, nella cartoleria e micro-bar dello scalo, ho chiesto alla commessa dai capelli rossi se potevo mangiare qualcosa mi ha seraficamente detto di no, ``ma se vuoi puoi avere un burger nel bar dall'altra parte della vetrata''. Ah, bene, lo vedo che siete tedeschi e c'è sempre una soluzione! Per raggiungere ``l'altro lato'', però, devo uscire all'aria fresca di un giorno nuvoloso... sono all'aperto e il ``bar'' è un chiosco tipo sagra paesana dove i viaggiatori si mettono in fila sotto un'impalpabile pioggerellina per ordinare wurstel e patatine con senft, mayo e salsa al pomodoro! Quando è il mio turno, so di poter chiedere un burger e Justin, un ventenne efficiente dall'aria scanzonata, mi dice che anche se non ha tutti gli ingredienti me lo fa volentieri. È un trionfo, mangio una cosa sana (mah, un due etti di carne almeno e 75 g di bagel precisi, mi ha detto il peso leggendolo sul sacchetto), fuori al freddo, rinforzo gli anticorpi e mi basta una sola UI! Ringrazio Justin e ci scambio quattro chiacchiere dato che sono l'ultimo della coda, ci facciamo un selfie per gli archivi.

Ottimo e abbondante il panino, simpatico e ben organizzato Justin!

In questi clima metafisico e rarefatto io e gli altri 4 gatti andiamo al controllo di sicurezza, setacciano con metal detector sia me che l'anziano signore che mi precede, forse lo fanno per passare il tempo dato che da due ore non ci sono stati voli né ce ne saranno altri nelle prossime due, in attesa di una partenza per Monaco. Superata la barriera, vagamente si rientra nel mondo, nel senso che c'è una parvenza di duty free, che poi è un'esibizione delle solite cianfrusaglie, Jonnhy Walker e prodotti sedicenti imperdibili a prezzi raddoppiati. Con professionalità, questa sì molto tedesca, ma che francamente meriterebbe miglior sorte, imbarcano la sporca ventina di passeggeri per gruppo, manco fossimo centinaia: si parte con anziani, poi famiglie, e via via disabili, primo gruppo, secondo, terzo ecc in ordine rigoroso, due-tre al massimo per buttata. mentre vedo questa cosa, sorrido un po' basito, tanto la mia d'imbarco porta scritto Group 5!

Rientro nel vortice a Francoforte, il bus aeroportuale si ferma per dare spazio a un mostruoso Emirates a più piani che in taxi fra un posto e l'altro ha bloccato mezza dozzina di autobus, carrelli, camioncini, al suo cospetto sembriamo tutti Playmobil. Ci sfreccia accanto un treno ICE ad altra velocità e vedo l'autobahn coi camion... eccoci tornati al mondo, quello degli ingorghi e dei treni in ritardo di cui mi hanno parlato i colleghi.


Mi fanno simpatia questi tedeschi, i miei colleghi sono dei bijoux, a sbattersi da matti in quello che gli altri pensano essere un paradiso terrestre mentre è un posto in cui ti prendi le tue cinghiate e devi schivare fastidi e transizioni, anche loro come noi europei suddeuitsche!

Eppure concludo in bellezza: atterriamo vinco al gate 1 del terminal A e invece di partire dal 19, come previsto sulla carta d'imbarco, mi mandano al 40, facendomi percorrere la massima distanza (ma proprio tutta!) possibile, se non sono chilometri poco ci manca. Penso che sono bravi ragazzi, la mia glicemia batte in ritirata e, nel tragitto, ritrovo la Bakerei Heberer, la stessa che mi aveva rifocillato all'andata. Torno con due brietzel appena sfornati e, fosse solo per questo, la Germania resta mitica ed inarrivabile!


PS. Sua maestà ChatGpt dice che "the distance between gates A1 and A40 can be around 1.5 to 2 kilometers (0.9 to 1.2 miles) apart, which could take around 20 to 30 minutes to walk depending on your walking speed", per forza che resto in forma!

PS2. Per onore di cronaca, Justin mi ha pure fatto lo sconto e al posto di 6.90 mi ha chiesto 6.00 tondi tondi... già, siamo pur sempre in Germania e mancavano degli infredienti (che ne so? cetriolini? granella di semi oleosi? doppia foglia d'insalata brasileira?)

Sunday, March 26, 2023

ICE 788


Sono sul treno da Munchen HBf a Hamburg-Altona con destinazione Hannover, ho pagato 121, 50 euro per il biglietto e viaggiamo a 240 e rotti all'ora, mi sono già collegato alla rete wifi WIFIonICE. tutto va bene, no? Si potrebbe dire "quasi": sono seduto per terra, in sukhasana come alla lezione di yoga e con me (per terra, intendo!) ci sono mamme, bambini, altri passeggeri più o meno giovani, occupando ogni cm di moquette disponibile e, in particolare, ringraziando il fatto che ci sono ampi spazi per le carrozzine che, mancando i disabili, diventano irrituali piazzole di sosta per quanti, come me, si devono fare due o più ore su questa tratta.

