Questo è, parola più parola meno, il mio intervento al TEDxCastelfranco del 14 ottobre 2017.
La tecnologia può sostituire la presenza dei docenti nella scuola? E quanto internet e i social networks possono cambiare il modo tradizionale di insegnare e di apprendere?
Vi vorrei raccontare una storia iniziata sei anni fa, la storia di un corso in cui Facebook per la prima volta è stato usato come supporto alle lezioni universitarie. Vi racconterò com'è andata e dell'enorme intensità che si è sprigionata in classe e online.
Poi mi soffermerò su una indagine più rigorosa, meno legata all'adrenalina del momento, in cui abbiamo analizzato scientificamente gli effetti di questo strumento, provando ad essere lucidi e forse cinici.
Infine, mi piacerebbe condividere con voi alcune conclusioni su questo viaggio e magari trarre qualche spunto legato ai possibili usi di internet, sulla scuola di domani e se sia veramente possibile fare a meno dei docenti e della scuola che tutti abbiamo conosciuto.
Sono un matematico e mi piace fare didattica e provo a convincere i miei studenti spesso con l'uso del computer, quanto la matematica illumini il mondo con applicazioni pratiche e con la sua bellezza immortale. Poco più di 6 anni fa entro in una classe con oltre 400 studenti di primo anno. 400 sono tanti, sono più di tutti gli spettatori dell'Accademico, non riuscivo a vederli in faccia, erano troppi. Fra me e me pensavo che era impossibile fare lezione in questo modo. in realtà, ero infuriato anche con il mio ateneo che mi obbligava fare lezione in queste condizioni. Come si fa a insegnare qualcosa a questa marea di persone? Come si fa a seguirli, Conoscerli, guidarli? Come si fa a capire se hanno capito?
Mi sono detto che serviva uno scatto, un supplemento d'anima, cercavo un modo di parlare a centinaia di studenti, i miei studenti, senza poterlo fare in classe. E mi venne in mente Facebook. Il più famoso social network al mondo, pensai, può forse essere usato per discutere problemi, esercizi e fare domande. Non era semplice: come sapete Facebook è tradizionalmente legato a un uso personale e raramente ci si pensa come se fosse uno strumento di studio e lavoro. Nel mio caso bisognava fare di necessità virtù: bisognava usare Facebook per parlare di cose serie e aiutarsi a colmare l'impossibilità di comunicare in modi tradizionale con diverse centinaia di persone. Vedete la pagina che ho creato alle mie spalle, si chiamava Matemates.
Dopo qualche giorno di cautela reciproca con pochi post, gli studenti hanno iniziato a scrivere qualche breve pezzo e a mettere qualche like. io rispondevo più velocemente che potevo e continuavo ad esortarli in classe ad usare la rete per rendere sensato e proficuo un corso così stracolmo. A poco a poco, i post aumentavano, sempre più, sempre più velocemente. E io sotto con le risposte, i contro-like, le amicizie. A un certo punto il ruscello di post è diventato un fiume e poi un'inondazione. Mia moglie a un certo punto mi disse che ero fuori di testa, ringhiava ``Paolo, non puoi stare su Facebook tutto il giorno''. In effetti non ce l'avrei fatta ma la cosa bella era che gli studenti ormai iniziavano a rispondersi fra di loro. E, in secondo luogo, arrivarono Alessandra e Maryna a rispondere a tutti. Il loro aiuto e la loro dedizione sono state fondamentali. Avevano caratteri diversi: Alessandra si materializzò come un personaggio dei manga giapponesi che ama così tanto, velocissima, tecnica, asciutta, rispondeva a decine di domande, secca, precisa. Maryna era anche più filosofica ed empatica, dava risposte condite di commenti più personali e ironici. A un certo punto l'intera classe si rese conto che quello che stava succedendo era qualcosa di speciale, di noi parlò un blog definendoci "una tribù'' e chiamandoci ``quelli di Facebook''. In questo delirio di Facebook, teoremi, esercizi, post finimmo sul Corriere del Veneto, sul Gazzettino e sui media locali. Gli studenti erano gasati e convinti che Facebook gli avrebbe dato due o tre punti in più all'esame finale e i primi dati sembravano confermare la loro impressione. Ero gasato anche io e nel mio piccolo mi pareva di avere fatto la storia.
