Thursday, October 19, 2017

TEDxPaolop

Montello. Domenica 15, the day after, parto alle 14.04, per prendermi scientificamente le ore più calde del giorno, 25 gradi fra le 14.00 e le 16.00.  Pedalo immergendomi in questo sole morbido e diagonale, nell'aria tiepida e avvolgente.  Mi dimentico la borraccia a casa e solo dopo l'incrocio di Giavera, quando mi trovo a mormorare "è uno spettacolo", realizzo che sto assaporando la bocca secca, deglutisco con fatica ma penso che il corpo ricorda la desertificazione papillare che ho avuto durante e dopo lo speech al TED.

Procedo con regolarità massima, 200 pedalate al minuto, alla fine né farò 20000, assieme a 3500 respiri, un bel mantra uno dietro all'altro.  Per il TED ho ripetuto il discorso (almeno) 22 volte, ogni mattina e ogni sera negli ultimi 11 giorni.  Luca ha fatto di meglio: timer ogni due ore negli ultimi giorni.  Potenza dell'allenamento che serve sia quando si parla in pubblico che quando si va in bici, è tutto facile, mi godo il percorso benchmark, la mia razione di sopravvivenza ciclistica, un su e giù fatto centinaia di volte in cui pompo aria nei polmoni e sgombro lentamente la mente concentrandomi sul respiro.  Un Ashtanga su due ruote: un'ora e 5 minuti per arrivare in cima vuoto e poi 4 minuti di rilassamento in discesa, lo si fa per questo no?


Pennac. È forse famoso per la serie di Malaussene ma non ricordo nemmeno bene quelli che ho letto, forse "La fata Carabina".  Ma lui ha scritto due libri che resistono dentro di me da decenni.  Il primo è una storia per bambini da 8 a 88 anni, "L'occhio del lupo".  Anche i lupi hanno un grande anima e ci sono motivi se la nostra cagnolina si chiama Pailette.  Ma oggi parlo di "Diario di scuola" in cui Pennac racconta, fra l'altro, che faceva imparare i testi a memoria.  Ecco alcune delle sue parole:
E perché non imparare questi testi a memoria?  In nome di che cosa non appropriarsi della letteratura?  Forse perché non si fa più da tanto tempo?  Vorremmo lasciare volar via pagine simili come foglie morte solo perché non è più stagione?  È davvero auspicabile non trattenere simili incontri?  Se questi testi fossero persone, se queste pagine eccezionali avessero volti, dimensioni, una voce, un sorriso, un profumo, non passeremmo il resto della vita a morderci le mani per averli lasciati scappare via?  Perché condannarci a conservarne solo una traccia che sbiadirà fino a essere solo il ricordo di una traccia...
Pennac faceva imparare ai suoi allievi brani celebri e potenti in modo che, per sempre, i suoi studenti potessero avere munizioni su cui ragionare e sparare senza pietà durante conversazioni varie e dispute.  O anche solo per "rimorchiare ragazze"!  Per anni ho pensato che non fosse possibile e non mi riferisco al fatto che la memorizzazione è demonizzata da quando io avevo 10 anni.  È che non credevo proprio che si potesse memorizzare un testo lungo.  Invece il mio discorso al TED l'ho mandato a memoria: 8200 caratteri, 1260 parole, fra 8 e 9 minuti per dirlo.  Certo: dozzine di prove e affinamenti ma da ora so che impossible is nothing e Pennac aveva ragione!


Ora so anche che i grandi speaker non hanno il dono di andare a braccio, ho capito che quella naturalezza, quell'argomentare serrato e travolgente, quella scioltezza disarmante non viene improvvisando e pensando alle battute cammin facendo.  È tutta gente, se conoscete eccezioni ditemelo please, che si è smazzata ore e ore di prove, memorizzando passaggi, snodi, modulazione di voce, cariche e ritirate.  Sono debitore a Francesca di avermi convinto che non c'era altro modo di essere naturale.  Mi ha detto che se il discorso è tuo, se ce l'hai dentro e lo domini, poi te lo godi: in un certo senso, aveva ragione.

Pressione. Luca ha parlato di sensori che misurano in tempo reale pressione arteriosa, battito e altro.  Non credevo che il palco dell'Accademico fosse questa cosa qua, ma salire su un palco è semplicemente devastante.  Non ho mai provato prima una sensazione simile.  "Devastante" vuol dire tante cose e per me significa (anche) memorabile, impressionante, emozionante e sconvolgente.  Si può pensare che dopo mezzo secolo di vita io sappia parlare in pubblico.  Beh, forse.  Ma il mio pubblico non è quello di un teatro meraviglioso; il mio parlare è diverso, meno teatrale appunto, più allungato e didattico, pieno d'incisi e ripetizioni per conficcare concetti nelle menti.  Qui no, al TED è diverso.