Sono un po' sorpreso ma forse dovrei dire sospeso, in quello stato vaporoso in cui i pensieri provano a riorganizzarsi, girandosi su sé stessi per trovare geometrie diverse e, temo, non euclidee in un caso come questo. Ma come? 100 e passa euro e sono col culo a terra, ad osservare una transumanza che non vedevo da un ventennio, quella dei treni veloci o interregionali che il venerdì pomeriggio, riportavano in Veneto tutti quelli che lavoravano a Milano, in piedi, stipati almeno fino a Vicenza o Padova. Poi si svuotavano ma eravamo praticamente arrivati! E questa è Germania, non il paese dei bagigi! Mi sento in un esperimento strano, osservatore e osservato, bello comodo seduto per terra, nella superpotenza economica e morale del continente, e mi chiedo se è tutto ok. Ogni tanto devo sospendere la battitura perché i passanti zigzagando nel filo di corridoio rimasto libero tendono a inciampare sul mio ginocchio sinistro e sulla caviglia di quello che è compostamente stirato a terra dopo di me e avanti in questo dribbling a caccia di sedili liberi che non esistono. Scrivo per ricordare, perché i viaggi ci rendono migliori e meglio attrezzati a sorridere della grandezza e dei fastidi dei leggendari tedeschi, perché relativizzo l'eterna tendenza italica a piangersi addosso in qualche forma sana di "mal comune, mezzo gaudio" (appunto, queste sono scene che io non vedevo da almeno 20 anni... ok, se mi scordo di qualche recente performance di TreNord!) 

Comunque, sarà il sorriso della piccola seduta per terra davanti a me, mentre ciuccia un salatino appena ripescato dal tappeto, sarà la serenità delle mamme che non fanno una piega che sia una e, anzi, dispensano tenerezza ai ragazzini che infatti sono in stato di grazia, immersi in un gioco in cui anche i grandi si "rotolano" per terra come hanno sempre sognato, sarà per tutto questo, e forse altro, ma è un bel viaggio, mi sento un novello Bruce Chatwin, "Che ci faccio qui?", in una patagonia su binari che non mi attendevo, in cui tutti sono tranquilli, non vedo una stilla di livore, e perfino il controllore (mica scemo!) non rompe l'idillio (e le balle!) e non controlla i biglietti a nessuno. In fondo mi avevano allertato: sul web e sul biglietto cartaceo compariva una dicitura in tedesco che, più o meno, diceva che "è prevista alta affluenza e non è possibile prenotare il posto a sedere". Un filo eufemistici 'sti tedeschi, ma uono avvisato mezzo salvato!

Friday, March 10, 2023

May the Goldmans be with you

Tanto vale partire diretti e andare al punto. Credo che Goldman Sachs esprima al meglio la ferocia finanziaria e la ricerca del profitto senza limiti, possibilmente senza regole (o cercando in tutti i modi di dribblarle) e senza andare per il sottile nemmeno quando a rimetterci sono i suoi stessi clienti. in sintesi "greed is good" e più pelo (nello stomaco) per tutti! 

Ok, adesso be kind and rewind! A me GS piace fin troppo, forse perché la parte mefistofelica di me ammira questa cattiveria dura, scabra e senza sconti, in fondo non è una società di beneficienza. Ammiro quello che fanno perché quel che so di finanza indica che stanno fra i maestri, sono riusciti dove altri hanno fallito, incamerano solitamente milioni e miliardi di profitti all'anno, pagano bonus di cui si favoleggia, assumono i nostri migliori laureati, sanno fare i conti, sanno barare, fanno la cresta su tutto e, quando serve, si ritirano dai mercati, e lasciano altri col cerino in mano. Bravi. Punto. C'è sempre da imparare da gente così, sia per copiare quello che fanno sia per ricordare quello che non si deve fare mai (se nel tuo bilancio compaiono, a tutto tondo, anche altri valori oltre al profitto tout court).

Fare il prof è una benedizione e uno dei principale motivi è che i miei studenti mi onorano di insegnarmi un mucchio di cose, in classe e con quella vita che forse ho contribuito a indirizzare in minima parte. J è una mia ex-studentessa di "Financial Literacy", un corso di cui vado fiero (perché è destinato a ragazzi che non hanno scelto una laurea di economia o finanza). Sta terminando il PISE, è ancora molto giovane, e dopo Findomestic, Nordea, Fisher Investments, l'hanno assunta a GS, sede di Londra. Non dirò un'altra parola su di lei, le sono grato, e tanto, per avermi dato l'opportunità di vedere sul serio brandelli della ditta che è un Eldorado della finanza d'assalto mondiale.

La sede di Goldman Sachs a Londra

Ci dovevamo vedere per un caffè e un saluto al Vergnano di fronte alla fermata di Chancery Lane (dove, per inciso, si dice si possa gustare "the best espresso in London"). Poi J mi messaggia "prof, vuole venire a mangiare in sede? abbiamo diversi ristoranti e così non prendiamo la pioggia", wow, mi pare di sognare, vado in gita a Shoe Lane 25, sede londinese di GS! google maps mi guida liscio liscio fino a pochi metri dalla porta, dopo si perde un po', mi dice che sono arrivato ma ero andato oltre e devo ritrovare l'ingresso di un enorme grattacielo ondulato e disteso più in orizzontale che in verticale. entro, desk per la reception, poltrone per chi attende, un enorme display con la mission aziendale. imbraccio il mio IPhone per fare una foto che è solo un modo per ricordarmi il marketing e gli slogan ma quello della sicurezza mi è già venuto vicino, non si possono fare foto all'interno dell'edificio, non dice un'altra parola. adesso realizzo ci sono vari "gorilla" a piantonare l'entrata, tutt'altro che mingherlini, in abito scuro, auricolare e quella posizione rocciosa a gambe divaricate, a guardare attentamente tutto (anche se non si sa mai bene cosa...)

