Se fossi un americano sarei uscito con lo scatolone sotto il braccio, con gli effetti personali che ti porti a casa dall'ufficio quando lasci il lavoro. Invece ho con me una borsa di stoffa con qualche fascio di carte e piccoli memorabilia come un poster del decennale della Ca' Foscari Harvard Summer School.
È stato un pomeriggio speziato in cui all'inizio ho patito un po' la stretta dell'ultimo giorno e le sensazioni strane da apnea di futuro. Poi mi sono ripreso, mi sono messo a guardare e buttare fogliacci di appunti e ciarpame assortito, ho firmato gli ultimi decreti, facendo il punto con Anna. E a poco a poco, ho ritrovato il ritmo e il beat della School of International Education, dove per 28 mesi abbiamo messo in cantiere cose di cui vado fiero. In ordine sparso: i corsi di Academic Lecturing con Camel, Ada, Elena e perfino Paola; SeiXSIE su Scarpa alla guida di un commovente e lirico Guido, corsi di scrittura creativa, mindfulness con Franco, giornalismo, web, design thinking, competenze trasversali; corsi di italiano di varia foggia e livello, serali, con le strategie d'apprendimento, visite a musei; Marco Poli con cinesi spaesati e ``muti''; programmi estivi, con o senza appendici leisure, per cinesi di Souzhou e Jilin, coreani di INHA da Incheon e chi più ne ha più ne metta; scuole estive con alcune fra le perle della Ivy League come Harvard e Columbia; Math1B con 50 ore di Robin e la potenza tutoriale di Molly; scuola di orientamento; corsi curricolari in inglese con le nuove Contemporary history of Venice di Gilda e History of Italian Design di Martino, teacher ``free-style'' a detta degli studenti; tutti e due hanno fatto il primo corso in inglese della loro vita; inizieranno a breve anche i corsi di comunicazione interculturale e i rapporti fra Venezia e l'Oriente, prime assolute nella nostra offerta; e poi Utrecht, Joroon, Enrico e Paolo mi ricordano le cose che ci son andate storte, tanto per non farci sentire onnipotenti.
È un lungo elenco, non me lo toglie nessuno, e allo stesso modo mi resta la sommessa e potente soddisfazione di aver conosciuto e spesso raccolto buoni frutti dal lavoro di colleghi e amministrativi. L'aver rischiato e scommesso sul loro talento ha fatto crescere me e tutti noi. Forse non saprei fare il lavoro in altro modo, "All men choose the path they walk". Credo sia andata bene così.
C'è una parte di me che, in riferimento a certa parva gens, altolocata e proterva, continuerebbe con altre citazioni sanguigne. Non è il caso di riesumare l'anatema di Fausto Tonna, ma una scoperta recente è appropriata: ``The end comes no matter what, the only thing that matters is how do you wanna go out, on your feet or on your knees? I bring that lesson to this job. I act, knowing that someday this job will end, no matter what'' (da ``The Kingdom'', citazione completa e video).
Resisto alla tentazione e decido di nutrire il lupo compassionevole e pacifico che è in me e non la belva feroce e vendicativa che pure mi appartiene (il riferimento, se volete è nel video in fondo). Mi tengo i momenti belli, la lucidità e il senso istituzionale che vola alto come colomba; mi resta in mente la forza maori, bionda e ``unstoppable'' dei collaboratori; metto via persone, volti, sorrisi dolci e musi lunghi, studenti stanchi e studenti contenti, impegno, fatica... me ne ricorderò. Il tempo è passato veloce e leggero, anche in mezzo agli inevitabili colpi di ventura. Che la forza SIE con voi!
Non sono un americano con lo scatolone ma alle 17.30 sono sul ponte di S. Sebastiano, pestando sulle gambe per vedere Luca in treno, con la mia borsa e i miei cimeli. È il giorno più buio dell'anno, lo si potrebbe anche prendere per un cattivo presagio. Respiro profondamente l'aria, tanto fredda e affilata stasera quanto morbido e luminoso era stato il pomeriggio al mio arrivo nel giardino del convento. Solstizio d'inverno: forse invece è il giorno giusto, perché da oggi la luce riprende a poco a poco il sopravvento.
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