Primo, non si vedono facce, parli a un muro nero coi fari negli occhi e l'eye-contact te lo immagini solamente.  Poi, gli 8 minuti volano, le ripetizioni sono escluse, gli errori anche, tutto deve filare dalla prima all'ultima parola.  Terzo, quelli prima di te sono stati bravissimi, ci sono mamma e papà in platea, ti s'impasta la lingua, "ma dove sono capitato?".  Elisabetta ha detto che il teatro è una realtà aumentata: sembra paradossale, il palco era di semplicità zen, quasi glabro, eppure è vero e pare di vivere due vite in un colpo solo.  Ed è terrificante sentire il pubblico celato dietro il muro nero, respirare e quasi mugghiare a ritmo col discorso, ridere alle battute, sciabordare come una marea in certi passaggi riusciti.

Proprio dopo una battuta, stento a riprendere il filo perché non mi aspettavo la reazione divertita della sala.  Esitazione, non so se lunga o corta ma a me pare una vita, respiro, non mi viene in mente nulla, ri-respiro (forse).  Poi riesco a dire una frase abbastanza del menga ma riparto.  Da quel momento ho la sensazione di volare forse perché sentivo di averla scampata e di non aver più nulla da perdere, via fino in fondo senza prendere prigionieri e benedicendo la memorizzazione del testo.

Non auguro a nessuno quell'esitazione, per un po' mi pareva di essere in un universo nero parallelo, non saprei come dirlo altrimenti.  E da ora in poi non crederò più, come per altro da sempre fanno i buoni detective, ai testimoni oculari.  Io stesso, che non solo c'ero ma addirittura ero in azione, non saprei dire che cosa ho fatto o quanto è durato.  I testimoni, adesso lo so, raccontano non quel che è successo ma quel che gli è rimasto impigliato fra sensazioni e ricordi a cavallo fra il reale e l'autoindotto.


Team. La forza dei ragazzi del team è stata contagiosa.  La loro capacità di essere presenti, sorridenti, carichi come pallettoni e in grado di sprigionare scintille positive continue, è stata trascinante.  Giulia si è presa cura di me con discrezione avvolgente, precisione, umanità.  Mi sono sentito da subito in una botte di ferro.  Namaste, veramente!

Ho anche capito quanto le compagne/i degli speaker abbiano contribuito alla nostra preparazione.  Cesira, ormai sa il discorso a memoria quanto me, ma è stato commovente vedere che tutte/i si sono sorbiti patemi e recitazioni per giorni.  E poi dicono che non c'è dialogo nelle coppie!  Ora che ci penso è un dialogo per modo di dire con uno che dice sempre le stesse cose e l'altro che corregge le minuzie, fiscale come la finanza...


Energia. Diversi colleghi speaker mi hanno scaldato con l'emozione del "nucleo", di loro adesso mi fiderei ciecamente, mi hanno "aperto finestre sul mondo", di sicuro gli interventi hanno dato nuova linfa alla palude stagnante dei pensieri, non temo più la strana coppia di un cane e di un uomo, ho capito che con un po' di fortuna un asteroide non mi colpirà...  Spero di non fare torti a nessuno ma Luca ha raccontato una storia di magnitudo, vibrante e bellissima e io non resisto a signore bionde che dicono, citando George Steiner, "Siamo monadi perseguitate dal desiderio di comunione" (come in Pennac o nel "Postino di Neruda" certe frasi poetiche rimorchiano alla grande!)


A proposito di energia, alcuni pezzi del discorso hanno emozionato i matematici presenti in sala, più d'uno.  Un ragazzo mi ha inseguito mentre andavo alla macchina per complimentarsi e ci siamo subito intesi sulla regina delle scienze e sulla bellezza di fare didattica.  Frequenta il secondo anno a Padova e gli sono grato per avermi fatto il pieno per i momenti di carestia affettiva e quelli in cui la matematica a Economia e Management sembra la figlia della serva.  Queste persone mi hanno ricordato quanto io senta ancora quella sensazione di capire i matematici e di essere capiti a una profondità che è preclusa ai non matematici.  Ad esempio, mi fanno enorme simpatia gli ingegneri che mi hanno contattato dopo lo speech, li sento vicini, abbiamo parlato addirittura di controlli lineari, raggiungibilità, sistemi embedded, perfino Laplace e poli.  Ma c'è una affinità viscerale coi matematici, e solo con loro, che è indelebilmente incisa nel pericardio.  È il "richiamo della foresta" di noi matematici ululanti alla luna.

È la seconda volta che cito i lupi e forse è il momento buono per mettere in cassaforte questo strepitoso ed emozionante TEDxPaolop.

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