La foto è brutta come il demonio, ma è solo una sfida. Ho trascritto il testo che sta sotto a "The culture of Goldman Sachs"

mi siedo e mi domando se mi hanno preso per mona, mi organizzo, fingo di leggere il cellulare (che si può) e... immaginate? la foto la scatto lo stesso, tie! ammetto che è pavida, sbilenca, clandestina e non prenderò il Pulitzer ma si fa quel che si può e mi serve per suonare la carica:
The culture of Goldman Sachs is defined by the commitment to delivering the best service to our clients through collaboration, innovation, and a relentless pursue of excellence. 
Partnership, teamwork and integrity are foundational to our culture. We leverage the depth and breadth of our experience to create long-term value for our clients, stakeholders and communities. 
Our inclusive and dynamic environment inspires continuous learning and growth, ensuring future generations will surpass our current aspirations.

poi arriva J e mi porta dentro in un enorme piano terra adibito a ristorante con una mezza dozzina di banchetti/espositori dove si può prendere di tutto, con una spiccata predilezione per cibo "sano" (verdure, carbo free, protein-added, vegan, gluten-free, extraterrestre portami via!)  

metto assieme 630 grammi di roba varia, con un po' di penne fredde per formare un minimo di base per un filo d'insulina, poi pomodori, ceci, cereali, olive e chissà che altro. si paga a peso con carta di credito touch collegata a una bilancia elettronica, 10.45 pounds, mi spiace solo che ho dimenticato di tenere lo scontrino per ricordo. chiacchiero con J, appollaiato su un desk che preferiamo ai divanetti. guardo la marea di gente che mangia, alcuni sono in tiro ma non tutti. facciamo varie riflessioni sulla vita e sulla finanza, nella mia testa risuona il titolo del film "chiedimi se sono felice", intuisco qualcosa, me lo tengo per me. 

L'ampissimo androne e spazi per sedersi, mangiare, fare due chiacchiere. Gli espositori col cibo sono a pochi metri da qui

un neo assunto a GS forse prende 50k pounds se è a tempo fisso, 80k se è contingent che vuol dire licenziabile, in un certo senso carne da macello all'occorrenza. il bonus, se va bene, qualche volta non lo danno, si aggira sul 60% dello stipendio. si lavora tanto, di tanto in tanto sicuramente troppo (ma ognuno ha i suoi limiti), guardo queste facce con le vaschette del cibo, mi rendo conto che non ho preso nulla da bere, ero troppo concentrato a capire come funzionava la bilancia e stavo intasando la coda, constato che in media sono giovani, tanti trentenni e forse anche meno, qualche quarantenne, nessun "anziano" sopra quest'età o coi capelli bianchi o curvo o nettamente fuori peso. può darsi che chi ha più esperienza o ruoli dirigenziali pranzi altrove, anche nello stesso edificio: magari crostini e salmone e vino bianco, sto tirando a indovinare, mentre a noi giovani tocca la vaschetta. lo sapete vero che questa cosa di nutrirsi alla scrivania mi pare una barbarie, no? ogni cosa al suo posto, suggerisco sempre di staccare e di non rimanere inchiodati alla postazione per 14 ore di file, anche perché il cous-cous e molte altre cose s'infilano nella tastiera e fanno danni. e, scusate, ma la vaschetta mi ricorda tanto Pailette che almeno guaisce contenta e le diamo pure una seconda ciotola con l'acqua fresca!

J mi fa fare un tour: al piano interrato c'è un'enorme palestra, credo aperta giorno e notte, non serve nemmeno portarsi il cambio, ti danno loro maglietta e calzoncini sanificati. per chiamare uno degli 8 ascensori che salgono bisogna premere il piano desiderato su una pulsantiera che ti dice dove andare (sennò rischi che l'ascensore salti il piano dove sei diretto tu). saliamo al quarto, m'imbatto su un bel bancone dove si trovano snack, frutta, muffin e cookies e i baristi ti fanno il caffè a pagamento, "costa tanto", non oso immaginare quanto, e andiamo a pochi metri di distanza dove in effetti ci sono una marea di macchine da caffè, in una specie di social area con vista sul grattacielo di fronte, e puoi avere ogni specialità (black, macchiato single and double, cappuccino e tutti gli altri nomi di dubbia utilità che si sono inventati in UK), c'è anche il distributore di latte parzialmente scremato, ne puoi prendere quanto ti pare per allungare il caffè o un beverone salutare. Mi prendo un caffè lungo, quasi tiepido visto che il latte esce gelato. vedo pure un lavabo dove qualche ragazza sulla venticinquina sciacqua posate o quello che si è portata da casa, tutto mi pare in ordine e forse di tanto in tanto passa pure la signora delle pulizia a dare una spugnata.

L'atmosfera è frizzante dato che  oggi a Londra c'è il CEO, David Solomon, ed è previsto un discorso con tutti i dipendenti alle 14.45. tutti sono caricati a pallettoni, se non è come quando arriva il Messiah ci manca poco e piacerebbe anche a me stare a sentire, ma intuisco che c'è la sicurezza, la registrazione, gli inviti... mi limito a scattare coraggiosamente (ehm...) una foto al video che sta in ascensore, tanto per condividere l'evento. cerco di non distruggere la giornata a J, rimandole inutilmente sulle costole, anche se pare tranquilla. ha preferito portarsi la vaschetta su per mangiare più tardi, la ringrazio e la saluto, "chiedimi se sono felice", no? Buona fortuna, J, nella speranza tu possa venire al corso a testimoniare agli studenti e a dir loro cos'è sul serio lavorare coi professionisti. apre la porta che introduce all'open space dove si lavora, area derivati at large, fixing, margin calls e dintorni. riprendo l'ascensore e, vae victis, finisco negli scantinati perché salta il piano terra. ah sì, la pulsantiera! mi dice che devo prendere quello etichettato con "S", bye bye Goldman Sachs, è stato bello per un'ora bagnarsi nell'acquario degli squali!

David Solomon parlerà la suo popolo, ormai pronto ad attraversare anche il Mar Rosso ;-)

Per concludere, ho chiesto a chatGTP di scrivere un poemetto sulla banca (beh,  a dir il vero avevo chiesto di essere ironico e di ricordare anche scandali e controversie più o meno recenti in cui GS è stata coinvolta): è in rima, giudicate voi... lo dice anche chatGPT che c`è speranza pure per loro!

Goldman Sachs, oh Goldman Sachs, 

Your values sound quite grand,

Collaboration, innovation,

And excellence at hand.