Ma adesso fermiamoci un attimo. Dopo questa euforia cominciai a chiedermi che cosa fosse successo, intendo che cosa fosse successo veramente. Sono uno scienziato e so quanto sia difficile provare la presenza di cause ed effetti. Per fare un esempio, prendete gruppo di persone con l'influenza e dategli un bicchiere di acqua fresca ogni mattina e sera e basta. Dopo una settimana metà di loro sarà guarito. Potete concludere che l'acqua fresca cura l'influenza? Ovviamente no, sappiamo che non è così e infatti metà di loro sarebbe guarita comunque anche senza acqua e anche, a dir la verità, senza niente. Allo stesso modo, come potevo sapere se Facebook aveva migliorato la performance dei miei studenti? Magari erano bravi di suo, magari ero stato largo di manica nei voti, magari l'aria della città di Treviso è più buona di quella di Venezia... Come si fa a sapere se una cosa ha effetti? Nella scienza si fa un epserimento con un gruppo di controllo. Noi non ce l'avevamo ma ci venne l'idea di confrontare rigorosamente i cosiddetti studenti di Facebook con quelli cui s'insegnava lo stesso corso senza Facebook. Per 4 anni abbiamo raccolto dati per valutare le abilità degli studenti, attendendo che finissero la carriera universitaria per escludere che i buoni risultati fossero dovuti, per puro caso, a un gruppo di studenti straordinari. Abbiamo perfino controllato la qualità di tutte le scuole superiori da cui provenivano e ci siamo creati un gruppo di controllo formato dagli studenti dei corsi paralleli. Nuovamente, una studentessa speciale mi è venuta in aiuto. Shira a quel tempo era una dottoranda della Bocconi e lei mi aiutò a setaccìare senza sosta dati e matricole per distinguere e capire se c'erano differenze fra ``quelli di Facebook'' e gli altri. Da scienziati eravamo entrati nella modalità ``Caccia a Ottobre Rosso''. Vi ricordate del film in cui gli americani cercano di beccare il sottomarino russo nascosto negli abissi e comandato da Sean Connery? Noi volevamo, come in quel caso, catturare l'effetto di Facebook che era nascosto e si era immerso in un oceano di potenziali altre spiegazioni. Ad ogni controllo, l'effetto di Facebook scendeva e scendeva: prima tre punti su 30, poi due punti, poi 1, poi 0.75 e avanti, limatura dopo limatura, alla fine siamo arrivati a mezzo punto.
Ecco siamo ormai arrivati all'epilogo di questa storia: quanto vale Facebook? Intendo, quanto vale dopo che hai lavato via l'euforia, il divertimento e tenuto conto della bravura degli studenti, della qualità del loro diploma, e del mio contributo come docente. Ecco, quanto vale? Mezzo punto!
È poco? È tanto? Ok, lo lascio decidere a voi ma a me pare poco. Da un lato lavoriamo duro proprio per ottenere piccoli miglioramenti e mezzo punto è proprio questo, un piccolo miglioramento. Ma è forse poca cosa, ti accorgi appena di mezzo trentesimo anche se è distribuito su tutti i 400 studenti della classe.
Se ci pensate forse la cosa è anche ragionevole. Forse eravamo matti a pensare che internet avrebbe cambiato tutto, sconvolgendo il modo di imparare. Forse è ovvio che studiare costa fatica, che non ci sono scorciatoie, che le sudate carte non te le cava nessuno. Che servono ore sui libri. Forse servono buoni docenti, gente che ti guarda negli occhi e ti rispiega se capisce dal tuo sguardo che non hai capito. Di quei professori, di quelli bravi, ne abbiamo avuti tutti. In qualche caso ci hanno veramente salvato la vita. Forse era ingenuo pensare che Facebook o un altro social network o la rete ci avrebbe reso geni a colpi di post e di like. Pensiamoci la prossima volta che all'ennesima riforma della scuola non si parla altro che di lavagne interattive, LIM, di ipad e di smart phone, Ricordiamoci magari che servono anche docenti in gamba, impegno e buone strutture. E internet? Sì, sì, serve anche internet! Fa bene e diverte sia noi adulti che voi nativi digitali.
Ma a conti fatti, alla fine della fiera le persone sono importanti e internet conta solo mezzo punto!
Grazie!
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