Sunday, January 26, 2014

Cena dei ossi de mas'cio

La "cena dei ossi de mas'cio" ci aspetta nella serata del 16 gennaio a Lonigo, invitati da Angelo a quella che è una tradizione molto vicentina.  A dir la verità, non è che noi nati a Riese Pio X siamo cittadini "di dentro le mura" e ci vantiamo della nostra esperienza di Veneto profondo.  Ma la profondità è sempre diversa e dipende enormemente dal contesto locale.  Alla cena ho avuto l'impressione di essere quasi ritornato all'essenza di quel Veneto che fu, un viaggio in un mondo simile al mio e di cui riconosco immediatamente le radici e l'eredità ma forse antico e ancora più lontano di quello che porto nei ricordi.  Ma bando alle sociologie e avanti con la cena!

In realtà andiamo a S. Bonifacio, sconfinando in provincia di Verona, percorrendo quasi 15 km di strade di campagna strette e dritte, frenando ogni volta che s'incrocia un'altra vettura, in una nebbia padana bagnata e minacciosa, ma comunque non ancora densa da taiar col corteo e da farti maledire il viaggio.  S. Bonifacio, pare impossibile, mi dice qualcosa: è o era la sede di una squadra di basket che si scontrava col Pedrini Basket a Castelfranco negli anni eroici in cui il palazzetto traboccava di passione.  Arriviamo al "Caffé da Poci", locanda vecchio stampo in casa anni '60, (potete anche vedere la "strit viu").
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Il titolare mi dice un "Buonaseera" che mi suona esoticamente vicentino con quella "e" aperta e lunga.  L'arredamento è semplice, fòrmica e cabina telefonica con gli elenchi ancora in bella vista: avrei dovuto controllare se era ancora possibile in quest'era di smartphone, wifi e bluetooth chiedere al propietario dietro al bancone: "mi dà la linea, per favore?".  Un corridoio con molti attaccapanni a muro ci porta nella sala, che ricorda quella del Miravalle di Stabie in comune di Lentiai, altro posto che di nord se n'intende.  So che il paragone potrebbe non dirvi molto ma, primo, il blog lo scrivo anche per me e, secondo, fate uno sforzino e immaginatevi una trattoria all'antica, tovaglie bianche, tavoli dritti e sedie come quelle delle cucine di una volta, quadri e stampe alle pareti, lampadari senza fronzoli che ora montano luci bianche a basso consumo.  Non ho grande materiale fotografico da mostrarvi ma vi squaderno quello che ho fatto con il mio cellulare, più che altro un cimelio, scattando qualche foto a bassa definizione (non è che avessi scelta, 2 megapixel e amen).


Angelo ci guida in cucina e ci fa conoscere chi ci ospita: il propietario e la signora sono sui 60 anni, c'è la nonna che ad occhio sfiora gli 80 e i due figli, un maschio e una femmina, intorno ai 40.  Un buon odore di brodo ci avvolge e osservo con soddisfazione l'acciaio della cucina industriale: non sarà romantico ma una bella cucina ampia e funzionale mi mette sempre di buon umore e gronda professionalità.  La marmitta dove da 3 ore stanno bollendo gli ossi è enorme, poi la signora ci descrive il resto: riso coe verze (una minestra di riso insaporito dalle verze), pearada (salsa al pepe ottenuta addensando il midollo delle ossa con ore e ore di cottura), contorni solidi, verze, patate, fagioli e "le radici".  Io subito penso ai quello che i trevigiani chiamano "i radici", al maschile, radicchio, ma si tratta di tuberi amari perfetti per "rasentar" la bocca quando mangi carne e bolliti.  Non manca il musetto e le zuppiere di mostarda vicentina (chiaro!)  fatta in casa.  Uscendo dalla cucina per tornare in sala, vedo nell'altra stanza una pila ordinata di secchi di plastica bianca, come quelli che contengono la pittura e che sono riutilizzati per anni in ogni casa di campagna.  I secchi sono puliti e ordinati, completamente bianchi e senza tracce di scritte o etichette.

La cena ha inizio, annaffiata da Bonarda Zonin portata da Angelo e dal vino della casa, un cabernet (molto) franc sfuso.  Non c'è storia, la Bonarda è meglio e tutta la famiglia "Poci" inizia a servire ai 30 presenti il riso coe verze.  O siete inappetenti o sull'impervia via dell'anoressia oppure dovreste avere l'aquilina in bocca!  La minestra è ottima e poi arrivano i secchi di plastica.  Cosa, direte voi?  Si, un secchio è collocato per terra fra ogni due persone.  Ha la funzione di consentirti di mangiarti gli ossi senza gran formalità: attacchi un osso alla caccia della carne rimasta quà e là, facilitato dalla sapiente bollitura di ore.  Molti, finemente, continuano ad usare forchetta e coltello.  Io resisto per il primo osso, vacillo sul secondo e dopo un "ma va in mona" mentale passo alle mani!  Qualsiasi sia il metodo usato, prima mangi e poi getti l'osso spolpato nel secchio per lasciare lo spazio al resto sul piatto.  Una meraviglia di efficacia e di sapori.  Il carrello coi coi contorni e il cren passa a ripetizione, arrivano vari vassoi di ossi (l'avete vista l'allitterazione, no?), rosicchio felice e butto nel secchio, toc!  Alla fine passano anche con una fetta di musetto e, chi mi conosce lo sa, non ci sono storie e ne chiedo due.

Ecco, forse non c'è bisogno d'altro, la carne è debole and the post is over.  Vi auguro di passarci, mi hanno detto che se ordinate prima per una decina di persone vi preparano gli ossi (in effetti, non si può bollire ossi per tre ore a la carte...).  "Poci" è in Via S. Sebastiano, 51, Cologna veneta Verona, Italy +39 0442 85006.  Pubblicità progresso: io ho bevuto il secondo e ultimo mezzo bicchiere di Bonarda alle 21.30, sapevo di dover guidare, czzrla!  Prima di partire alle 22.30 per tornare a casa mi sono anche bevuto due espressi per poter solcare bello sveglio la pianura padana.  Non ho più l'età e mi sono anche fatto il resto della notte in bianco...  ma ne valeva la pena!

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