Partnership and teamwork too,

Integrity, oh my,

Your culture seems quite noble,

Or is it all a lie?


For though you claim inclusivity,

And learning without end,

Controversy follows you,

Like a faithful friend.


From the 1MDB scandal,

To mortgage fraud and more,

It seems your pursuit of profit,

Has led you to the floor.


But fear not dear Goldman Sachs,

For there's hope yet to be found,

Perhaps a change in mindset,

Could turn your fate around.


So let us all aspire,

To build a world more just,

Where profit and integrity,

Can indeed coexist.


 



Tuesday, March 07, 2023

London roller coaster

Com'è forse ovvio, dato che mi capita in ogni viaggio, Londra comincia a sfrangiarsi in una serie di esperienze diverse, che io attribuisco alla città ma che in realtà sono legate alle cose che faccio, alle persone con cui interagisco e alle suggestioni e immagini che mi si parano davanti. Oggi è giorno di riunioni con il vice-dean for internationalization, seminario e, infine, tre ore di lezioni al corso di NetLogo e agent-based models che tengo agli studenti del PhD di City.

Partiamo proprio da City. Va bene che non è un'università di punta ma nonostante G mantenga un'invidiabile serenità di fondo, avverto un'aria un po' troppo mesta fra altri colleghi, spesso esageratamente presi a notare le difficoltà e a vagheggiare una mitologica superiorità organizzativa, finanziaria o culturale di altre istituzioni. Lo sappiamo bene che il giardino del vicino è sempre più verde, eppure qui si auto-descrivono come un'aiuola spelacchiata infestata dalla gramigna in confronto ai giardini di Versailles nel loro massimo splendore. è un rosario di problemi e sofferenze: la vita è cara, viaggiare coi mezzi pubblici ancora di più (figurarsi con la macchina), il tempo necessario per raggiungere l'ufficio supera spesso l'ora, di affitto è meglio non parlarne, "non mi posso permettere una casa in centro", "non si riesce a trovare una sistemazione decente", "servono migliaia di sterline al mese, come può farcela un neo-assunto?", "anche la periferia è inarrivabile" e così via. ci manca solo un'epidemia! (ehm, questa non dovevo scriverla, dopo il triennio che abbiamo passato). intendiamoci, varie cose sono vere e Anna, la figlia del mio prof di matematica che mi ha  serendipitosamente invitato a pranzo domenica, le paga sul serio 1800 sterline al mese (ma lavora alla City, che è spesso oscuro oggetto di desiderio dei miei colleghi). È un pianto greco che m'intristisce, una sempiterna lamentatio, sempre a trovare scuse per corridoi e uffici vuoti dato che i colleghi per sparagnare evitano di venire, sempre a sognare di cambiare università, per prendere di più, per avere studenti migliori mentre i loro sono tutti BAME (Black Asian Middle-East), per potersi permettere una casa, financo per potersi permettere una vita dato che questa, nella descrizione che ne fanno, è una via crucis lastricata di rogne e fastidi e rotture di palle.

Non è la prima volta che menziono questo distopico stato mentale sul blog. la vulgata consueta descrive le università estere come paesi dei balocchi, dove scorre latte accademico e dolce come il miele è il copioso finanziamento. poi parli con i colleghi e, insomma insomma, ti viene il sospetto che non sia tutt'oro quello che sbrilluccica. in uno stridente contrasto, chi lavora qui spesso si sente in una trincea di povertà, scazzamento, delusione, desiderio di darsela a gambe levate verso dipartimenti più piccoli e in città più a misura d'uomo. 

Fa storia a parte anche l'ossessione per i ranking, le classifiche, quegli elenchi che dicono che uno è bravo, al top, l'altro a mezza via, e il terzo, francamente, 'na ciofeca. qui tutti favoleggiano di UCL, i cugini ricchi, "là sì che mi piacerebbe lavorare...", loro hanno ranking, paghe, strutture, studenti migliori, brillano come stelle nella notte in cui pare piombato il tuo datore di lavoro. I pasdaran del ranking li conosco bene, ce ne sono di totalmente imbevuti anche a Ca' Foscari o nel mio dipartimento, con alcuni di loro rischi che nemmeno ti guardino se confessi di venire da un'università "cattiva" o di aver collaborato con colleghi che hanno provenienze mediocri, men che peones! a ma pare uno strano mondo per vari motivi: uno è che l'educazione serve appunto per discernere le cazzate dalle cose serie, la sostanza dalle apparenze, e dovrebbe insegnarti che giudicare una persona o un'istituzione o uno studente richiede tempo e finezza, non basta un'occhiata, un'annusatina o un ranking stilato da uno che qualcosa sa e molto ignora od omette. proprio perché ci hanno addestrato per anni dovremmo essere in grado di andarci coi piedi di piombo, provare ad andare in profondità, non applicare il "se non ha il look, non cook" alla carlona. e poi, questa mania classificatoria chiaramente gli intasa il cervello: questo quartiere è 16% più caro di quest'altro, un appartamento in zona 3 della metro fa schifo (ma chi lo ha detto?), per fare il pendolare ci potrei mettere 13 minuti di meno, mi secca pagare il 23.5% di council tax e se abitassi altrove... nel tentativo di ottimizzare, questa gente si rovina la vita architettando escamotages un po' pirla, talmente protesi a migliorare una vita che forse avranno in futuro da ridursi a sputtanare senza pietà la vita che stanno vivendo qui e ora. 

sempre a proposito di università, sono stato alla mitica LSE (London School of Economics, che gronda fama e galloni, per quel che mi riguarda fin dai tempi in cui Popper ci lavorava). ho seguito la presentazione di un libro scritto da due colleghi italiani sui problemi dell'Italia, con un focus su mancanza di meritocrazia e sui motivi che ci hanno portato al declino economico. il volume, edito dal Mulino, bello e ben documentato, era commentato oltre che dagli autori anche da altri "italiani" che lavorano in UK e da un esponente della fondazione Bruno Leoni. ora, sapevo bene che la LSE è una delle principali trincee del liberalismo economico: poca spesa pubblica (anzi. meglio niente!), deregulation, concorrenza spinta, animal spirits e entrepreneurship a tutta manetta e massimo laissez faire (l'approccio che ritiene che il mercato bisogna lasciarlo fare senza inutili orpelli e controlli, e alla fine le cose andranno meglio per tutti). si può discutere, ma va bene così, è la LSE baby! eppure, nella discussione sono rimasto colpito dalla virulenza degli argomenti, specie portati avanti dagli "italiani" che lavorano all'estero e che sono stati molto più estremi degli stessi autori del libro. evvai a dire che l'Italia è tutto un magna-magna, inefficienza e clientelismo, che il declino è colpa della mafia, dei sindacati, della chiesa, del fascismo che in fondo era socialismo (?), tutti indistintamente colpevoli di non aver mai abbracciato l'ideologia liberista, W la Thatcher!, gente che ha rovinato un paese da anni, decenni, secoli. sì, perché a un certo punto, una salta fuori con l'osservazione ovvia (per lei) che la colpa originale risale alle corporazioni medievali, gruppi di lavoratori che si univano, progenitrici degli attuali sindacati e corruttrici delle menti degli operai che a partire dai secoli bui hanno cominciato a coltivare idee strane, diritti, salvaguardie, agitazioni... mi ha sorpreso questo fare di tutta un'erba (libero-mercatista) un fascio! e queste critiche, quasi rancorose, venivano principalmente da chi in Italia è nato e magari ci ha studiato e poi è venuto qui a combattere con le tasse, i disagi, i prezzi troppo alti, a vivere in quelle lande desolate della zona 3 e 4, infestate da proletari nulla tenenti e meno facenti. a un certo punto, mi sono alzato, ho pensato che ci siamo tenuti fin troppe serpi in seno, quando è troppo è troppo, fortuna mi è venuta fame e sono andato a mangiare nella mensa universitaria del Goodenough!

L'ingresso di "sua maestà" London School of Economics a Aldwych 

un altro inevitabile passaggio londinese è legato alla pioggia che finalmente mi sono beccato come da copione. ieri sera, all'uscita dall'ufficio, piovigginava. qui, in generale, la cosa non è presa sul serio e c'era il solito via vai di gente in strada, tutti regolarmente senza ombrello, e di fronte a questo cattivo esempio mi sono tirato su il cappuccio sul berretto di lana e avanti come se niente fosse mi sono diretto al Sainsbury's Local che si trova di fronte al Rhind building per comprare qualcosa per pasti veloci e colazioni. finita la spesa ho ripreso a camminare, non rendendomi conto subito, protetto com'ero dal doppio strato di coperture, che adesso pioveva di brutto, come te la molla qui, senza grandi gioccioloni ma fitta fitta e fina fina. non ci potevo fare nulla, ma sono arrivato in camera inumidito per benino e ho messo a rotazione sul termosifone giaccone e poi tutto quello che avevo indosso, guanti e berretto incluso. l'indomani mi sono comprato un ombrellino pieghevole, prevedono pioggia da qui alla fine della settimana, ogni santo giorno, è meglio che mi arrenda e che mi attrezzi alla bisogna.

forse noi italiani siamo incorreggibili e, per una volta, ho deciso di andare a mangiare nell'unico ristorante "esterno" che mi hanno consigliato al Goodenough, abbandonando la mensa aziendale che finora mi ha sempre rifocillato, salvo i rari casi in cui ero incastrato per bene in ufficio e non potevo che accodarmi agli altri colleghi con la tristissima vaschetta comprata al take away. ieri sera sono andato al "Ciao Bella" a poche centinaia di metri da dove dormo, trattoria italiana, alle pareti foto della Loren, Sordi, la Lollobrigida e il maresciallo Vittorio De Sica, Totò, Audrey Hepburn e Gregory Peck in Vespa in vacanza a Roma, Mastroianni... Potenza delle immagini! non avevo prenotato e non avevano posto ma poi, visto che le cameriere parlavano fra loro in italiano, attacco anche io con "nemmeno se faccio in fretta?" capiscono che sono dei "nostri" e, pochi secondi di parlottamento dopo, mi liberano un tavolo da 5, con l'intesa che glielo ritorno in meno di un'ora (che mi basta e m'avanza alla grande con la perenne fame che mi ritrovo). il locale è accogliente, caldo, familiare e rumoroso senza essere molesto, ordino un minestrone bello caldo, un bicchiere di vino delle Marche sfuso, pollo alla diavola con verdura, chiedendo di avere fagiolini e spinaci al posto del contorno di patate. sono tutti molto gentili, mi gusto il minestrone, il pollo è fatto bene e me lo portano con le patate (ma come? non eravamo d'accordo altrimenti?) prima che avessi il tempo di parlare  la cameriera se ne accorge e poco dopo mi porta di sua iniziativa due piattini a parte con generose porzioni di fagiolini e spinaci, "questi li offre la casa", e mi finisco il pollo in un sano tripudio di verdurine rinforzato dalle aggiunte. sono stato bene, sentimentalmente più vicino a casa (i titolari erano di Napoli ma sempre casa è, in un certo senso). alla fine, resto solo un po' sorpreso del conto, fanno 43 sterline che non è poco! non mi sono nemmeno sforzato di capire, può anche darsi che abbiano sbagliato, e non volevo rovinare il momento. ma ho pensato che è 5 volte quello che spendo al cafè della casa dello studente. non mi azzardo a confrontare due cose diverse ma il canyon che separa i costi delle due opzioni è tale che perfino la saudade culinaria di casa, per così dire, lascia spazio a qualche sano dubbio di opportunità. W il bel paese sempre e comunque! 


ps. Il 9 marzo sono andato a "Luce e limoni", evidentemente perseverare non ha senso o non sono stato fortunato, ecco quello che con solenne understatement ho lasciato su una recensione di google maps:

Perhaps I was expecting too much and added the third star after I have seen other better reviews. I felt food was ok, average quality and taste, but in no way unforgettable, i had rigatoni with tomato, aubergines and ricotta" and fish with potato puree + 1 glass of wine and S Pellegrino sparkling water (2 courses). A few other details, where sometimes lie insights, prompted me to think that there is space to improve: light was too feeble, the menu was xeroxed and so pale that it was barely visible... I paid over 55 pounds and, even though I may not yet be entirely accustomed to London prices, I felt it was definitely more than what would be fair.  

Saturday, March 04, 2023

Goodenough? Parecchio!

sono le 8.50 e mi sono seduto su una delle sedie imbottite della biblioteca del Goodenough College, cuoio verde e borchie, schienale dritto, a suggerire una posizione corretta, è sabato mattina e siamo solo in due, io e una ragazza castano chiara, composta e concentrata, manco a dirlo accomodata in un posto che sembra il ``suo'', visto la naturalezza con cui ha disposto appunti, evidenziatore, libri e ha appoggiato zaino e giubbotto in una poltrona li vicino. quando si alza noto che porta un abito di lana viola, aderente e lungo fino ai polpacci, che lascia intravedere le forme, ha in mano una tazza, la cosa mi tranquilizza dato che anche io ero entrato, col dubbio di fare una cosa illegale, col mio Earl Gray al latte che mi ero preso dopo la colazione. spesso nelle biblioteche il consumo di bevande e cibi è vietato ma nella Charles Parsons Library and Reading Room sembra consentito e mi accingo, sipping my tea, a cambiare il piano che prevedeva che sistemassi le slides per il seminario di martedi prossimo. Enough is enough e dopo giorni in cui resto ``incantato'' dalla sistemazione alberghiero-studentesca di questa trasferta, la vista di questa biblioteca, classica, vittoriana, quiet and shining come i portalampade sfavillanti di ottone dorato, accogliente e austera nello stesso tempo, mi ha fatto cambiare idea: il post è sul Goodenough!


Il bel "bugnato" delle pareti esterne del Goodenough e, sopra, la biblioteca.

Tecnicamente il mio alloggio è al Goodenough Hotel, Mecklenburgh Square, avevo prenotato con grande anticipo approfittando dei prezzi scontati del Black Friday deal. Non è una sistemazione a buon mercato ma, per dire, pago anche meno di quanto mi era servito per dormire a Milano in occasione di una conferenza, siamo sui 150 euro/notte. La camera è una singola, un po' piccolina, pulitissima e ben attrezzata (ad esempio, ci sono phon e bollitore fornito di bustine di caffè e filtri per il the e carta intestata per scrivere lettere, una sciccheria d'altri tempi!). La dimensione ridotta della stanza è l'unico difetto, sono in una dependance staccata, al civico 25, è proprio un altro palazzo dove ci sono solo camere, senza alcuna reception. all'ingresso ci si sente avvolti dalla generosa temperature tipica delle case inglesi, trattenuta dalla spessa moquette in ottimo stato, che quasi consente ai passi di rimbalzare e profuma lievemente di pulito. io sono al terzo piano, e dopo le prime due rampe su una scala ampia, m'inerpico secco su una scalette più stretta e attorcigliata, arrivo sempre alla mia porta, 533, con un filetto di fiatone e con i muscoli delle gambe che iniziano a pompare.

mi sposto su un altro tavolo, dagli enormi finestroni della biblioteca compare pure il sole, merce non del tutto ovvia in questa città, il soffitto sarà alto 8-9 metri, fresh air per fresh minds, speriamo. è entrata un'altra ragazza, borsa di stoffa LSE, maniche corte, è ora seduta a due sedie da me, ``am I too noisy?'' le chiedo, per essere certo che il ticchettio sulla tastiera non la infastidisca, ma risponde che è tutto ok. la ragazza in viola nel frattempo è uscita con un ragazzo mediterraneo, con bella barba, che è venuto a prenderla e le ha dato un bacio.

quella simpatica carogna dell'allarme per il glucosio in salita mi avvisa che è ora di farsi due passi: anche se mi ero limitato a una fetta di toast, c'era da aspettarselo dopo pork sausage, mushrooms, bacon, fried egg e tazzone di caffè. let's go! conosco bene la zona e faccio un giretto artificiosamente lungo per Brunswick Square e i campetti da calcio per bambini di Coram Fields. quando rientro la glicemia è a 150, ben dentro i binari in cui dev'essere, e forse questa strategia peripatetica, oltre a tutto il resto, snebbia i pensieri e riattiva la circolazione.

io abito all'hotel ma la Mecklenburgh Square è riempita dall'enorme mole del Goodenough College, che si chiama ``London House''. è una casa dello studente, piena di storia che potete leggere sul sito, sembra nella mia immaginazione il castello di Hogwarth (potenza delle icone, visto che non ho ancora letto la saga del maghetto). Un plastico in biblioteca mostra la struttura, con ampio cortile interno, dove risiedono non so quanti studenti e dove, se voglio, posso venire a fare colazione e a pranzare. non c'è una mensa vera e propria ma il Freddie's Cafè serve allo scopo, ed è frequentato anche dagli studenti che fanno colazione pure loro o mangiano al self-service for lunch and dinner. il metodico che è in me ha immediatamente eletto questo posto a fonte di nutrimento eliminando il problema di cosa mangiare in una città alimentarmente piena di stranezze, cineserie, fusioni più o meno probabili, pastrocci tanto succulenti alla vista quanto indecifrabili al gusto, una wunderkammer orientaleggiante di sapori e ingredienti (e per chi fa conta-carboidrati, my goodnees, è un incubo). da Freddie's invece, vedi 3-4 cose calde, te le scegli, due contorni serviti, oppure un solo side e una salad fai da te quanto te ne pare. io sono venuto a mangiare qui tutte (dicesi tutte!) le volte che potevo anche perché con 8.50 pounds prezzo fisso spendo meno che dalla Marisa. se proprio sono in the mood mi prendo pure la birra, alternando la pinta e la mezza pinta di Camden Pale, una birretta moderna e londinese, fruttata e divertente che rischia di diventare d'ordinanza finché sono qui. E se proprio ve la devo dire tutta, segnatevi il posto: all'ingresso basta dire che vi stanno facendo la camera e vi hanno mandato dall'hotel, guardate questo castello delle meraviglie, entrate da Freddie's con nonchalance e dite che siete member, ``I am at the hotel'', scegliete il piatto e siete già della famiglia 8.5 sterling! dimenticavo, la birra si paga a parte...



Anche Elisabetta e Filippo sono venuti in visita...

Il college trasuda quella good old England, vittoriana, o forse elisabettiana, che la mia generazione ha studiato sui libri e nelle lezioni d'inglese (non so che cosa pensino i miei studenti, chiederò), tutto è cool Britannia here e mi pare di essere a Oxford e Cambridge (dove non sono mai stato seriamente). ho scattato una marea di foto, sperando forse di catturare l'anima istituzionale e civilized di un posto austero come questo, dove si formano generazioni di studenti, poi cittadini, poi civil servant (e anche lestofanti, non tutte le ciambelle escono col buco).

l'altro ieri sera, poi, quando sono arrivato per cenare, Freddie's era deserto, panico, keep calm, ``they serve the dinner in the Great Hall'' mi dice una coppia di anziani signori british che si avvia lungo una scala. li seguo e capito in una meraviglia di salone delle feste, con un pianoforte a coda e una dozzina di grandi tavolati dove si siedono studenti e ospiti dell'albergo, dopo che si sono riempiti il vassoio alla tavola calda self-service, accurata come al solito e posizionata in una stanza all'estremità del salone. uno, penso che l'ho scampata e che mangerò anche stasera; due, ``ma dove sono capitato?'' con il naso all'insù a guardare le volte l'orologio a stucco con fregi dorati e doppia serie di lancette, una per l'ora di Londra e una per quella di qualche fuso sperduto dell'impero britannico; guardo anche i sobri ritratti dei presidenti del college e tre, facciamoci coraggio e andiamo a mangiare! finisco, per prendere alquanto irrituali tacos con cavolfiore impanato, patate fritte e insalata + pezzetto di pane ``trafugato'', visto che in teoria era possibile abbinarlo solo alla soup.

Una veduta della Great Hall, dove si tengono eventi, balli e ci si trova per pranzo e cena, di tanto in tanto.

mentre mangio penso che questa cosa qui, qualsiasi cosa sia, il college, il salone, i secoli di storia, sono la rappresentazione della quintessenza dell'università di prestigio inglese, quella in cui gli studenti erano nobili e avevano fatto le superiori a Eton, la comunità dei fellow sorseggiava porto e fumava il sigaro, dove qualche Keynes amministrava fondi e gestiva donazioni ed eredità per assicurare all'istituzione i mezzi per fornire un livello simile di educazione e, diremmo ora, di servizi. troppo lirico? sì, è probabile: il Goodenough non è il King's, parva set apta mihi, eppure credo che l'idea sia la stessa: gli studenti, ora come allora, non diventeranno tutti Churchill o Byron, ma sperimenteranno un modo di studiare e vivere l'università che è diverso dal nostro, dove pure io ho conosciuto in altri modi persone, strumenti di indagine e opere dell'intelletto che mi hanno incendiato e reso quello che sono.

All'altro capo della Great Hall: ora di Londre e ora dell'Impero (!)

conto le persone in biblioteca, siamo saliti a 8, ci saranno 80 posti, spaziature e ossigenazioni sono assicurate, io sto bene, un filo di rimorso per le slides (recupererò...) ma sento un bel calduccio e realizzo che mi sono seduto vicino a una nicchia dove un termosifone di ghisa fa il suo benedetto dovere. ho scoperto la Library oggi, a tre giorni dal mio arrivo, e credo che non la mollerò facilmente fino a sabato prossimo quando tornerò a casa. avevo fatto lo stesso anche di recente a Palermo quando ero stato in un'altra casa dello studente, a S. Giovanni degli Eremiti, e anche là avevo finito per stare nell'aula studio, diversa e magnifica pure quella, per ore.

per concludere, anche questo avviso appeso alla porta, mi sembra mirabile: ``Library opening hours. The library is open 24 hours. Your librarians, Carolyne and Tamar''

Wednesday, March 01, 2023

Awaiting bags

sono da più di un'ora in attesa della valigia a Heathrow, non siamo in tanti ed evidentemente molti viaggiatori avevano scelto di usare solo bagagli a mani o trolley, alquanto saggiamente pare. abbiamo chiesto info e ci hanno detto che può servire "up to one hour", c'è traffico, non hanno consegnato ancora nulla. ok, ma l'ora è passata, anche al nastro trasportatore gira la testa a furia di mulinare come una trottola senza senso e, francamente, non so se andare in centro all'hotel e amen, riempiendo i moduli e sperando che la valigia me la portino loro o attendere ancora un po' che se poi il bagaglio arriva è una rogna di meno.

stamattina era andato tutto bene, partenza regolare, volo come un biliardo, parlo con Walter seduto di fianco, tratti inconsueti con occhi azzurri, capelli rossi rasati sulle tempie e microscopico chignon, barba rossa pure quella ben curata, sulla trentacinquina. scambiamo due parole quando la hostess ci chiede nuts or cookies and coffee or tea, ma a un certo punto mi chiede che cosa faccio e gli dico che insegno matematica o, meglio, computational something a economia, modelli ad agenti e viene fuori che è un consulente "informatico" perito elettronico laureato in psicologia, in trasferta per una convention coi compagni di lavoro che riempiono la fila del BA 597. lavorano con PMI, ne analizzano i processi, studiano interfacciamenti con i sistemi gestionali della ditta e li modificano o personalizzano per renderli adeguati alle loro necessità, se serve fanno il debug anche dei processi cognitivi e mentali dei clienti e del titolare, indicano cose che fanno ma non dovrebbero fare o cose che vanno fatte mentre per ora mancano all'appello, sono dei consulenti indipendenti, Walter ispira fiducia, giusto ritmo nel raccontare, mostra passione e concede spaziature per l'interlocutore, cerco da sempre di fare lo stesso anche io, finisco per raccontargli anche qualcosa di modelli ad agenti, NetLogo e complessità. quando usciamo da tunnel al Terminal 5, saluto lui e i suoi colleghi e mi allunga un biglietto da visita, chapeau, è forse una cosa vintage ma non c'era altro verso e mi riprometto di mandargli un saluto...

ecco, sono le 11.07, 82 minuti dopo l'atteraggio e la mia valigia Spalding, vagamente sfinita ma munita di cintura di sicurezza contenitiva a combinazione a 4 cifre, ancora ferma al settaggio di fabbrica ``0000'', è arrivata, la raccolgo dal nastro e via verso il controllo automatico del passaporto elettronico.

cammino e trovo la Piccadilly line, chiacchiero con uno che supervisiona gli ingressi, qui è tutto self-service, barriere che si aprono col touch, cancelli automatici, dozzine di biglietterie "credit cards only", pare che non vogliano farti parlare con nessuno, suggerendo di fatto un ognun per sè che per certi versi è vagamente triste e mi ricorda i luddisti che in questo paese combattevano contro i posti di lavoro rubati dalla modernità e dalle innovazioni. sicuro, non è che tutti gli umani che ti parlano dalle biglietterie siano fenomeni di simpatia ma questo è bravo, più o meno della mia età, pur col rischio di sbagliare di un decennio visto che è un indiano, (del subcontinente non un apache!) ma magari è londinese da tre generazioni! il suo inglese è aperto, speziato, col giusto ritmo e comprensibile fino all'ultima sillaba. mi spiega come usare la Oister card e, forse, com fare una foto dell'estratto conto per rendere conto a Sara e all'amministrazione di unive che ho usato i mezzi pubblici. partiamo alle 11.25 e adesso sarà un lunga galoppata su vagoni efficienti e un po' frusti fino a Russel Square, nel cuore di Bloomsbury.


già, mi sono ricordato che, oltre al Britsh, al Charles Dickens musuem e al Postal museum, tutti posti che voglio andare a vedere o rivedere, Bloomsbury è la patria di Keynes. non ne avevo consapevolezza prima, ma in quello scrigno delle meraviglie ripieno di ogni ben di Dio che è il mio zainetto, c'è un fascio di fogli, stampati in un generoso corpo 12, col libro di Justyn Walsh, "Keynes and the Market", una storia sul mirabolante talento finanziario di Maynard, uno che lascio in eredità 30 milioni di euro odierni anche se se n'è andato a soli 63 anni. Intanto "Mind the gap" a Hounslow East è un audio-meme che mi riporta alla giovinezza, quando s'imparava l'inglese minimale, quello da Robinson Crusoe catapultati in una Londra che prima o abbiamo tutti sognato di visitare usando fieramente le nostre belle frasi scolastiche.

In aereo mi sono letto introduzione e primo capitolo del libro, che ripercorre un po' la biografia di Keynes, che è stato artefice e ha subito l'influenza di quel coacervo di artisti e fuori di testa, con con Virgina Woolf e altri che a Bloosmbury, a loro modo, rivoluzionarono i tempi vittoriani che volgevano al termine, anche per gli effetti di due guerre mondiali che il secolo breve ci ha portato e che tanto hanno dato da scrivere a Keynes.

sarà una buona lettura, molto adatta al genius loci, Walsh scrive in un inglese witty e sofisticato, obbligandomi a segnare due-tre parole a pagina che mi riprometto di studiare, vocabolario alla mano, non appena ritrovo internet, visto che voglio capire bene il senso e gustare anche la ricchezza di una lingua spinta oltre le 300 solite parole che usiamo frequantemente ma che asciugano la capacità di esprimersi in quella che per molti, e sicuramente per me, resta una lingua aliena più che straniera.

Russel Square, memorizzo che ci ho messo un'ora per quando tornerò indietro, resisto alla tentazione di andare a vedere la piazza alberata e giro a destra, cerco i Coram Fields, navigando uno dei pochi posti di Londra in cui sono orientato senza mappa e senza google grazie a soggiorni ormai sfocati al Penn Club che sta in una qualche laterale della piazza e all'Imperial Hotel. poche centinaia di metri dopo trovo il Goodenough College, entro, chiedo, mi confermano che quella in cui mi trovo è il college che ospita gli studenti e che l'albergo aggregato sta pochi civici più in là. 

Sono in un angolo bello e tranquillo di questa tentacolare metropoli, per una volta quando esco dalla strana stazione della metro non ho nemmeno pensato "come mai è tutto così veloce a Londra?'', la città oggi viaggia a ritmo normale, per una volta in sicnrono col grigiore del cielo nuvoloso. Let's go!

ps. è probabile che questo post che ho scritto (calembour: post scriptum, no?), in realtà, sia una lettera a Cesira e ripercorrendo la nostra storia mi vien voglia di scrivere per me, (per chi bazzica questi post) e specialmente per lei quello che capita in questi giorni. Bye Bye, my love!